Nel 2015
conobbi a Ventimiglia un prete, don Rito Alvarez. La frontiera con la Francia
era chiusa e uomini donne e bambini si accampavano sugli scogli. Lui aprì la
chiesa che divenne rifugio per una ciurma di reietti che bivaccavano sotto il
viadotto antistante. Nel 2016 passai per i soliti reportage, la chiesa era
sempre più popolata, anche di giovani volontari in arrivo da tutta Italia: lui
mi dedicava sempre poco tempo quando dovevo intervistarlo, troppo indaffarato.
Il tempo passa, il giornalismo necessita di “belle storie positive” che
intervallino l’incedere del degrado, se no il lettore si deprime, così ogni
anno torno per fare un reportage sempre uguale: i “migranti”, la città, i
turisti, la criminalità organizzata, la gente del quartiere inferocita, la
chiesa che resiste, il prete buono.
Così fino al
2018, quando arrivai e trovai la chiesa sbarrata, chiusa con un catenaccio,
abbandonata, con i vetri spaccati: era il giorno di Natale. Pregustavo un
racconto natalizio di quelli che piacciono ma rimasi deluso e sconvolto dalla
scena. Chiesi a un bar adiacente perché quella chiesa fosse abbandonata, la
risposta ancora oggi spiega molte cose: “hanno trasferito il prete”. Seguivano
commenti soddisfatti. Indagai e scoprii che don Rito Alvarez,
colombiano, era stato spedito dalle gerarchie ecclesiastiche in una sperduta
valle dell’entroterra ligure a curare la fede di una minuscola comunità di
uomini e donne. Giustamente punito perché aveva fatto un casino nella sua bella
città rivierasca che deve vivere di turismo di passaggio e non di poveri
diavoli che si accampano sotto i ponti. E poi quelle voci… che proprio lui
non smentiva, quelle voci che parlavano di musulmani che pregavano nel cortile
o perfino dentro la chiesa. Così don Rito Alvarez viene spedito a riflettere
lontano, la sua chiesa è sprangata e i poveri diavoli che inopinatamente
chiamiamo “migranti” rimangono allo sbando oppure finiscono nel centro della
Croce Rossa, ben lontano dalla città e dal confine. Lo raggiungo nella
primavera del 2019 nell’eremo dove è stato mandato a riflettere e qui mi
accoglie finalmente con calma. È un uomo sereno che vive in esilio.
Ho pensato a
lui quando ho sentito la storia del bracciante indiano ucciso nelle campagne di
Latina, Satnam Singh, in mente le parole di quel prete che scrissi in un libro del 2019 (Ancora
dodici chilometri, Bollati Boringhieri), in un capitolo a lui dedicato. Le
riporto qua di seguito, senza tagli:
Quando
faccio gli incontri con i ragazzi e mi chiedono di parlare della mia esperienza
con i migranti a un certo punto gli dico: ma sapete che in fondo in fondo io
sono d’accordo con i tanti italiani ed europei che ritengono giusto che gli
stranieri se ne vadano a casa loro. Perché vi sorprendete? Perché sgranate gli
occhi? Ognuno a casa sua è la soluzione migliore: cosa fa questa gente qua?
Loro devono stare nella loro terra, professare la loro religione, occuparsi
delle loro famiglie e stare nelle loro comunità: io sono d’accordo.
Perché poi si trovano male, e noi anche.
Noi siamo cristiani, loro sono musulmani o cosa altro, le nostre culture non
possono integrarsi. Ognuno a casa sua, è giusto.
Quindi io chiedo al buon dio che faccia questo miracolo: che tutti gli africani
che sono dentro e fuori questa chiesa tornino a casa loro. Punto e basta. Io
immagino che il padre eterno vorrà ascoltare la mia preghiera: ma siccome il
padre eterno è giusto, e fa solo quello che è giusto, verrà incontro a questa
richiesta così sentita dagli italiani e mi risponderà che gli africani se ne
andranno tutti in Africa.
