(traduzione di Bruno Arpaia)
Asier e Joseba vanno in Francia per apprendere le basi per aderire militarmente nell'ETA.
i due si impegnano sognando a tutti gli effetti, di diventare militanti, purtroppo per loro l'ETA si scioglie e loro due decidono di formare un nuovo gruppo militare, con due soli aderenti, loro due.
i due amci sono due poveri sfigati, che non capiscono bene cosa succede, in certi momenti sono un po' Bouvard e Pécuchet, in altri (quando viaggiano lungo il fiume) sono un po' Huckleberry Finn e Tom Sawyer.
un libro che non annoia, promesso.
buona (basca) lettura.
Asier e Joseba sono due giovani baschi che, imbevuti di
ideologia nazionalista, decidono di lasciare tutto per entrare nell'ETA.
Fernando Aramburu torna al mondo di Patria e questa volta racconta, con
umorismo caustico e irriverente, stile veloce e lampi di virtuosismo,
l'addestramento alle armi di due ragazzi spediti nella parte basca della
Francia, e più precisamente in una fattoria di allevatori di galline: Asier,
rigido e disciplinato, e Joseba, timido e impacciato, si sottopongono con
spirito all'inquadramento e attendono ordini, sospinti dalla forza cieca delle
loro convinzioni. Proprio quando si sentono pronti all'azione (e sono
maledettamente stufi di mangiare sempre pollo) l'ETA annuncia in tv la fine
della lotta armata e lo scioglimento delle cellule. Che fare? Ventenni e
sprovveduti, senza il becco di un quattrino e travolti da eventi più grandi di
loro, i due decidono di fondare una nuova organizzazione di cui sono gli unici
membri. Sotto una pioggia implacabile, tra furtarelli, sequestri, soldi
sottratti impunemente e amicizie inaspettate, i due si trovano ad affrontare
un'avventura rocambolesca tra il drammatico e il comico, mentre gli ideali si
scontrano sempre più ferocemente con la nostalgia di casa.
…È proprio
l'incredibile divario tra le aspirazioni
altissime dei personaggi e i gesti minimi, in una realtà prosaica a
rendere Figli della favola tragicomico
in molti suoi passaggi. Ecco che i due protagonisti, amici in nome di
un'ideologia, ma sostanzialmente soli e senza una direzione chiara, procedono a
tentoni, e così anche i viaggi che dovranno affrontare vengono intrapresi senza
un piano, all'insegna dell'improvvisazione. E le donne in qualche modo arrivano
e mostrano tutt'altra intraprendenza rispetto ai protagonisti: sono risolute,
determinate, e sanno come scuotere questi eterni bambini.
Nonostante l'ambientazione
storica precisa, per Aramburu l'imperativo era rendere la condizione umana di
due ragazzi che si sono auto-emarginati per un ideale, continuando a «mostrare come la Storia si rifletta sulla storia
del singolo». Risponde a questo desiderio il lavoro di revisione, durato
alcuni anni, che ha portato Aramburu, dopo una prima redazione, a riprendere Figli della favola: è stato difficile
mantenere un equilibrio tra il suo aspetto triviale e il desiderio di mostrare
il terrorismo per quello che era, con la sua vera faccia.
E, in effetti, per quanto i
personaggi possano talvolta suscitare un sorriso, questo non è mai privo di una
certa amarezza. Lo stile giocoso, a cominciare dall'estrema spontaneità dei
dialoghi, rende Figli della favola una
storia irriverente verso un'ideologia, ma rispettosa verso i famigliari di chi
non c'è più. L'empatia viene volutamente tenuta lontana, perché l'ironia amara
ricorda al lettore di mantenere una distanza critica, di provare tutt'al più
pietà per questi personaggi patetici che puntano all'eroismo, non avendo invece
valori saldi a cui aggrapparsi come individui.
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