alcune situazioni sembra di averle già vissute in prima persona, ora le leggiamo anche.
tutto è molto umano e in certe parti sembra proprio una cronaca di vita, di cui il racconto è testimonianza.
la storia, e le storie, raccontate come fanno a lasciare indifferenti?
un po' Cronopios y famas, un po' Marcovaldo, e molto Hebe Uhart, naturalmente.
una sorpresa bellissima - franz
…Romanzo ricco di sfumature di suggestioni
profonde, che con le sue centoventi pagine conferma il culto per la brevità di
una maestra del racconto, Traslochi induce
a chiedersi come mai questa outsider quasi ottantenne sia stata riconosciuta
così tardi per ciò che è, ossia qualcuno “di cui si dice una sola cosa: che è
la migliore”, come sottolinea Leila Guerriero. Ma, quale che sia la risposta, è
certo che la nuova attenzione per la sua opera si deve anche a giovani ed
esigenti generazioni di lettori latinoamericani e alla loro scoperta, compiuta
non senza stupore, di un'autrice audacemente minimalista, che non ha nulla da
invidiare alle celebratissime Alice Munro o Lydia Davis, con le quali condivide
la predilezione per la quotidianità, le piccole cose, gli interni domestici,
con in più un sommesso e stralunato umorismo, una profondità e una passione per
il dettaglio in cui si avverte l'influsso di colui che la Uhart riconosce come
suo unico maestro: l'uruguayano Felisberto Hernández, uno dei più grandi ed
eccentrici cuentistas latinoamericani.
Chi ama la letteratura argentina si troverà
a casa con questo libro, ma nella dimensione dell’immensa provincia e non della
grande capitale, e non nel filone gaucho (Don Segundo Sombra)
ma nell’altro che è forse cominciato con le storie di Pago Chico di Roberto
Payró, all’inizio del novecento, mai tradotto in italiano, e di cui si ricorda
con particolare affezione un gioiello di Manuel Puig, Una frase un rigo appena,
a metà secolo.
Hebe Uhart è una vecchia signora che ha
scritto racconti davvero belli, e di cui meritoriamente Calabuig pubblica Traslochi, che è
più che un racconto lungo e narra avvicendamenti di case e generazioni, tra
argentini di origine italiana e spagnola e altra che faticosamente inventano
una nuova realtà sociale e culturale, nevroticamente bizzarri anche se
all’interno di una tradizione tutta popolare e mai borghese.
La bellezza di Traslochi (l’ottima traduzione è di Maria
Nicola) è nell’attenzione ai caratteri femminili, agli incroci e scontri tra le
età, alle nevrosi e alle illusioni, ai destini prevedibili e a quelli
imprevedibili, ma sta soprattutto nella scrittura, nel modo di narrare che è
sottilmente distante, e mai intimista e malinconico come è della letteratura provinciale
da sempre.
Tra il “costumbrismo” delle origini e
l’Argentina di oggi, c’è stato Cortázar, e lo si sente. Auguriamo che Calabuig
pubblichi altro, di questa indomita signora.
…la Uhart si esprime con Traslochi in un racconto lungo che varca la
soglia del romanzo breve, diventando un unicum narrativo che risplende di rara
capacità letteraria. Una saga familiare si scinde in altre saghe ancora,
declinando quel lessico tragico e sognante che tracima nell’ossessione forse
onirica di quel delirio che è orma, traccia della sofferenza umana. Nascite,
morti, matrimoni, costruzioni e riattamenti di abitazioni, di stanze, di
corridoi, aperture e chiusure di porte, finestre, delimitazioni di confini, di
cortili, di proprietà si snodano in un divenire in cui le pietre e i laterizi,
la calce e il cemento, si trasfigurano in potentissimi simboli freudiani della
costruzione e al contempo della destrutturazione dell’inconscio collettivo di
un destino, di una collettività, di una nazione che si sviluppa come luogo di
immigrazione nascente dal sanguinoso e sanguinante confronto tra autoctonie
amerinde, depositarie di millenarie sapienze, e conquiste europee custodi di
apparati militari ed economici.
L’apparente linearità delle vicende che definiscono quest’opera si trasforma in via di accesso estremo che conduce il lettore oltre i semplici confini della quotidianità, accompagnandolo verso la complessa e mai conclusa definizione di un mondo che riflette se stesso e le sue eterne contraddizioni…
L’apparente linearità delle vicende che definiscono quest’opera si trasforma in via di accesso estremo che conduce il lettore oltre i semplici confini della quotidianità, accompagnandolo verso la complessa e mai conclusa definizione di un mondo che riflette se stesso e le sue eterne contraddizioni…
Fogwill dijo que era la mejor escritora argentina. A ella no le
importa la editorial en la que va a publicar, no se fija en las tapas y si hay
que cambiarle el título, se lo cambia. Está jubilada desde hace siete años pero
sigue escribiendo. Organiza asados para todos sus amigos en la parrilla del
edificio: el fuego lo prende el portero y las ensaladas siempre son las mismas.
Hebe Uhart cree que muchos escritores argentinos son narcisistas. Y dice que
pecan de un internismo brutal: escriben pensando en los amigos, profesores y
conocidos…
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