venerdì 5 gennaio 2024

Non in nostro nome

articoli, video, immagini di Andrea Catone, Angelo D’Orsi, Fabio Marcelli, Gaza,Vincenzo Barone,Patrizia Cecconi,Chris Hedges, Mr Fish, Lina Abojaradeh,Michele Santoro, Gaetano Colonna, Belisario, Giacomo Gabellini,Geminello Preterossi, Enrico Campofreda



Non in nostro nome: Lettera aperta al presidente Sergio Mattarella

Ebbene, in piena coscienza, e con il massimo rispetto per la carica che Ella riveste, noi sottoscritti ci permettiamo di osservare e di comunicarLe che Ella ha parlato non in nostro nome.

 Signor Presidente, 

noi sottoscritti cittadini e cittadine Suoi connazionali, impegnati nel mondo della cultura, dell’insegnamento, dell’associazionismo, ci permettiamo di ricordarLe la situazione in atto in Palestina: circa 30.000 vittime civili a Gaza, senza contare i presumibili 10.000 sotto le macerie. 70.000 feriti che non possono essere adeguatamente curati in ospedali distrutti da Israele.
1000 bambini che hanno perso uno o entrambi gli arti inferiori o superiori.
90% degli edifici rasi al suolo: “non è rimasto brandello di muro”, dichiarano i pochi osservatori ONU rimasti sul campo.


Una economia, una società, un paesaggio annichilati.
Oltre 2 milioni di persone sono senza un tetto, né acqua, né cibo, né medicinali, né carburanti, e sono spinte dall’esercito israeliano in una piccola sacca a Gaza sud, che peraltro continua ad essere bombardata.


Intanto si susseguono dichiarazioni di governanti israeliani sulla necessità di espellere dal territorio di Gaza i palestinesi sopravvissuti, e sul progetto di ricolonizzazione di Gaza da parte dei coloni israeliani, mentre addirittura si pubblicano annunci di lussuosi villaggi turistici da costruire sulle macerie e sui corpi insepolti della popolazione palestinese.


In Cisgiordania (secondo l’ONU, “Territori Occupati”) gli oltre 700.000 coloni israeliani, che hanno occupato illegalmente il territorio e rendono molto problematica, per non dire impossibile, la soluzione “due popoli, due Stati”, spalleggiati dall’esercito di Israele attaccano quotidianamente e uccidono i contadini palestinesi, compresi donne, anziani, adolescenti.
Israele ha ucciso 138 funzionari dell’ONU e continua a bombardare i convogli dell’agenzia per i rifugiati dell’ONU. Colpisce le ambulanze che trasportano i feriti.


Cattura, e umilia denudandoli e ingiuriandoli, centinaia di cittadini colpevoli semplicemente di essere palestinesi.
Israele ha trucidato un centinaio di giornalisti e fotografi nell’esercizio del loro lavoro.

Il segretario generale dell’ONU Guterres ha denunciato ripetutamente la “catastrofe umanitaria”, l’Assemblea generale dell’ONU approva la risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco.Alcuni stati, come il SudAfrica deferiscono Israele alla Corte penale internazionale per violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario e di fronte alla Corte internazionale di giustizia per genocidio. Migliaia chiedono alla Corte penale internazionale di arrestare, giudicare e condannare Netanyahu e la cupola politicomilitare israeliana per questi motivi. Altri Paesi della UE annunciano varie azioni contro Israele, mentre il nostro governo appare silente o complice dei crimini in corso.

Quando l’Armata Rossa sovietica liberò Auschwitz il 27 gennaio 1945 e vennero alla luce gli orrori della Shoah, alcuni giustificarono il loro silenzio e la loro inazione dicendo di ignorare cosa stesse accadendo nei lager nazisti. Oggi assistiamo in diretta alla pulizia etnica e all’olocausto del popolo palestinese. Nessuno può dire “non so”.


È per noi grave che Ella nel Suo messaggio riduca il genocidio in corso a “un’azione militare [di Israele] che provoca anche [evidenziazione nostra] migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”. Nient’altro. Ella, Signor Presidente, avrebbe potuto, e riteniamo dovuto, riprendere le dichiarazioni del segretario dell’Onu, le risoluzioni dell’Assemblea generale e levare una voce per l’immediato cessate il fuoco in Palestina. Come anche alcuni leader europei hanno chiesto.

Ella, invece, ha taciuto, Signor Presidente.

