lunedì 26 aprile 2021

L’attacco a chi non sa tacere - Francesco Martone

Giornalisti ed avvocati intercettati perché si occupano di diritti dei migranti, attivisti criminalizzati ed accusati di reati di immigrazione clandestina per soccorrere migranti in mare o per terra, difensori della terra incarcerati per aver espresso il loro sostegno alla causa No Tav, altri sotto processo per difendere la loro terra dal gasdotto Tap.

Sono solo alcune delle storie e delle vicende che arrivano all’attenzione dell’opinione pubblica nel nostro paese. Trattano di soggetti, individui, movimenti o comunità, che difendono i diritti umani e dell’ambiente ed operano in quello che il filosofo Simon Critchley definisce lo spazio interstiziale all’interno dello Stato. Spazio nel quale si svolge la “vera politica” quella del movimento tra potere dello Stato e l’assenza del potere.

Come aggiunge Critchley, “Questi interstizi non sono dati o inesistenti, ma sono creati attraverso la pratica politica. Cioè la politica in sé è l’invenzione di distanze interstiziali“.

È in questi spazi che agiscono vari soggetti politici e sociali dai movimenti, alle organizzazioni della società civile, ai difensori dei diritti umani, ossia chi, come specifica la Dichiarazione Onu sui difensori dei diritti umani, «lavora a livello individuale o insieme ad altri, per promuovere e proteggere i diritti umani, in modo nonviolento. Chi si oppone a regimi dittatoriali chi lotta contro le discriminazioni e le ingiustizie, chi documenta abusi sui diritti umani, chi difende l’ambiente».

La situazione che si registra nel nostro paese riguardo ai difensori dei diritti umani è parte di un processo di restrizione degli spazi di agibilità ed iniziativa sociale, in atto su scala globale.

È il cosiddetto ‘shrinking space’, metafora utilizzata per descrivere una nuova generazione di forme di repressione delle lotte politiche. Lo stesso concetto di spazio ha differenti definizioni a seconda di coloro ai quali ci si rivolge. Alcuni lo intendono come uno spazio limitato all’obiettivo di influenzare la politica – una sorta di posto al tavolo della trattativa – mentre altri interpretano il suo significato come uno spazio per organizzare, operare, protestare e dissentire.

La prima accezione tende a depoliticizzare la protesta, mentre la seconda ne accresce il potere. Dalle intimidazioni, alle campagne denigratorie e di diffamazione a mezzo stampa, all’imposizione di condizioni sempre più stringenti per la rendicontazione delle fonti di finanziamento, a complicate procedure burocratiche, ricorrendo poi in casi estremi all’arresto, ed alla condanna per attività criminali, terroristiche o in qualche maniera considerate contro l’interesse nazionale e la sicurezza, gli strumenti per restringere questi spazi di agibilità sono tanti, e spesso ricorrenti.

È un leitmotiv che ormai con varia intensità attraversa la gran parte dei paesi nel mondo, anche quelli considerati “democrazie liberali”. Torsioni securitarie, retorica nazionalista e xenofoba, rafforzamento delle formazioni populiste di destra rappresentano oggi una minaccia senza precedenti per le organizzazioni della società civile.

A livello globale, Il Business and Human Rights Resource Center ha registrato dal 2015 al 2019 almeno 2000 attacchi a difensori dei diritti umani: 572 nel solo 2019, con un ulteriore aumento nel 2020 nel contesto della pandemia. E l’organizzazione internazionale FrontLine Defenders nel suo “Rendiconto globale sui difensori dei diritti umani” ha registrato l’uccisione nel 2020 di 331 difensori dei diritti umani (287 uomini e 44 donne).

Il 69% dei quali era attivo nella protezione dell’ambiente e per i diritti della terra, il 26% erano attivisti per i diritti dei popoli indigeni e il 28% erano attiviste per i diritti di genere. Questi dati sono solo la punta di iceberg di una situazione che a livello globale è sempre più preoccupante, come dimostra l’ultimo rapporto sullo stato della società civile nel mondo a cura di CIVICUS1 o nei rapporti di Amnesty International o Human Rights Watch.

Una situazione senz’altro aggravata dall’applicazione indiscriminata di misure restrittive per contenere la pandemia Covid e che per molti governi è diventata occasione per inasprire ulteriormente politiche restrittive e liberticide. Per quanto riguarda l’Europa, l’ultimo rapporto sullo stato dei diritti civili, a cura di Civil Liberties Union for Europe (rappresentata in Italia dalla Cild) e punta il dito sui casi di Slovenia, Polonia ed Ungheria, ma anche su abusi sul diritto all’informazione, all’associazione ed espressione in gran parte dei paesi dell’Unione.

Ad esempio, in paesi come Bulgaria, Germania, Ungheria e Slovenia si è registrato un aumento delle restrizioni alla libertà di associazione, mentre in Francia, Bulgaria, Croazia, Slovenia, Spagna e Polonia si sono registrate violente repressioni delle manifestazioni di piazza ed arresti arbitrari.

