L’Occidente a guida americana ha un interesse, inconfessabile ma imperativo, a creare in modo crescente ferite sistemiche, in modo che le forze produttive siano chiamate a lavorare a pieno ritmo e i margini di profitto si vitalizzino.
La parabola dell’Occidente e i nuovi
Potlatch
Nel quadro politico internazionale che caratterizza questa fase storica c’è
un fattore che trovo estremamente preoccupante. Si tratta della combinazione,
nel mondo Occidentale, di un fattore strutturale e un fattore culturale. Provo
a tratteggiarne in modo volutamente schematico gli aspetti di fondo.
Il retroterra strutturale
L’Occidente ha notoriamente acquisito una posizione
globalmente egemonica negli ultimi tre secoli. Lo ha fatto in grazia
di alcune innovazioni (europee) che gli hanno permesso di incrementare in modo
decisivo la produzione industriale e la tecnologia militare.
Nel corso dell’800 l’Occidente ha imposto le proprie leggi, o i propri
contratti, sostanzialmente a tutto il mondo. Alcune parti del mondo come il Nord-America e
l’Oceania hanno cambiato radicalmente configurazione etnica,
divenendo insediamenti stabili di popolazioni di origine europea.
Imperi asiatici millenari si sono trovato in condizione di protettorato,
colonia o comunque di sottomissione. L’Africa è diventata un cespite
cui attingere liberamente forza lavoro e materie prime.
Tutto ciò è avvenuto alla luce di un modello economico che aveva
strutturalmente bisogno di crescere costantemente per mantenere la propria
funzionalità, inclusa la pace interna. La dinamicità espansiva occidentale è
stata spinta in modo decisivo dal fatto che il sistema aveva bisogno di margini
costanti di profitto e le imprese estere garantivano cospicui ritorni
(rendendole perciò robustamente finanziabili).
Questo processo è continuato tra alti e bassi fino all’inizio del XXI
secolo. Più o meno con la crisi subprime (2007-2008) si segnala una difficoltà
rilevante nel mantenere il dominio su un sistema-mondo demograficamente,
politicamente, culturalmente troppo vasto.
Il sistema di sviluppo occidentale, ampiamente basato sulla libera
iniziativa decentrata, nella sua ricerca di margini di profitto ha commesso
alcuni errori imperdonabili per un potere imperiale, quale ne frattempo era
divenuto (prima come impero britannico, poi come impero americano).
Siccome la sfera finanziaria presenta maggiori margini di profitto rispetto
alla sfera industriale si è assistito in Occidente ad uno spostamento costante
delle manifatture in paesi remoti con salari bassi. Mentre quest’operazione è
riuscita in alcuni paesi con un’organizzazione interna fragile, che sono stati
e rimangono dei semplici produttori sussidiari, politicamente subordinati a
potenze occidentali, questo non è riuscito in alcuni paesi che offrivano per
ragioni culturali maggiore resistenza, Cina in testa.
L’emergere di alcuni contropoteri nel mondo è oramai un dato storico
incontrovertibile e inemendabile. Un Occidente che ha giocato per anni tutte le
sue carte sul predominio finanziario e tecnologico si ritrova sfidato da
contropoteri capaci di opporre efficace resistenza sia sul piano economico che
militare.
In questo senso la guerra russo-ucraina, con gli errori fatali commessi
dall’Occidente, rappresenta un momento di passaggio storico: aver spinto Russia e
Cina ad un’alleanza obbligata ha creato l’unico polo mondiale realmente
invincibile anche per l’Occidente unificato.
Gli USA erano così preoccupati di interrompere una possibile proficua
collaborazione tra Europa (Germania in particolare) e Russia
che hanno trascurato una collaborazione molto più potente e decisiva, quella
tra Russia e Cina appunto.
Ma cosa accade nel momento in cui un Occidente a guida americana si trova
di fronte ad un contropotere insuperabile? Molto semplicemente il modello –
sperimentato nell’ultima fase sotto il nome di “globalizzazione” – basato
sull’aspettativa di un’espansione incontrastata e di margini continuamente
dilatabili di profitto si arresta bruscamente.
Le catene di fornitura appaiono sovraestese e incontrollabili, nel momento
in cui gli USA non sono più l’unico pistolero del paese. Si profila l’incubo
sistemico del modello liberal-capitalistico: la perdita di un orizzonte di
espansione. Senza prospettive di espansione l’intero sistema, a partire dalla
sfera finanziaria, entra in una crisi senza sbocchi.