Nelle sue parole il genocidio del popolo palestinese in corso (è la definizione dello storico israeliano Ilan Pappé, costretto ad abbandonare il suo paese e la sua università per le minacce di cui è stato oggetto) è stato ridotto alla reazione israeliana “che provoca anche migliaia di vittime civili”. Durante la Resistenza antifascista i massacri operati dai nazifascisti si chiamavano “rappresaglia”; alle Fosse Ardeatine i nazisti applicarono la formula del “10 italiani per un tedesco”. La rappresaglia di Israele (se di rappresaglia si può parlare e non di un piano preordinato di svuotare Gaza della popolazione palestinese e riportarla sotto il diretto controllo israeliano) supera di molto il criterio nazista delle Fosse Ardeatine.

Tra l’altro, Ella evita di dare un nome al popolo vittima del massacro: nel Suo discorso sono “moltitudini di persone”. NO, non sono “moltitudini”, “volgo disperso che nome non ha”: è il popolo palestinese che subisce da 75 anni l’occupazione di Israele, è il popolo che si oppone e resiste all’occupazione, come fecero i nostri patrioti nel Risorgimento e i partigiani nella Resistenza antinazifascista italiana.


Ella dice che i giovani vanno educati alla pace, ma non si educa se non si compie un’operazione di verità, e la verità non è solo non dire il falso, ma dare un quadro completo delle cose. Il Suo discorso – un discorso ufficiale, a reti televisive unificate a tutto il Paese – per quel che dice e per quello che NON dice, viola i principi cui pure Ella dichiara di ispirarsi, non educa alla verità, né alla giustizia, in difesa morale di ogni popolo oppresso.


La parte del Suo discorso dedicata al conflitto in Medio Oriente è in definitiva schiacciata sulla politica bellicistica e disumana del governo di Israele, che annuncia un 2024 di guerra. Legando mani e piedi il nostro Paese alla politica oltranzista di Israele, Ella rompe con quella politica mediterranea di apertura ed equilibrio con i paesi arabi e di riconoscimento delle ragioni del popolo palestinese, promossa tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso da statisti come Moro, Andreotti, Craxi, o da un sindaco eccezionale testimone di pace e costruttore di ponti fra i popoli, come Giorgio La Pira.

Il Suo discorso, Signor Presidente, non è solo un inaccettabile silenzio sul genocidio palestinese in corso, è anche un tradimento della storia italiana, e un colpo ai nostri interessi nazionali.

Ebbene, in piena coscienza, e con il massimo rispetto per la carica che Ella riveste, noi sottoscritti ci permettiamo di osservare e di comunicarLe che Ella ha parlato non in nostro nome.

 

Angelo D’Orsi, Torino; già Ordinario di Storia del pensiero politico, Universita degli Studi di Torino, Direttore di “Historia Magistra. Rivista di storia critica” e di “Gramsciana. Rivista internazionale di studi su Antonio Gramsci”.

Fabio Marcelli, Roma, giurista, copresidente del Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia

Andrea Catone, Bari, direttore editoriale edizioni Marx Ventuno

 

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Il Genocidio di Israele tradisce l’Olocausto - Chris Hedges

Oscurando e falsificando gli insegnamenti dell’Olocausto perpetuiamo il male che lo ha definito.

 

Il piano generale Lebensraum (Spazio Vitale) di Israele per Gaza, preso a prestito dallo spopolamento nazista dei ghetti ebraici, è chiaro. Distruggere le infrastrutture, le strutture mediche e i servizi igienico-sanitari, compreso l’accesso all’acqua potabile. Bloccare le spedizioni di cibo e carburante. Scatenare la violenza di massa indiscriminata per uccidere e ferire centinaia di persone al giorno. Lasciamo che la fame, secondo le stime delle Nazioni Unite più di mezzo milione di persone stia già morendo di fame, e le epidemie di malattie infettive, insieme ai massacri quotidiani e allo sfollamento dei palestinesi dalle loro case, trasformino Gaza in un cimitero. I palestinesi sono costretti a scegliere tra la morte per bombe, malattie, freddo o fame o essere cacciati dalla loro Patria.

Presto si raggiungerà un punto in cui la morte sarà così onnipresente che la deportazione, per coloro che vogliono vivere, sarà l’unica opzione.

Danny Danon, ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite e stretto alleato del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla radio israeliana Kan Bet di essere stato contattato da “Paesi dell’America Latina e dell’Africa che sono disposti ad accogliere i rifugiati dalla Striscia di Gaza”. “Dobbiamo rendere più facile per gli abitanti di Gaza partire verso altri Paesi”, ha detto. “Sto parlando della migrazione volontaria dei palestinesi che vogliono andarsene”.

Il problema per ora “sono i Paesi che sono disposti ad accoglierli, e stiamo lavorando su questo”, ha detto Netanyahu ai parlamentari del Likud.