Frequente è il ricorso ai cosiddetti SLAPPS (strategic lawsuits against public participation) da parte di governi e imprese per mettere a tacere ogni forma di critica, e per intimidire attivisti e attiviste. Una pratica in crescita soprattutto in Croazia, Polonia, Slovenia e Spagna, ma che sta diventano sempre più comune anche in Francia, Irlanda e Italia.

Nel nostro paese il tema dei difensori dei diritti umani è al centro delle attività e delle iniziative della rete “In difesa Di – per i diritti umani e chi li difende”, una coalizione di circa 40 associazioni, reti, organizzazioni non governative di varia natura ed estrazione, da associazioni ambientaliste, a quelle che lavorano sui diritti umani ed i diritti civili, sullo stato di diritto, ad organizzazioni di solidarietà internazionale e cooperazione.

Lanciata in occasione di un convegno internazionale sui difensori dei diritti umani alla Camera dei deputati nel 2016, e sulla scia di una importante risoluzione approvata dalla Camera, la rete ha consolidato le sue attività ed iniziative a livello nazionale ed internazionale, in particolare in occasione della presidenza italiana dell’Osce del 2018 e la candidatura italiana al seggio triennale al Consiglio dei diritti umani dell’Onu.

Da allora la difesa dei difensori dei diritti umani è diventata parte integrante della politica estera del paese, visto l’impegno che l’Italia deve ottemperare in quanto membro delle Nazioni unite e dell’Unione europea, in particolare nell’applicazione delle linee guida Ue sui difensori dei diritti umani per le rappresentanze diplomatiche dei paesi membri.

Inoltre, il lavoro della rete è stato rivolto a aprire e consolidare canali di comunicazione con le istanze internazionali di tutela, (dagli uffici dei relatori speciali Onu sui Difensori dei diritti umani e dei diritti dei migranti, all’Ufficio diritti umani e democrazia dell’Osce-Odhr, al Consiglio d’Europa) in particolare facilitando i contatti con Ong criminalizzate per il soccorso in mare.

Altra dimensione di lavoro prioritaria è quella di attivare iniziative in sostegno dei difensori dei diritti umani a livello locale, attraverso il lancio di un piano pilota di città rifugio per i difensori dei diritti umani.

Ad oggi Padova e comuni limitrofi, Trento, Torino sono città “rifugio” per i difensori dei diritti umani, ribattezzate poi “Città in difesa di”. Ispirate dalle “shelter cities” olandesi ed al programma di Cear nel Paese basco, le “Città in difesa di” sono un esperimento innovativo che immagina le città, (intese nella loro accezione ampia, non solo le amministrazioni locali ma anche università, organizzazioni della società civile e non-governative), come attori centrali nella promozione dei diritti umani, e nella protezione e sostegno a chi li difende. Infine la rete ha iniziato progressivamente a occuparsi della situazione dei difensori dei diritti umani a livello nazionale, a partire dalla visita accademica del relatore Speciale Onu sui Difensori dei diritti umani Michel Forst, invitato dalla rete nel maggio 2017 fino alla denuncia pubblica delle politiche migratorie dell’allora ministro Salvini alle Nazioni unite a Ginevra, al lavoro di monitoraggio della criminalizzazione della solidarietà2, ed alle collaborazioni con altre realtà che in Italia si occupano di criminalizzazione del dissenso quali la Associazione Bianca Guidetti Serra nel caso della criminalizzazione del movimento No Tap e dei difensori della terra.

A tal riguardo giova ricordare che l’Italia, pur non disponendo ancora di una autorità nazionale indipendente sui diritti umani, è tuttavia tenuta a rispettare ed applicare la Dichiarazione Onu sui Difensori dei diritti umani anche nella dimensione “interna” e le linee guida Osce /Odihur per i difensori dei diritti umani3.

L’Osce ha infatti adottato delle linee guida che sono valide per l’Italia sia per le rappresentanze diplomatiche nei paesi Osce sia a livello nazionale. In particolare, le linee-guida invitano testualmente le istituzioni statuali ed i pubblici funzionari ad evitare di essere coinvolti in campagne di diffamazione, delegittimazione o stigmatizzazione dei difensori dei diritti umani e del loro lavoro, e ad “intraprendere iniziative per contrastare tali campagne di stigmatizzazione dei difensori anche da parte di terzi”. Inoltre i governi e le istituzioni statuali ad ogni livello dovrebbero“condannare pubblicamente queste manifestazioni ed ogni attacco ai difensori dei diritti umani”.

Eppure, negli ultimi anni si è assistito, come ho accennato, a una preoccupante recrudescenza di casi di criminalizzazione e delegittimazione di difensori dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda chi, a titolo individuale o collettivo, si impegna per la difesa dei diritti dei migranti e per la tutela dell’ambiente.

