Abbiamo ricevuto una lettera scritta a mano con una calligrafia elegante e una sintassi impeccabile, dove ogni parola è stata scelta con cura. Quando si ragiona di poveri, il rischio di essere astratti o di diventare, per dirla con Galeano, poverologi, gli esperti che parlano per loro, ci raccontano che non lavorano, che mangiano poco o male, quello che non hanno, quello a cui non pensano, è altissimo. E spesso accompagnato da ipocrisia. Questa lettera, con tutto la sua asprezza, costringe a pensare. “Se sei povero sai cos’è veramente la povertà… La povertà vera non è nulla di commovente… Vi parlo di povertà perché sono povero… La povertà è denti rotti e mancanti (a me ne mancano 16), cure negate…, il lasciar scorrere su di te la prepotenza del sistema. La povertà è alienazione, esclusione… a tratti follia e disperazione… I poveri nessuno li ascolta davvero… Non parlate di povertà, non irridete con la vostra patetica e distratta attenzione qualcosa di cui non avete intenzione di scrutare la profondità…”
Se sei povero sai cos’è veramente la povertà. La dimostrazione di
questo assioma è quotidiana nell’egoismo diffuso del materialismo consumista,
nell’insensibilità incosciente di chi non ascolta o accoglie con fastidio le
dimostrazioni pratiche della povertà.
La povertà vera non è nulla di commovente, nulla che sia facile o piacevole da
descrivere. Fra le sue pieghe si può certamente trovare spiritualità e saggezza
(io l’ho trovata) ma occorre essere predisposti, sin da prima che essa di
occupi di te, perché quando lo fa, si prende tutto: casa, possedimenti
materiali, salute, orgoglio, dignità, e riconquistarli ha il prezzo della tua
stessa vita.
Vi parlo di povertà perché sono povero ed io la capisco. La povertà è denti
rotti e mancanti (a me ne mancano 16), cure negate, malattie endemiche
trascurate e lasciate correre. La povertà è essere indifesi di fronte
all’abuso, il dover di chiedere quel che si sa verrà probabilmente negato, il
lasciar scorrere su di te la prepotenza del sistema. La povertà è alienazione,
esclusione… a tratti follia e disperazione, è un lungo cunicolo senza uscita…, un
tunnel dove la speranza muore e si azzera, dove le prospettive divengono piatte
e inutili, dove il futuro s’annulla e diventa paura.
La povertà quindi non è nulla di poetico e il trovare poesia deriva dalla
compassione che hai già, non quella che troverai intorno a te, perché nessuno
realmente te ne darà se non formalmente… per il semplice fatto che non
capiscono, non sanno davvero con che cosa hanno a che fare. Non lo sanno i
politici, non lo sanno gli ecclesiastici, non lo sanno i finti santoni, non lo
sanno gli sbirri, non lo sanno i giudici, non lo sanno i pietosi, pelosi,
perbenisti, non lo sanno i caritatevoli piccolo borghesi annoiati buonisti, ne
sanno poco e poco ne comprendono persino gli addetti ai lavori. Solo i poveri
capiscono realmente la povertà, perché bisogna provarla per sapere davvero cosa
sia, come essa divori morale, etica, dignità, come essa azzeri e annulli tutte
le chiacchiere inutili fatte intorno a lei.
I poveri nessuno li ascolta davvero, fingono i più, i compassionevoli sono
pochi, pochissimi, quelli che capiscono ancora meno, perché un povero non è
credibile, non potrebbe mai essere un intelligente, un saggio, uno scrittore
vero, un poeta o un artista, figlio d’arte come me.
La povertà è legata alla filosofia corrente, all’ignoranza, alla stoltezza,
all’alienazione, ed oggi più che mai essa viene vissuta e descritta dai più
come una forma di colposa e degenerante autoesclusione, quasi fosse scelta cosciente.
Non parlate di povertà se non sapete, non irridete con la vostra
patetica e distratta attenzione qualcosa di cui non avete intenzione di
scrutare la profondità…, che non vi interessa, che vi spaventa, che
rappresenta un peso inutile nel vostro risiko delle strategie.
[prof. Giovanni Scavazza]
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