Nel ghetto di Varsavia i tedeschi distribuivano tre chilogrammi di pane e un chilo di marmellata a chiunque si registrasse “volontariamente” per la deportazione. “Ci sono stati momenti in cui centinaia di persone dovevano aspettare in fila per diverse ore per essere deportate”, scrive Marek Edelman, uno dei comandanti della rivolta del Ghetto di Varsavia, in: “Il Ghetto di Varsavia Lotta”. “Il numero di persone ansiose di ottenere tre chilogrammi di pane era tale che i trasporti, che ora partono due volte al giorno con 12.000 persone, non potevano accoglierle tutte”.

I nazisti spedivano le loro vittime nei campi di sterminio. Gli israeliani spediranno le loro vittime in squallidi campi profughi in Paesi al di fuori di Israele. I vertici israeliani stanno anche pubblicizzando cinicamente la proposta di Pulizia Etnica come un gesto volontario e umanitario per risolvere la catastrofe che hanno creato.

Questo è il piano. Nessuno, specialmente l’amministrazione Biden, intende fermarlo.

La lezione più inquietante che ho imparato come corrispondente dai conflitti armati per due decenni è che tutti abbiamo la capacità, con poca difficoltà, di diventare volontariamente dei carnefici. Il confine tra vittima e carnefice è sottile come un rasoio. Le oscure concupiscenze della supremazia razziale ed etnica, della vendetta e dell’odio, dello sradicamento di coloro che condanniamo perché incarnano il male, sono veleni che non sono circoscritti dalla razza, dalla nazionalità, dall’etnia o dalla religione. Tutti possiamo diventare nazisti. Ci vuole pochissimo. E se non vigiliamo costantemente sul male, il nostro male, diventeremo, come coloro che hanno commesso le uccisioni di massa a Gaza: dei mostri.

Il grido di chi sta morendo sotto le macerie a Gaza è il grido dei ragazzi e degli uomini giustiziati dai serbi bosniaci a Srebrenica, del milione e mezzo di cambogiani uccisi dai Khmer Rossi, delle migliaia di famiglie Tutsi bruciate vive nelle chiese e delle decine di migliaia di ebrei giustiziati dagli Einsatzgruppen a Babi Yar in Ucraina. L’Olocausto non è una reliquia storica. Vive, in agguato nell’ombra, in attesa di innescare il suo feroce contagio. (Le Einsatzgruppen erano speciali reparti tedeschi, composti da uomini delle SS, della polizia e della Wehrmacht che operavano sotto il controllo di Reinhard Heydrich.)

Siamo stati avvisati. Raúl Hilberg. Primo Levi. Bruno Bettelheim. Hanna Arendt. Aleksandr Solženicyn. Comprendevano gli oscuri meandri dello spirito umano. Ma questa verità è amara e difficile da affrontare. Preferiamo il mito. Preferiamo vedere nella nostra specie, nella nostra razza, nella nostra etnia, nella nostra nazione, nella nostra religione, virtù superiori. Preferiamo santificare il nostro odio. Alcuni di coloro che hanno testimoniato questa terribile verità, tra cui Levi, Bettelheim, Jean Améry, l’autore di “Ai Limiti della Mente: Contemplazioni di Un Sopravvissuto su Auschwitz e le Sue Realtà” e Tadeusz Borowski, che ha scritto: “Signore e Signori, Da Questa Parte Per le Camere a Gas”, si sono suicidati. Il drammaturgo e rivoluzionario tedesco Ernst Toller, incapace di risvegliare un mondo indifferente per assistere le vittime e i profughi della guerra civile spagnola, si impiccò nel 1939 in una stanza del Mayflower Hotel di New York. Sulla scrivania della sua stanza c’erano foto di bambini spagnoli morti.

“La maggior parte delle persone non ha immaginazione”, scrive Toller. “Se potessero immaginare le sofferenze degli altri, non li farebbero soffrire così. Che cosa distingue una madre tedesca da una madre francese? Slogan che ci hanno assordato al punto da non farci sentire la verità”.

Primo Levi si scagliò contro la narrazione falsa e moralmente edificante dell’Olocausto che culmina nella creazione dello Stato di Israele, una narrazione abbracciata dal Museo dell’Olocausto di Washington D.C. La storia contemporanea del Terzo Reich, scrive, potrebbe essere “riletta come una guerra contro la memoria, una falsificazione orwelliana della memoria, falsificazione della realtà, negazione della realtà”. Si chiede se “noi che siamo tornati” siamo stati “in grado di capire e far capire agli altri la nostra esperienza”.