Non è un caso che ambedue le categorie rappresentino una sfida evidente alla necropolitica ed alle sue implicazioni sulla vita di migliaia di migranti ed al biocidio, determinato da scelte di sfruttamento delle risorse naturali e dell’ambiente che concorrono in tutto o in parte ad aggravare ulteriormente la crisi ecologica attuale, prodotta dal modello capitalista estrattivista. In questo contesto, coloro che salvano i migranti o lavorano per il rispetto dei loro diritti, e coloro che proteggono la Terra sono difensori dei diritti umani e vanno riconosciuti come tali.

Con tutto ciò che ne deriva in termini di attuazione e rispetto degli impegni internazionali del paese. Ciononostante nella criminalizzazione della solidarietà e degli attivisti No Tap o No Tav le autorità nazionali preposte, quando non sono state attivamente coinvolte e complici, hanno comunque omesso di impegnarsi effettivamente per il rispetto delle linee guida e il riconoscimento pubblico del ruolo dei Difensori dei diritti umani.

Ciò è senz’altro frutto di una mancata diffusa consapevolezza di chi è un difensore dei diritti umani, di una carente cultura e assenza di formazione sui diritti umani, di un’eccessiva frammentazione delle competenze istituzionali, e dell’assenza nel nostro paese di una Autorità nazionale indipendente preposta a vigilare sul loro rispetto.

Tutto questo sullo sfondo di scelte politiche decisamente orientate verso la repressione e la criminalizzazione del dissenso e della disobbedienza civile. Basti pensare al Decreto sicurezza nelle parti relative alla gestione dell’ordine pubblico, o all’uso ricorrente del Daspo per limitare la libertà di movimento di attivisti in ogni parte del paese. O dei Slapp, come accennato in precedenza.

Un’importante occasione per porre al centro del dibattito politico e delle iniziative per la decriminalizzazione della solidarietà, della tutela dell’ambiente ed il diritto al dissenso può essere rappresentata dall’imminente pubblicazione del prossimo rapporto dell’Osce-Odihr sulla situazione dei difensori dei diritti umani in Italia.

Dopo un primo documento sull’applicazione delle linee guida nei paesi Osce, tra i quali l’Italia, l’Osce-Odihr, ha svolto lo scorso anno c’è stata una missione per valutare la situazione nel nostro paese. In seguito, è stato convocato un workshop con tutte le autorità italiane competenti e le organizzazioni della società civile, tra le quali la rete In Difesa Di.

Nelle prossime settimane il documento dovrebbe essere reso pubblico. L’attenzione internazionale, e degli organismi di tutela verso l’Italia continua quindi ad essere alta, e ciò può offrire un’importante sponda per lanciare un’iniziativa nazionale, con la partecipazione il più ampia possibile di organizzazioni, associazioni e singoli/e individui/e preoccupati/e del rispetto dei diritti umani, della libertà di associazione, manifestazione, espressione, e in generale della qualità della democrazia.

Un’iniziativa rivolta ai più alti vertici dello Stato affinché intervenga con un programma nazionale per la protezione e tutela dei difensori dei diritti umani e del diritto al dissenso, fornendo gli strumenti necessari per assicurare trasparenza e responsabilizzazione delle autorità competenti nell’applicazione della Convenzione Onu e delle linee guida Osce.

È urgente istituire l’Autorità nazionale indipendente per i diritti umani (tuttora al vaglio della Camera) prevedendo nel suo mandato la verifica e il monitoraggio del rispetto e sostegno agli Human Rights Defenders. L’Autorità dovrebbe predisporre e coordinare il programma nazionale, con la partecipazione attiva della società civile, assicurando il coordinamento inter-istituzionale, e la titolarità di indagine su eventuali violazioni dei diritti dei difensori dei diritti umani. In attesa della creazione dell’Autorità, sarà comunque necessario mettere a punto un piano di azione nazionale (possibilmente di competenza del Comitato interministeriale per i diritti umani – Cidu) che assicuri il coordinamento e la coerenza per quanto riguarda i rapporti con gli organismi internazionali di tutela degli Human Rights Defenders, (UN, Fundamental Rights Agency della Unione europea, CoE, Osce-Odihr).

Fino ad oggi è stato difficile per la società civile riuscire a seguire e monitorare i vari livelli di interlocuzione istituzionale, e sarebbe pertanto auspicabile un approccio coerente nelle modalità di reporting, e di verifica attiva. Si potrà così contribuire a ottemperare agli impegni presi a livello internazionale, in modo coerente e strutturato, con lo scopo di risolvere alla base le gravi lacune e omissioni che ancora persistono nella cultura e pratica politica del paese.

Note

1 Per un’analisi paese per paese si può consultare il Civil Society Monitor online: https://monitor.civicus.org

2 Nel corso degli ultimi anni i Relatori Speciali ONU hanno inviato molteplici comunicazioni all’Italia relative alla criminalizzazione della solidarietà: https://spcommreports.ohchr.org/TmSearch/Results

3 Interessante notare come le linee guida siano state utilizzate come strumento di monitoraggio indipendente della situazione dei difensori dell’ambiente in Salento: https://ecor.network/italia/un-dossier-sulla-criminalizzazione-dei-movimenti-salentini/

Articolo pubblicato anche sul blog Centroriformastato.it

da qui

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