martedì 1 settembre 2015

Sorpresa democratica, Bernie Sanders c’è - Luca Celada


La scorsa set­ti­mana al Los Ange­les Sports Arena era il tutto esau­rito e qual­che migliaio di per­sone hanno dovuto accon­ten­tarsi degli schermi siste­mati fuori dal palaz­zetto dello sport. Signi­fica che c’erano più di 25 mila per­sone al comi­zio di Ber­nie San­ders, un numero impres­sio­nante anche per lui che in que­sto pro­dromo di pri­ma­rie pre­si­den­ziali si sta con­ver­tendo nella sor­presa della sta­gione poli­tica Usa.
Quasi nes­suno avrebbe pro­no­sti­cato ad aprile, quando il 73enne sena­tore “socia­li­sta” del Ver­mont aveva annun­ciato l’intenzione di sfi­dare Hil­lary Clin­ton per la nomi­na­tion demo­cra­tica, che in pochi mesi la sua cam­pa­gna si sarebbe con­cre­tiz­zata in una effet­tiva can­di­da­tura. Eppure die­tro allo slo­gan Feel the burn quella di San­ders è una delle poche cam­pa­gne capace di accen­dere una vera pas­sione. E gli ultimi son­daggi in New Hamp­shire dove fra sei mesi si terrà la prima delle pri­ma­rie, lo danno addi­rit­tura in van­tag­gio sulla “pre­de­sti­nata” ex first lady per 44 a 37.
Allo Sports Arena la folla era com­po­sta in gran pre­va­lenza da gio­vani, stu­denti uni­ver­si­tari e liceali, ragazzi arri­vati per pas­sa­pa­rola sui social e libe­rals in preda al pre­sen­ti­mento post-Obama. Una folla che in effetti ricor­dava parec­chio quelle dei primi comizi del pre­si­dente, quasi sette anni fa, com­presi alcuni degli spea­ker sul palco – come Sarah Sil­ver­man, comica dis­sa­crante con grande seguito mil­len­nial che ha ina­nel­lato bat­tute sulla equi­voca pro­nun­cia del cognome dei mece­nati rea­zio­nari fra­telli Koch. Poi ambien­ta­li­sti, orga­niz­za­tori di base, sin­da­ca­li­sti sus­se­gui­tisi per affer­mare che «Ber­nie» è l’unico can­di­dato della gente fra la schiera di poli­tici spon­so­riz­zati da inte­ressi forti.
Quando è toc­cato al can­di­dato, San­ders ha elen­cato per circa un ora i punti che defi­ni­scono il suo pro­gramma: egua­glianza eco­no­mica, rete sociale, ambiente, edu­ca­zione. Il pub­blico lo ha accolto con un mare ondeg­giante di tele­fo­nini accesi e applausi a ripe­ti­zione, più come una rock­star che come un canuto signore set­tua­ge­na­rio. (Un tizio in pla­tea aveva una maglietta con scritto «aiu­taci tu Obi Wan», rife­ri­mento alla figura di Alec Gui­ness in Guerre Stel­lari, bene­vola e paterna, che San­ders vaga­mente evoca).
Idea­li­smo giovanile
Figlio di ebrei new­yor­chesi (il padre, polacco, soprav­vis­suto alla Shoah), San­ders ha stu­diato al Broo­klyn Col­lege e poi alla Uni­ver­sity of Chi­cago dove nel ‘63 era iscritto alla lega dei gio­vani socia­li­sti. Sono gli anni del movi­mento per i diritti civili, le free­dom rides nel sud segre­gato a cui San­ders par­te­cipa, come alla mar­cia su Washing­ton di Mar­tin Luther King. Il suo impe­gno poli­tico coin­cide con la con­tro­cul­tura dei six­ties, è mem­bro dello stu­dent non­vio­lent coor­di­na­ting com­mit­tee, la for­ma­zione stu­den­te­sca anti­raz­zi­sta che sarà incu­ba­trice di espe­rienze come le Black pan­thers e i Wea­ther under­ground. Negli anni suc­ces­sivi la lotta è quella con­tro la guerra nel Viet­nam, ma nel frat­tempo San­ders, dopo un espe­rienza in kib­butz, si è tra­sfe­rito in Ver­mont e con­cre­tizza l’idealismo gio­va­nile nelle prime cari­che poli­ti­che, prima da sin­daco di Bur­ling­ton e in seguito al con­gresso.