Il retroterra culturale
Ed è qui che subentra il secondo protagonista dello scenario corrente,
ovvero il fattore culturale. La cultura elaborata negli ultimi tre secoli in
Occidente è qualcosa di assai caratteristico. Si tratta di un approccio
culturale universalistico, astorico, naturalistico, che – anche grazie ai
successi ottenuti sul piano tecnoscientifico – ha finito per autointerpretarsi
come Ultima Verità, sul piano epistemico, politico ed esistenziale.
La cultura occidentale, che ha conquistato il mondo non per le capacità
persuasive delle proprie virtù morali, ma per quelle dei propri obici, ha però
immaginato che una cultura capace di costruire obici così efficienti non poteva
che essere intrinsecamente Vera.
L’universalismo naturalistico ci ha disabituato a valutare le differenze
storiche e culturali, assumendone il carattere contingente, di mero pregiudizio
che verrà superato.
Quest’impostazione culturale ha creato un danno devastante, che ha coinciso
in Europa con la galoppante americanizzazione delle proprie grandi tradizioni:
l’Occidente, divenuto il sistema di vassallaggio del potere americano, appare
oggi culturalmente del tutto incapace di comprendere il proprio carattere di
determinazione storica, non serenamente universalizzabile.
L’Occidente, pensandosi come incarnazione del Vero (la Liberaldemocrazia, i
Diritti Umani, la Scienza) non ha dunque gli strumenti culturali per pensare
che un altro mondo (e anzi più d’uno) sia possibile.
Il vicolo cieco della storia
occidentale
Ecco, se ora uniamo i due fattori, strutturale e culturale, che abbiamo
menzionato ci ritroviamo con il seguente quadro: l’Occidente a guida americana
non può mantenere il proprio statuto di potere, garantito dalla prospettiva
dell’espansione illimitata, e d’altro canto non può neppure immaginare alcun
modello alternativo, in quanto si concepisce come l’Ultima Verità. Quest’aporia
produce uno scenario epocale tragico.
L’Occidente a guida americana non è in grado di riconoscere alcun “Piano
B”, e d’altro canto comprende che il “Piano A” è reso fisicamente
impercorribile dall’esistenza di contropoteri innegabili. Questa situazione
produce un’unica pervicace tendenza, quella a lavorare affinché quei
contropoteri internazionali vengano meno.
Detto in termini semplificati: gli USA non hanno alcuna prospettiva diversa
in campo da quella di ricondurre in una condizione subordinata – come fu in
passato – i contropoteri euroasiatici (Russia, Cina, Iran-Persia; l’India è già
sostanzialmente sotto controllo). Ma questa sottomissione oggi non può che passare
attraverso un conflitto, o una guerra aperta o una sommatoria di guerre ibride
volte a destabilizzare il “nemico”.
Ma, a questo punto, la situazione è resa particolarmente drammatica da un
altro fattore strutturale. Per quanto gli USA sappiano di non poter affrontare
una guerra aperta senza esclusione di colpi (nucleare), hanno un fortissimo
incentivo a che la guerra non si mantenga sul piano ibrido “a basso voltaggio”.
Questo per la ragione strutturale vista in precedenza: c’è bisogno di una
prospettiva di incremento produttivo.
Ma come si può garantire una prospettiva di incremento produttivo in una
condizione in cui l’espansione fisica non è più possibile (o è troppo incerta)?
La riposta purtroppo è semplice: una prospettiva di incremento produttivo sotto
queste condizioni può essere garantita solo se simultaneamente vengono create
delle fornaci dove poter bruciare costantemente quanto prodotto.
C’è la necessità sistemica di inventarsi dei colossali, e sanguinosi, Potlatch,
che diversamente dai Potlatch dei nativi americani, non devono distruggere solo
oggetti materiali, ma anche esseri umani.
In altri termini, l’Occidente a guida americana ha un interesse,
inconfessabile ma imperativo, a creare in modo crescente ferite sistemiche da
cui far defluire il sangue, in modo che le forze produttive siano chiamate a
lavorare a pieno ritmo e i margini di profitto si vitalizzino.
E quali forme possono prendere queste ferite che distruggono ciclicamente,
e in modo poderoso, le risorse? Di primo acchito direi che ne vengono in mente
due: guerre e pandemie.
Solo un nuovo orizzonte di sacrifici umani può consentire alla Verità
Ultima dell’Occidente di rimanere in piedi, di continuare ad essere creduta e
venerata.
E se nulla cambia nella consapevolezza diffusa delle popolazioni europee –
i principali perdenti di questo gioco – credo che queste due carte distruttive
saranno giocate senza scrupoli, reiteratamente.
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