Ma mi dirà che dobbiamo assumere anche le conseguenze di questo: tutto quello
che arriva dall’Africa se ne torna in Africa e ognuno a casa sua. E tutto
quello dall’Europa e anche dall’Italia se ne torna a casa sua.
Il padre eterno è giusto e fa solo quello che è giusto, quindi con gli Africani
torneranno anche le loro cose: le risorse naturali, il petrolio, l’oro, i
diamanti, i legni pregiati, il gas, il coltan.
Ognuno a casa propria con le proprie cose.
Noi non avremo più benzina, riscaldamento nelle nostre case, né gioielli per le
nostre donne, pavimenti su cui camminare comodi.
I nostri preziosi telefonini che adoriamo e santifichiamo non funzioneranno più
senza coltan: è un prezzo giusto da pagare se veramente vogliamo che tornino
tutti a casa loro. I padre eterno è giusto e fa solo quello che è giusto.
Ovviamente anche gli italiani torneranno a casa loro con le loro cose, quindi
al posto delle auto, dei gioielli, dei materiali pregiati, di cui amiamo
riempirci la vita avremo carri armati, pistole, fucili, elicotteri e tante
tante, tantissime mine da disseminare nei nostri campi e nelle nostre strade,
nelle nostre case.
Al posto di legno di ebano le mine.
Al posto dei telefonini gli elicotteri d’assalto.
Io sono d’accordo, ognuno a casa sua, con le proprie cose.
Sì, buon dio, tu che puoi tutto fai questo miracolo. Forse a questo punto
quando vedremo i nostri bambini saltare sulle mine cominceremo a capire che
qualcosa non funziona nelle nostre vite, nel nostro mondo. Il padre eterno è
giusto, e fa solo quello che è giusto.
Queste
parole, pronunciate con tono calmo, oggi sono più giuste che mai.
Chiudere le
frontiere ed espulsioni di massa: anche io a questo punto, dopo tanta lotta per
rendere possibile il diritto al movimento degli ultimi, sono d’accordo.
Renderle impenetrabili a tutti, non solo ai poveracci che non possono permettersi
i costi dei trafficanti a cui gli stati hanno appaltato la migrazione.
È un
meccanismo assolutamente perfetto: i flussi migratori sono in mano agli
usurai locali con i quali il migrante (in realtà è un nemico puro e semplice)
contrae un enorme debito che sarà costretto a ripagare facendo lo schiavo nel
paese dove arriva. O anche a delinquere. Sarà sempre un essere umano
ricattabile, docile, perfetto, impossibile da sindacalizzare.
La soluzione
di don Rito Alvarez, prete di strada in arrivo dalla Colombia, dove per altro è
tornato, è la più convincente. Probabilmente basterebbero solo pochi mesi per
rendere l’Italia, e l’Europa, un luogo vagamente più civile. Con le frontiere
chiuse e i braccianti occupati nei campi rispediti al loro paese le pesche schizzerebbero
a quindici euro al chilo il giorno dopo: addio frutta, verdura, addio vino,
addio ponteggi, addio mobili a prezzo stracciato perché tanto vengono montati
dalle cooperative di schiavi, addio latte, salumi, addio all’intera industria
alimentare. Inflazione al 30%, in un mese però potremmo tornare noi nei campi a
raccogliere rifiuti tossici, avremmo la pienissima occupazione. Addio lavori
inutili della società del benessere, bentornata produzione e maschia fatica.
Senza frutta e verdura sulla tavola degli italiani addio anche al sistema
sanitario, se è vera la storia per cui una sana alimentazione incide sullo
stato di salute collettivo. Addio pensioni. Frontiere chiuse ed espulsioni di
massa, quindi.
Gli inutili
appelli, la deriva politico mediatica che trasforma tutto in tifo da stadio, la
totale assenza di un risposta sindacale che non sia una manifestazione al
sabato pomeriggio partecipata da quadri, politici e giornalisti, tutto questo
non sarà più un problema. In un mondo che ha trasformato la libertà
economica nel puro esercizio della violenza e della sopraffazione ha ragione
don Rito Alvarez, anche io oggi la penso come lui.
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