Non era chiaro quanto potesse fare testo il suo suc­cesso di rifor­ma­tore roo­se­vel­tiano, dichia­ra­ta­mente social­de­mo­cra­tico, una volta var­cati i con­fini della sua verde uto­pia “scan­di­nava”. Ma il suo mes­sag­gio anti libe­ri­sta, anti oli­gar­chico, con­tro gli inte­ressi di ban­che e milio­nari a favore dei lavo­ra­tori ha in qual­che modo for­mu­lato con suc­cesso le istanze del fianco sini­stro oba­miano in sot­tin­tesa pole­mica con Hil­lary, can­di­data di “sistema”, falco filoi­srae­liano, con pro­fondi legami all’establishment con Wall Street e una decen­nale car­riera di insi­der poli­tica con tutti i com­pro­messi che può com­por­tare. Una figura insomma che stenta ad esal­tare una nutrita schiera di demo­cra­tici che chia­ra­mente rim­pian­gono l’entusiasmo obamiano.
Una coa­li­zione trasversale
La chiave del suc­cesso dell’attuale pre­si­dente è stata la coa­li­zione tra­sver­sale fra base tra­di­zio­nale, sin­da­cati, par­tito, gio­vani, donne e mino­ranze. Per riu­scire a pre­va­lere sulla mac­china dei finan­zia­menti repub­bli­cani, il can­di­dato demo­cratco dovrà riu­scire a dupli­care quella ricetta. Com­preso San­ders, per cui è giunto il momento di allar­gare il pro­prio appeal oltre allo zoc­colo pro­gres­si­sta. Al suo comi­zio di Seat­tle, che è coin­ciso con la set­ti­mana di pro­te­ste a Fer­gu­son, mili­tanti di Black Lives Mat­ter si sono impa­dro­niti del palco di San­ders per riven­di­care giu­sti­zia raz­ziale. Una scena remi­ni­scente delle ten­sioni fra mili­tanti neri e stu­denti della sua gioventù.
San­ders ha repli­cato nomi­nando a nuova por­ta­voce nazio­nale l’afroamericana Symone San­ders, ma è chiaro che dovrà tes­sere rap­porti più saldi con un elet­to­rato con cui ha – almeno geo­gra­fi­ca­mente – per ora poco in comune. Neri e ispa­nici saranno cru­cali ad ogni spe­ranza di suc­cesso finale. Clin­ton ha pro­fondi legami sto­rici con entrambi i seg­menti, ma San­ders è tito­lare di un entu­sia­smo che Hil­lary stenta a generare.
Disa­gio progressista
Fermo restando che alle ele­zioni manca più di un anno e che i gio­chi sono dun­que lungi dall’essere con­clusi, o anche solo ben defi­niti, è inne­ga­bile che San­ders abbia intanto ria­perto una gara che sem­brava con­clusa in par­tenza con un’investitura pre­ven­tiva di Hil­lary Clinton.
La sua cam­p­gana arti­cola il disa­gio che Hil­lary ogget­ti­va­mente genera fra molti pro­gres­si­sti. Il suo suc­cesso, pur pre­coce, ha inco­rag­giato altri pre­ten­denti come Jim Webb e Mar­tin O’ Mal­ley ed è pro­ba­bile che all’effetto Ber­nie siano da attri­buire le voci su ipo­te­ti­che can­di­da­ture di Joe Biden e addi­rit­tura di Al Gore.
da qui



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