Levi ci vedeva riflessi in Chaim Rumkowski, il collaboratore nazista e tiranno dispotico del ghetto di Łódź. Rumkowski vendette i suoi compagni ebrei per privilegi e potere, anche se fu mandato ad Auschwitz con l’ultimo trasporto dove il Sonderkommando ebraico, prigionieri costretti ad aiutare le vittime nelle camere a gas e a smaltire i loro corpi, in un atto di vendetta, secondo quanto riferito, lo picchiarono a morte fuori da un crematorio.

“Siamo tutti Rumkowski”, ci ricorda Levi. “La sua ambiguità è la nostra, è la nostra seconda natura, noi ibridi plasmati dall’argilla e dallo spirito. La sua frenesia è la nostra, la frenesia della civiltà occidentale, che scende agli inferi con trombe e tamburi, e i suoi miseri ornamenti sono l’immagine distorta dei nostri simboli di prestigio sociale”. Noi, come Rumkowski, “siamo così accecati dal potere e dal prestigio da dimenticare la nostra essenziale fragilità. Volenti o nolenti facciamo i conti con il potere, dimenticando che siamo tutti nel ghetto, che il ghetto è murato, che fuori dal ghetto regnano i signori della morte, e che lì vicino c’è il treno che aspetta”.

Levi insiste sul fatto che i campi “non potevano essere ridotti ai due blocchi di vittime e carnefici”. Egli sostiene: “È ingenuo, assurdo e storicamente falso credere che un sistema infernale come il nazionalsocialismo santifichi le sue vittime; anzi; le svilisce, le fa somigliare a sé stesso”. Racconta quella che ha definito la “Zona Grigia” tra corruzione e collaborazione. Il mondo, scrive, non è bianco e nero, “ma una vasta zona di coscienze grigie che si frappone tra i fautori del male e le vittime innocenti”. Abitiamo tutti in questa Zona Grigia. Tutti noi possiamo essere indotti a diventare parte dell’apparato di morte per ragioni futili e ricompense irrisorie. Questa è la terrificante verità dell’Olocausto.

È difficile non essere cinici di fronte alla moltitudine di corsi universitari sull’Olocausto, data la censura e il divieto di gruppi come Students for Justice in Palestine (Studenti per la Giustizia in Palestina) e Jewish Voices for Peace (Voci Ebraiche per la Pace), imposti dalle amministrazioni universitarie. Che senso ha studiare l’Olocausto se non per capire la sua lezione fondamentale: quando si ha la capacità di fermare il Genocidio e non lo si fa, si è colpevoli? È difficile non essere cinici sugli “interventisti umanitari”: Barack Obama, Tony Blair, Hillary Clinton, Joe Biden, Samantha Power, che parlano in rime ipocrite circa la “responsabilità di proteggere” ma tacciono sui crimini di guerra quando parlare apertamente minaccerebbe il loro status e la loro carriera. Nessuno degli “interventi umanitari” da loro sostenuti, dalla Bosnia alla Libia, si avvicina a replicare le sofferenze e i massacri di Gaza. Ma difendere i palestinesi ha un costo, un costo che non intendono pagare. Non c’è nulla di morale nel denunciare la schiavitù, l’Olocausto o i regimi dittatoriali che si oppongono agli Stati Uniti. Tutto ciò significa che si difende la narrativa dominante.

L’universo morale è stato capovolto. Coloro che si oppongono al Genocidio sono accusati di sostenerlo. Si dice che coloro che compiono il Genocidio abbiano il diritto “all’autodifesa”. Porre il veto al cessate il fuoco e fornire a Israele bombe da 2.000 libbre (900 kg) che lanciano frammenti di metallo per centinaia di metri è la strada verso la pace. Rifiutarsi di negoziare con Hamas libererà gli ostaggi. Bombardare ospedali, scuole, moschee, chiese, ambulanze e campi profughi, insieme all’uccisione di tre ostaggi israeliani, a torso nudo, che sventolano una bandiera bianca improvvisata e invocano aiuto in ebraico, sono normali atti di guerra. Uccidere oltre 21.300 persone, tra cui più di 7.700 bambini, ferirne oltre 55.000 e rendere sfollati quasi tutti i 2,3 milioni di persone che vivono a Gaza, è un modo per “deradicalizzare” i palestinesi. Niente di tutto ciò ha senso, come si rendono conto i manifestanti di tutto il mondo.

Un nuovo mondo sta nascendo. È un mondo in cui le vecchie regole, spesso onorate nella violazione che nell’osservanza, non contano più. È un mondo in cui vaste strutture burocratiche e sistemi tecnologicamente avanzati realizzano davanti al pubblico vasti progetti di sterminio. Le nazioni industrializzate, indebolite, timorose del caos globale, stanno inviando un messaggio minaccioso al Sud del Mondo e a chiunque possa pensare alla rivolta: vi uccideremo senza riserve.

