Fabio Geda è bravo a scrivere anche il tipo di storie non strettamente biografiche ("tratte da una storia vera", come scrivono all'inizio dei film e dei libri, come se la storia valesse di più).
per lunghi tratti Andrea sembra essere come Andreas (coincidenza del nome?), il santo bevitore di Joseph Roth.
Andrea è uno che non sembra bravo a parlare e a decidere, ma al momento giusto sceglie di fare le cose giuste, finalmente, anziché solo di scegliere di non scegliere.
un gran bel libro che ti conquista piano piano - franz
…Molto belli ed efficaci i dialoghi in questo
romanzo ricco di suggestioni, che ci mostrano uno scrittore ormai maturo,
capace di affrontare temi scottanti come la mescolanza delle etnie, la
superiorità morale di chi aiuta gratuitamente senza nulla in cambio. I personaggi
positivi del romanzo sono tutti stranieri: è cinese la famiglia che lo aiuta a
lasciare definitivamente l’Italia, è afroamericano Walter, l’addetto del Met
con cui si lega, sono orientali i Patterson, sono messicani i suoi compagni di
lavoro clandestino trovato a New York, come messicani saranno gli sfortunati
compagni dell’ultimo viaggio attraverso il deserto, verso la salvezza e la
libertà, questa volta conquistata ad altissimo prezzo…
…Io
non lo so se all’autore gliel’hanno mai detto che questo libro ti entra un po’
nella testa. Forse, se abbatti le barriere, anche nel cuore. Per me non posso
dire che sia stato così. O forse sì. Forse Andrea mi ha fatto a volte incazzare
proprio per quanto l’ho amato. O forse non sono riuscita a innamorarmene perché
ero troppo arrabbiata con lui. O ancora la colpa è solo mia, che ho messo un
muro tra me e la sua storia. Forse solo per non rimanerne troppo coinvolta, per
non rischiare di essere ferita (ve lo ricordate, vero, che questa è le
recensione meno comprensibile della storia di tutte le recensioni? Mi state
ancora perdonando?).
Detto
questo, il punto di indiscutibile forza di questo libro, a mio parere, è l’incredibile
carrellata di personaggi che
lo abitano oltre alla capacità
dell’autore di far letteralmente viaggiare il lettore con il protagonista.
Andrea va a New York e voi avete la fortuna di andarci con lui. Poi torna
in Italia, nella casa dove abita la sua vita. C’è ancora, la casa, ma non c’è
più la sua vita. Un’altra partenza allora, l’ultima forse, in un viaggio
disperato nel tentativo di raggiungere il luogo dove Andrea ha scoperto di
voler vivere la sua vita e smettere, una volta per tutte, di essere in fuga. In
tutti questi viaggi sarete lì accanto a lui…
…Abile è stato il Geda di questo romanzo poiché ha fatto
vedere come oggi si possano verificare nel giro di poco tempo circostanze tali
da portare all’annullamento di una persona pur dignitosa, rispettabile, come
possa accadere che essa si trovi in situazioni completamente diverse da ogni
aspettativa, da ogni previsione. Niente di tutto quello che accade ad Andrea
era stato da lui previsto, altre erano state le sue aspirazioni. E’ questo
soprattutto il suo dramma, quello di un’anima delusa e privata pure della
possibilità di soffermarsi a pensare, a riflettere, a capire quanto sta
succedendo poiché incalzata dalle disgrazie. Deve solo assistere alla sua
sconfitta, deve solo subirla. Travolta è dagli eventi senza che abbia la
possibilità di rifarsi di quanto sta perdendo né di evitare di giungere alla
fine, alla rovina. In ogni attimo, in ogni aspetto, in ogni senso lo scrittore
ha colto questo processo inesorabile insieme ai pensieri di Andrea circa quanto
di diverso avrebbe voluto. Non c’è bruttura che non sia attraversata, anche se
per un istante, dal ricordo dei propositi che Andrea aveva nutrito. Un ricordo
che diventerà sempre più debole, che scomparirà.
