sabato 5 settembre 2015

Sbirritudine - Giorgio Glaviano

ne avevo sentito parlare alla radio (QUI l'intervista a Giorgio Glaviano a Fahrenheit, radiotre) e tre giorni dopo l'ho visto in biblioteca.
l'ho preso ed è stata una bella sorpresa, più di 400 pagine, in due giorni, sono volate.
avvincente davvero, un po' Montalbano, un po' Pif, la realtà che diventa romanzo.
il protagonista, senza nome, e per quello esiste davvero, allora, rischia la vita ogni momento, per la Legge e lo Stato, mentre quasi tutti usano legge e stato per fini personali, e collaterali alla mafia, o sei contro o sei a favore, l'astensione vale come appoggio alla mafia.
provaci, non eviterete di soffrire, ma non potrà non piacervi  - franz 





…Sbirritudine è un libro da leggere sicuramente per la rilevanza dei fatti narrati (veri, tra l’altro), per non perdere mai la consapevolezza, per non abbassare la guardia. Tuttavia a emergere più di tutto e a costituire la cifra del romanzo è l’inquietudine del protagonista, la sua solitudine, la sua amarezza. Le sue vicende si seguono con preoccupazione e partecipazione, ma è difficile entrare in contatto con il suo lato umano, forse perché il suo ruolo e la sua sbirritudine sono così prevalenti da fagocitare da sole tutta la sua personalità e diventarne l’unica essenza. Probabilmente questo contribuisce anche a rendere la narrazione un po’ monocorde, e la lettura ne risulta poco scorrevole e a tratti faticosa.

“Sbirritudine” nasce dallo strano incontro di uno sceneggiatore con un poliziotto. Difficile dire se sia stato il caso o la necessità. Ma come nel meraviglioso racconto di Borges, “La casa di Asterione”, in cui il Minotauro attende l’inevitabile arrivo del suo giudice e boia, ora so che è come se avessi sentito i passi del poliziotto avvicinarsi a me nel corso degli anni, sentendone il suono attraverso i centinaia di muri che separavano le nostre vite. Ma forse è il destino comune di tutti i siciliani, che credono di portarsi dentro la Sicilia e invece è la Sicilia che ci porta dentro tutti, dovunque ognuno di noi sia finito. Vittime di una metonimia che si divora indefinitamente come un nastro di Möbius.
Quando io e il poliziotto ci siamo guardati negli occhi la prima volta, ho capito che eravamo molto più simili di quanto fossi disposto ad ammettere. Le cicatrici che gli scarificavano il volto e che si manifestavano in profonde occhiaie, ragnatele di rughe ed espressioni stanche, erano le stesse che come siciliano mi porto dentro, attentamente dissimulate. Poi abbiamo parlato. E ho capito un’altra cosa: la sua storia, era la mia storia, era la storia di tutti i siciliani e di ogni italiano. Per me è stato un dovere scrivere questo romanzo. Il mio piccolo contributo alla sua vita vera fatta di una lotta costante, feroce, rabbiosa, totale e impietosa contro Cosa Nostra. Qualunque cosa fosse diventato, qualunque cosa ne avrebbero pensato gli altri, brutto o bello che fosse, dovevo scriverlo. Era la mia missione. E me l’aveva assegnata lui…

…Inchiesta dopo inchiesta, condotta con l’ausilio dei fedelissimi Renzo, “Cripto”, “Tacconi”, “Casco” e del dirigente Manuele Spada, emerge un quadro inquietante della Sicilia, insanguinata dalle lotte tra clan, truffata dalle speculazioni edilizie, infangata dai continui accordi tra forze dell’ordine e mafia: «Lo Stato è la mano destra e Cosa Nostra è la sinistra» rispose. «Come può la destra non sapere cosa fa la sinistra?» Per bloccare questa emorragia al protagonista non resta che vivere come uno di loro, spiato dai suoi stessi colleghi, costretto a nascondersi in luoghi desolati e a modificare le sue fattezze.
Grazie alla narrazione in prima persona caratterizzata da frasi incalzanti e da termini del dialetto siciliano, il lettore partecipa direttamente alle vicende di Cosa Nostra e apprende sia i meccanismi che regolano il mercato della droga, la rete dei pizzini e la gerarchia degli uomini d’onore, sia le reali difficoltà che incontrano ancora gli onesti servitori dello Stato nel territorio siciliano. Un romanzo fortemente consigliato a tutti, ma che strizza l’occhio in particolare agli studenti delle scuole superiori, affinché il ricordo di quel 23 maggio 1992 rimanga scolpito per sempre nella mente di tutti.

Impressiona il leggere di come uomini di mafia abbiano nel tempo conservato più ‘onore’ di certi uomini di Stato. Rattrista il fatto che nel nostro Paese gli impavidi che scelgono di opporsi ai poteri forti e a quelli illegali vengano in genere lasciati soli. Ed è anche per questi motivi che Sbirritudine di Giorgio Glaviano è un libro che va letto, perché certe considerazioni è bene che le faccia ogni italiano, da Nord a Sud, da Est a Ovest.

Ci sono libri che si leggono perché l’argomento è di moda, perché la storia è piccante, perché sono l’ultimo prodotto di quel grande scrittore che seguiamo da sempre. Ci sono libri che si leggono perché si impongono. Libri che insinuano come un sotterfugio molesto. E libri che vanno letti per incazzarsi. Scusate il termine aulico, non me ne vengono in mente altri più calzanti. Perlomeno non su questo libro. Volete incazzarvi? Leggete Sbirritudine. Leggetelo se volete riflettere su un argomento di cui si parla sempre e mai abbastanza: la mafia. Leggetelo nell’anniversario della strage di Capaci o di via D’Amelio, in quello dell’uccisione di Fava, di Livatino, degli uomini di scorta, di don Puglisi. Leggetelo quando vi diranno che la mafia non esiste, che la situazione è sotto controllo, che dovete firmare le dimissioni in bianco se volete lavorare o che quell’uomo politico vi farà assumere nella cooperativa della moglie. Leggetelo perché avete sentito delle intercettazioni di Crocetta sulla sorella di Borsellino, e non sapete più di chi fidarvi. Leggetelo quando, delusi, avrete la tentazione di dire “chissenefrega, tanto sono tutti uguali”. Ecco, è lì l’errore: non sono tutti uguali. Molti sono uguali, molti sono corrotti e corruttibili, molti sono ciechi o accondiscendenti. Molti, ma uno no. E Sbirritudine racconta la sua storia, lunga venticinque anni…
da qui

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