lunedì 28 novembre 2011

Franco Arminio - Circo dell'ipocondria

Franco Arminio lo conosco da poco, ma ho letto molto di quello che scrive.
In questo libro parla di sé, e di noi, come sempre, come tutti, con una scrittura spesso aforistica.
A me è piaciuto, e magari piace anche a voi, ma ancora non lo sapete.
Cominciate da questo libro, o da un altro, ne vale la pena - franz


“…La posta elettronica , i blog, le chat, i messaggi sul telefonino, sono giocattoli assai simili al videopoker, sono le slot machines dell’anima. Tu metti gli spiccioli di una poesia e aspetti che ti arrivi una cascata di complimenti. Sei dentro un gioco e pensi di fare cultura, questo è il problema. Sei dentro una nevrosi e pensi che stai littando per cambiare il mondo…”(p.48)

“…Scrivere è annusare l’invisibile. È un odore che non sentiremo mai, ma non si rimane a mani vuote come nelle conversazioni sociali, nelle riunioni politiche, nelle chiacchiere da marciapiede…”(p.37)

La prosa di Arminio è perfetta. Non, o non solo, in senso letterario: immagini e idee sono il suo respiro. Altri testi cercano di dire delle cose, le “traducono”; e vi si può aderire o meno, dunque, sul piano della loro verità. Ma qual è la verità di una scrittura, se non la scrittura stessa? Nulla al di là di quel filo sottile in cui consiste, mentre leggiamo, tutto l’universo.
Arminio è uno scrittore talmente originale che di questa originalità ha finito per fare una malattia. Quella malattia che pensa se stessa: perché consiste proprio nel terrore di ammalarsi. Il miracolo del libro, allora, consiste nella sua salute: una splendida salute precaria.
Tra il corpo di Arminio e la sua terra, l’Irpinia terremotata e malricostruita, sussiste una profonda relazione. L’uno è il sintomo dei mali dell’altra. Così, alla prosa ruminante e insieme limpida degli aforismi e dei brevi saggi di Circo dell’ipocondria, si associano con naturalezza le immagini di Terra dei paesi, uno dei singolarissimi documentari che Arminio da qualche tempo ha preso a realizzare. Un film fatto, per lo più, di inquadrature fisse: luoghi assorti e silenziosi o bisbiglianti chiacchiere senza fine. Luoghi che sembrano in attesa – di qualcosa d’indefinibile, o forse innominabile. Ci si ricorda delle cartoline di paese, in bianco e nero, dell’“Intervallo” che occhieggiava dagli schermi televisivi di quello che pare un secolo fa.
Ecco: quella di Arminio è una scrittura-intervallo. Una scrittura che si prende tutto il respiro di cui ha bisogno perché il suo tempo – indipendentemente dalla sua durata – è in realtà infinito. Naturale che si finisca per vivere nella paura.
A.C.


Arminio ama Arminio tant’è che si preoccupa per lui e lo osserva attentamente, lo segue in tutti i suoi spostamenti d’ansia, lo studia, gli fa visita e lo visita, gli tasta il polso e lo fotografa, gli fa le radiografie interne perché Arminio è un ipocondriaco che ha paura di morire, di diventare trasparente, così trasparente che neppure le radiografie e la scrittura si accorgono che lui esiste, non registrano niente, non danno alcun dato. Così fino a quando Arminio si tasta il polso e sente il suo battito Arminio è contento, anche se il battito non è proprio perfetto, ogni tanto perde un colpo. Ad Arminio piacciono gli aforismi, c’è una parte del libro interamente dedicata ad essi ma anche nel mezzo non ne mancano…

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