sabato 19 settembre 2015

Traslochi - Hebe Uhart

un libro straordinario, che entusiasma pagina dopo pagina.
alcune situazioni sembra di averle già vissute in prima persona, ora le leggiamo anche.
tutto è molto umano e in certe parti sembra proprio una cronaca di vita, di cui il racconto è testimonianza.
la storia, e le storie, raccontate come fanno a lasciare indifferenti?
un po' Cronopios y famas, un po' Marcovaldo, e molto Hebe Uhart, naturalmente.
una sorpresa bellissima - franz








Romanzo ricco di sfumature di suggestioni profonde, che con le sue centoventi pagine conferma il culto per la brevità di una maestra del racconto, Traslochi induce a chiedersi come mai questa outsider quasi ottantenne sia stata riconosciuta così tardi per ciò che è, ossia qualcuno “di cui si dice una sola cosa: che è la migliore”, come sottolinea Leila Guerriero. Ma, quale che sia la risposta, è certo che la nuova attenzione per la sua opera si deve anche a giovani ed esigenti generazioni di lettori latinoamericani e alla loro scoperta, compiuta non senza stupore, di un'autrice audacemente minimalista, che non ha nulla da invidiare alle celebratissime Alice Munro o Lydia Davis, con le quali condivide la predilezione per la quotidianità, le piccole cose, gli interni domestici, con in più un sommesso e stralunato umorismo, una profondità e una passione per il dettaglio in cui si avverte l'influsso di colui che la Uhart riconosce come suo unico maestro: l'uruguayano Felisberto Hernández, uno dei più grandi ed eccentrici cuentistas latinoamericani.

Chi ama la letteratura argentina si troverà a casa con questo libro, ma nella dimensione dell’immensa provincia e non della grande capitale, e non nel filone gaucho (Don Segundo Sombra) ma nell’altro che è forse cominciato con le storie di Pago Chico di Roberto Payró, all’inizio del novecento, mai tradotto in italiano, e di cui si ricorda con particolare affezione un gioiello di Manuel Puig, Una frase un rigo appena, a metà secolo.
Hebe Uhart è una vecchia signora che ha scritto racconti davvero belli, e di cui meritoriamente Calabuig pubblica Traslochi, che è più che un racconto lungo e narra avvicendamenti di case e generazioni, tra argentini di origine italiana e spagnola e altra che faticosamente inventano una nuova realtà sociale e culturale, nevroticamente bizzarri anche se all’interno di una tradizione tutta popolare e mai borghese.
La bellezza di Traslochi (l’ottima traduzione è di Maria Nicola) è nell’attenzione ai caratteri femminili, agli incroci e scontri tra le età, alle nevrosi e alle illusioni, ai destini prevedibili e a quelli imprevedibili, ma sta soprattutto nella scrittura, nel modo di narrare che è sottilmente distante, e mai intimista e malinconico come è della letteratura provinciale da sempre.
Tra il “costumbrismo” delle origini e l’Argentina di oggi, c’è stato Cortázar, e lo si sente. Auguriamo che Calabuig pubblichi altro, di questa indomita signora.

la Uhart si esprime con Traslochi in un racconto lungo che varca la soglia del romanzo breve, diventando un unicum narrativo che risplende di rara capacità letteraria. Una saga familiare si scinde in altre saghe ancora, declinando quel lessico tragico e sognante che tracima nell’ossessione forse onirica di quel delirio che è orma, traccia della sofferenza umana. Nascite, morti, matrimoni, costruzioni e riattamenti di abitazioni, di stanze, di corridoi, aperture e chiusure di porte, finestre, delimitazioni di confini, di cortili, di proprietà si snodano in un divenire in cui le pietre e i laterizi, la calce e il cemento, si trasfigurano in potentissimi simboli freudiani della costruzione e al contempo della destrutturazione dell’inconscio collettivo di un destino, di una collettività, di una nazione che si sviluppa come luogo di immigrazione nascente dal sanguinoso e sanguinante confronto tra autoctonie amerinde, depositarie di millenarie sapienze, e conquiste europee custodi di apparati militari ed economici.
L’apparente linearità delle vicende che definiscono quest’opera si trasforma in via di accesso estremo che conduce il lettore oltre i semplici confini della quotidianità, accompagnandolo verso la complessa e mai conclusa definizione di un mondo che riflette se stesso e le sue eterne contraddizioni…

Fogwill dijo que era la mejor escritora argentina. A ella no le importa la editorial en la que va a publicar, no se fija en las tapas y si hay que cambiarle el título, se lo cambia. Está jubilada desde hace siete años pero sigue escribiendo. Organiza asados para todos sus amigos en la parrilla del edificio: el fuego lo prende el portero y las ensaladas siempre son las mismas. Hebe Uhart cree que muchos escritores argentinos son narcisistas. Y dice que pecan de un internismo brutal: escriben pensando en los amigos, profesores y conocidos…

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