Io credo nei contenuti non nelle competenze, nelle tecniche, nelle didattiche. Credo in una scuola dei contenuti, cioè della cultura, del pensiero, dell’affinamento del gusto. Credo che la competenza che si origina dal sapere Dante sia conoscere Dante. Credo che la competenza che si origina dal sapere Hegel sia conoscere Hegel. E se non lo sai applicare o non lo usi nella costruzione della tua cultura non è perché dovevi svilupparne le collegate competenze ma semplicemente perché non lo hai capito, lo hai fatto male, ne hai fatto poco. Pochi contenuti, contenuti poco capiti, contenuti adulterati.
Credo che le
nozioni siano importanti perché organizzano un contesto entro cui accogliere le
cose che impari e che capisci. Credo che chi abbia negli anni lavorato solo
agli aspetti formali e didattici del sapere sia a forte rischio di miseria
concettuale e spirituale e persino morale perché per leggere eticamente il
mondo devi conoscere il mondo umano e il tecnocrate ne conosce il solo
funzionamento (che non è il mondo umano).
Credo che la
scuola sia l’unica occasione di formare uomini decenti e che questo fine sia
incommensurabilmente superiore e prioritario rispetto al creare cittadini,
elettori, lavoratori, consumatori (l’ordine non è casuale ma con valore discendente).
Uomini decenti sono uomini che hanno un linguaggio per capire gli altri e farsi
capire. Hanno un mondo che è stratificazione del tempo e non un incubo
sincronico. Per questo servono i contenuti.
Credo che la
lotta senza quartiere ingaggiata contro i contenuti serva a indebolire la
classe docente (ormai ridotta a massa amorfa), a far sentire a disagio i colti
e i preparati e a porre sugli altari gli altri: gli sbrigafaccende, il ceto
impiegatizio, i devoti dell’informatica, felici di abbandonare i contenuti che
non hanno e di non avere finalmente alcun imbarazzo perché hanno dovuto
insegnare letteratura, fisica, biologia, filosofia eccetera senza saperle e
senza amarle. Credo che questi docenti, che non lo sono più perché si occupano
di come insegnare ma non sanno più cosa insegnare, penalizzeranno ogni
desiderio sorgivo e adolescenziale di cultura e di sapere dei loro studenti
perché non lo riconosceranno formando solo altri tecnici e impiegati
dell’esistenza come se saper fare le cose significasse non pensare e non godere
più del sapere.
Credo che i
nuovi docenti vengano catechizzati perennemente da corsi per ottenere crediti e
abilitazioni dove nessuno gli chiede se sanno qualcosa e se lo sanno spiegano
loro come sia il caso di dimenticarlo e dove pilatescamente si fa finta che le
lauree attuali garantiscano una preparazione decorosa e non bisognosa né di
potenziamento né di manutenzione.
Credo che
studiare a memoria sia orribile ma imparare a memoria delle canzoni o delle
poesie o degli aforismi sia bello. Credo sia bello perché anche tu puoi sapere
o trattenere qualcosa senza dover ricorrere al web, perché è un modo di
possederla, la bellezza. Perché non possiamo porre tutto all’esterno e pensare
che non porremo anche noi stessi fuori di noi.
Penso che,
se i contenuti non li avremo più e li avranno solo le intelligenze artificiali,
non avremo più nulla per criticarle e dominarle. Credo che la costruzione di
una mente ben fatta e anche ben fornita sia l’unico modo per sfuggire alla
tentazione di autodegradarci a forma di vita subordinata e credo che da secoli
non si sia mai vista in giro una simile imbarazzante voglia di obbedienza, una
capacità simile di costruire dipendenza mentale (“come farei senza ChatGPT” mi
ha detto seria una studentessa di terza liceo – si è fatto ancora più presto
del solito a cedere devo dire).
Credo che
senza contenuti siamo leggeri, voliamo via.
D'accordo. Già postato lo scritto di Davide nel mio blog.
RispondiEliminavisto adesso:)
RispondiElimina