sabato 12 novembre 2011

Tribunale Russell accusa: Israele pratica apartheid

Si è chiusa  a Cape Town (Sud-Africa) la terza sessione del Tribunale Russell sulla Palestina. Nel corso dei tre giorni appena trascorsi, giuristi, intellettuali e attivisti provenienti da tutto il mondo si sono confrontati con la domanda se le pratiche israeliane contro la popolazione palestinese violino il divieto di apartheid in base al diritto internazionale. La conclusione è stata una netta affermazione di responsabilità nei confronti di Israele: il Tribunale Russell ha affermato che il popolo palestinese è “soggetto a un regime istituzionalizzato di dominazione che integra la nozione di apartheid come definita in diritto internazionale”.
Nato dall’idea del filosofo inglese Bertrand Russell e del commediografo e filosofo francese Jean Paul Sartre nel 1966 – come risposta ai crimini commessi durante la guerra del Vietnam – il Tribunale Russell è un cosiddetto tribunale di opinione. Si tratta in altre parole di un’istituzione priva di poteri giudiziari o coercitivi, composta non da magistrati togati ma da personalità emerite, giuristi e intellettuali, tra cui, storicamente, diversi premi Nobel. Il suo scopo è di portare attenzione e pubblica consapevolezza su gravi situazioni di violazioni di diritti umani, commissione di crimini di guerra, contro l’umanità, o altre violazioni del diritto internazionale…
Molti testimoni ed esperti sono stati chiamati a testimoniare davanti al Tribunale Russell a Cape Town; tra questi Raji Sourani, il direttore del Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) di Gaza. Esponendo le pratiche discriminatorie perpetrate da Israele ai danni del popolo Palestinese, Sourani ha messo bene in luce come queste pratiche siano diverse a seconda che si tratti della minoranza palestinese residente in Israele, dei Palestinesi in Cisgiordania, a Gerusalemme Est o dell’oltre milione e mezzo di Palestinesi di Gaza.  E tuttavia nella sostanza poco cambia: il complesso delle gravi discriminazioni commesse ai danni della popolazione non ebrea in Israele o dei Palestinesi nei territori occupati integra una forma di apartheid, che sebbene non coincidente nella forma quella a suo tempo praticata in Sud-Africa, ne ricalca la sostanza…
Non solo lo stato di Israele viene continuamente meno al suo obbligo, imposto dal diritto internazionale come potenza occupante, di garantire il benessere e la sicurezza della popolazione civile del territorio occupato (è bene notare che quasi tutte le infrastrutture nel territorio palestinese, incluse le scuole, gli ospedali, le strade, gli acquedotti sono opera di donors stranieri e agenzie di aiuti internazionali); Israele pratica, sempre nelle parole di Dugard, il peggiore tipo di colonalismo, sfruttando le risorse idriche e la terra dei Palestinesi mediante una aggressiva comunità di coloni ebrei che non ha alcun interesse nel benessere degli abitanti della zona.
Se non è apartheid questa, occorre allora coniare una nuova parola per descrivere il crimine che i palestinesi stanno subendo, una parola che rispecchi la disumanità delle politiche di soggiogamento e oppressione di una intera popolazione da oltre 44 anni.

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