Un giorno saremo tutti palestinesi.

“Temo che viviamo in un mondo in cui la guerra e il razzismo sono onnipresenti, in cui i poteri di mobilitazione e legittimazione del governo sono potenti e crescenti, in cui il senso di responsabilità personale è sempre più attenuato dalla specializzazione e dalla burocratizzazione, e in cui un gruppo di pari esercita enormi pressioni sul comportamento e stabilisce norme morali”, scrive Christopher R. Browning in Ordinary Men (Uomini Comuni), a proposito di un battaglione di polizia riservista tedesco nella Seconda Guerra Mondiale che alla fine fu responsabile dell’assassinio di 83.000 ebrei. “In un mondo del genere, temo, i governi moderni che desiderano commettere omicidi di massa raramente falliranno nei loro sforzi per non essere in grado di indurre uomini comuni a diventare volontariamente i loro esecutori”.

Il male è mutevole. Trova nuove forme e nuove espressioni. La Germania orchestrò l’assassinio di sei milioni di ebrei, nonché di oltre sei milioni di zingari, polacchi, omosessuali, comunisti, testimoni di Geova, massoni, artisti, giornalisti, prigionieri di guerra sovietici, persone con disabilità fisiche e intellettuali e oppositori politici. Subito dopo la guerra ha deciso di espiare i suoi crimini. Ha abilmente trasferito il suo razzismo e la sua demonizzazione sui musulmani, mantenendo la supremazia razziale saldamente radicata nella psiche tedesca. Allo stesso tempo, la Germania e gli Stati Uniti riabilitarono migliaia di ex nazisti, soprattutto provenienti dai servizi segreti e dalla comunità scientifica, e fecero poco per perseguire coloro che avevano diretto i crimini di guerra nazisti. La Germania oggi è il secondo più grande fornitore di armi di Israele dopo gli Stati Uniti.

La presunta campagna contro l’antisemitismo, interpretata come qualsiasi dichiarazione critica nei confronti dello Stato di Israele o che denuncia il Genocidio, è in realtà la difesa del Potere Bianco. È per questo che lo Stato tedesco, che ha di fatto criminalizzato il sostegno ai palestinesi, e i suprematisti bianchi più radicali negli Stati Uniti, giustificano il massacro. Il lungo rapporto della Germania con Israele, compreso il pagamento di oltre 90 miliardi di dollari (81,4 miliardi di euro) dal 1945 in risarcimenti ai sopravvissuti all’Olocausto e ai loro eredi, non riguarda l’espiazione, come scrive lo storico israeliano Ilan Pappé, ma il riscatto.

“L’argomento a favore di uno Stato Ebraico come compensazione per l’Olocausto era un argomento potente, così potente che nessuno ascoltò il rifiuto totale della soluzione delle Nazioni Unite da parte della stragrande maggioranza del popolo palestinese”, scrive Pappé. “Ciò che emerge chiaramente è un desiderio europeo di espiazione. I diritti fondamentali e naturali dei palestinesi dovrebbero essere messi da parte, sminuiti e dimenticati del tutto in nome del perdono che l’Europa stava cercando dal neonato Stato Ebraico. Era molto più facile riparare al male nazista nei confronti del movimento sionista che affrontare gli ebrei del mondo in generale. Era meno complesso e, cosa più importante, non comportava il confronto con le stesse vittime dell’Olocausto, ma piuttosto con uno Stato che pretendeva di rappresentarle. Il prezzo di questa espiazione più conveniente è stato quello di derubare i palestinesi di ogni diritto fondamentale e naturale di cui disponevano e di permettere al movimento sionista di effettuarne la Pulizia Etnica senza timore di alcun rimprovero o condanna”.

L’Olocausto è stato utilizzato come arma fin dal momento stesso in cui è stato fondato Israele. È stato snaturato per servire lo Stato dell’Apartheid. Se dimentichiamo le lezioni dell’Olocausto, dimentichiamo chi siamo e cosa siamo capaci di diventare. Cerchiamo il nostro valore morale nel passato, piuttosto che nel presente. Condanniamo gli altri, compresi i palestinesi, a un ciclo infinito di massacri. Diventiamo il male che condanniamo. Consacriamo l’orrore.

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell’Ufficio per il Medio Oriente e dell’Ufficio balcanico per il giornale. In precedenza ha lavorato all’estero per The Dallas Morning News, The Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore dello spettacolo RT America nominato agli Emmy Award On Contact.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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