Nel rendere un simile, doloroso percorso, nel mostrarlo
come inevitabile, nell’aderire ad esso fino a farne la voce unica del romanzo
sta il merito maggiore del Geda. Un esempio può essere considerato il suo di
cosa significhi essere scrittore oggi, in un tempo che a tanti e con tanta
facilità fa pensare di esserlo.
Se
la vita che salvi è la tua nasce a New York nel giugno del 2008.
Ero andato a trovare un’amica che viveva lì da alcuni anni. Una sera – come
spesso accade agli italiani all’estero – mi viene una voglia imprescindibile di
pizza e decido di andare al Savoia, una pizzeria che avevo notato in Smith
Street, a Carroll Gardens, il sobborgo di Brooklyn dove abitava la mia amica.
La pizza è così buona – ricordo una pizza alla Norma, ricotta salata e
melanzane, da urlo – che ci torno più volte e finisco con il fare amicizia con
il cameriere, un ventenne napoletano che a un certo punto, una sera, tra un
limoncello e l’altro mi confida di essere un irregolare. Sono un clandestino,
dice. Era andato via perché Napoli – vista la sua storia personale, la
famiglia, il quartiere in cui era nato – non avrebbe mai offerto nulla se non
disoccupazione o criminalità. S’accende una sigaretta, spruzza del
disinfettante sul tavolo, passa lo straccio, e spiega con parole semplici che
preferisce fare il cameriere lì a New York, senza permesso di soggiorno,
sottostare alla precarietà di quella condizione, piuttosto che farsi trascinare
dalla corrente ostile di un destino che non aveva scelto.
Ora! Se la vita che salvi è la tua non ha nulla a che vedere con un
cameriere napoletano. Andrea Luna è un professore precario di educazione
artistica, frustrato dai continui cambi di scuola, dal fatto di non essere mai
messo nelle condizioni di fare bene il proprio lavoro, un lavoro che peraltro
ama, con un matrimonio in crisi (lui e Agnese non riescono ad avere figli), che
decide di concedersi una breve vacanza a New York, e che per tutta una serie di
motivi finisce per trovarsi in una condizione non dissimile da quella del
cameriere napoletano.
Ciò
che fa detonare la vicenda è un quadro: Il
ritorno del figliol prodigo, uno dei capolavori di Rembrandt, che in
realtà si trova all’Hermitage di San Pietroburgo ma che nella finzione della
mia storia è in prestito al Met di New York per una mostra sul Secolo d’Oro.
Andrea resta folgorato da quel quadro straordinario, il padre e i figli immersi
in una luce serale, e comincia a oscillare tra i due fratelli: il minore,
accolto dal vecchio padre con un abbraccio dolcissimo, e il maggiore,
pietrificato dalla rabbia e dalla gelosia. Chi è lui? Quale dei due? Sa che
vorrebbe essere accolto così, come colui che ha scartato di lato e ha
abbandonato il sentiero, guarito da un abbraccio simile, ma è consapevole di
non essersi mai fuggito, di essere, invece – come il figlio maggiore, come
tutta una generazione di trenta-quarantenni cui i genitori hanno detto:
studiate, state calmi, siate docili e sarete più ricchi e felici di noi – di
essere sempre rimasto a casa. E allora capisce che a volte, per ritrovarsi,
bisogna prima perdersi. Ed è quello che fa.
La
storia si dipana tra il nord Italia, New York e il Messico. Diversi personaggi
secondari – Walter, un afroamericano che lavora al Met come addetto alla
sicurezza; Ary, artista di Red Hook esperta di diorami, con i figli gemelli di
tredici anni Benjamin e Allison; Lagrima, un fuoriuscito dalla Mara Salvatrucha
– accompagnano Andrea alla ricerca di sé. Di un posto da chiamare casa. Di un futuro su cui
scommettere.
Fabio
Geda
da
qui
A me i libri di Fabio Geda piacciono tutti. Poi l'ho conosciuto e ho scoperto - e la cosa non mi ha particolarmente stupita - che è anche una persona bellissima.
RispondiEliminaanche a me sono piaciuti tutti, alcuni di più.
Eliminae penso anch'io, me lo confermi, che sia un tipo in gamba.