Note sulla repressione della solidarietà con la Palestina in Germania: come si costruisce il folk devil
Nell’aprile
del 2024, la filosofa Nancy Fraser, lei stessa ebrea, ha visto il suo contratto per la cattedra Albertus Magnus rescisso unilateralmente
dall’università di Colonia. Nella dichiarazione firmata dal rettore
dell’università si legge che: «è con grande rammarico che la cattedra Albertus
Magnus 2024 non sarà assegnata. Il motivo è la lettera pubblica ‘Filosofia per
la Palestina’ del novembre 2023, firmata dalla professoressa di filosofia Nancy
Fraser, invitata alla cattedra Albertus Magnus. In questa lettera si mette in
discussione il diritto di Israele di esistere come ‘Stato etno-suprematista’
dalla sua fondazione nel 1948. Gli attacchi terroristici di Hamas contro
Israele del 7 ottobre 2023 vengono elevati ad atto di resistenza legittima. I
firmatari chiedono il boicottaggio accademico e culturale delle istituzioni
israeliane». Dopo una serie di proteste da parte di professori e istituzioni
accademiche, che tra l’altro hanno contestato l’interpretazione del contenuto
della lettera pubblica come tendenziosa, l’università ha pubblicato
un’appendice in cui si poneva l’accento sull’appello al boicottaggio, citando i
numerosi legami con le istituzioni accademiche israeliane come componente
centrale delle attività dell’università: «Quando si considera la questione, non
si tratta di decidere se alla signora Fraser viene data o meno una piattaforma
all’Università di Colonia. Si tratta piuttosto del fatto che la cattedra
Albertus Magnus è un onore speciale conferito dall’intera università.
Naturalmente è difficile conciliare questo con l’invito a boicottare le
istituzioni partner israeliane contenuto nella dichiarazione “Filosofia per la
Palestina”, quando noi dell’Università di Colonia abbiamo così tanti legami con
istituzioni partner in Israele». Mentre la decisione di offrire la cattedra era
stata presa nel 2022 e la lettera aperta era datata novembre 2023, la
cancellazione è avvenuta poche settimane prima che la professoressa tenesse la
sua lezione, quando il rettore era in visita in Israele.
Come ha
controbattuto Nancy Fraser, nella sua intervista alla Frankfurter
Rundschau, ricordando anche lo «scolasticidio» di Gaza con la
distruzione della maggior parte degli edifici universitari e l’uccisione di un
centinaio di professori universitari e di 9 rettori di università, «la gente in
Germania si è abituata a una visione molto ristretta di cosa significhi la
libertà di parola e in cosa consistano le libertà democratiche e politiche»,
mentre la visione degli ebrei «si restringe alla politica statale del governo
israeliano attualmente al potere. “Maccartismo filosemita” è una buona definizione.
Un modo per mettere a tacere le persone con il pretesto di difendere gli
ebrei”.
Come ha
notato l’autrice, nella loro identificazione degli ebrei con Israele, le
istituzioni tedesche discriminano e addirittura prendono di mira gli ebrei che
non si riconoscono in una definizione etno-nazionalistica dell’ebraismo: «è
davvero importante che i tedeschi capiscano qualcosa della complessità e
dell’ampiezza dell’ebraismo, della sua storia, della sua prospettiva. Stanno
sostenendo un’idea di giuramento incondizionato di fedeltà a Israele come
responsabilità dei tedeschi – un sostegno incondizionato allo Stato di Israele.
Considerando ciò che attualmente Israele sta facendo, questo è un tradimento di
quelli che definirei gli aspetti più importanti e pesanti dell’ebraismo come
storia, prospettiva e corpo di pensiero. Mi riferisco all’ebraismo di Maimonide
e di [Baruch] Spinoza, di Sigmund Freud, Heinrich Heine ed Ernst Bloch».
La lotta all’antisemitesimo nella narrazione tedesca
Questo è
solo uno dei casi più recenti di campagne aggressive da parte di media e
politici, che sfociano nella repressione contro artisti e intellettuali
progressisti, per lo più provenienti dal Sud globale ma anche ebrei critici,
accusati di violare la narrazione tedesca su quella che è stata definita una
«guerra contro l’antisemitismo». Tra il 2021 e la fine del 2023, una Ong
chiamata Diaspora Alliance ha raccolto informazioni su 59 cancellazioni di
dibattiti, spettacoli, mostre o contratti a partire dal 2021 sulla base
dell’accusa di antisemitismo, spesso legata alla critica a Israele. L’ultimo
rapporto sullo Stato dei diritti umani nel mondo di Amnesty International, relativo
all’anno 2023, afferma: «Dopo il 7 ottobre, sono state imposte diverse
restrizioni alla libertà di espressione, in particolare contro coloro che
esprimevano solidarietà con i palestinesi». «A maggio, le autorità dell’Assemblea
di Berlino hanno imposto preventivamente divieti generalizzati alle proteste in
solidarietà con i diritti dei palestinesi in occasione della Giornata della
memoria della Nakba, in violazione del diritto di riunione pacifica. Le
motivazioni dei divieti violavano anche il diritto alla non discriminazione, in
quanto si basavano su stereotipi stigmatizzanti e razzisti delle persone
percepite come arabe o musulmane. Inoltre, dopo il 7 ottobre, numerose proteste
in solidarietà con i palestinesi sono state preventivamente vietate. I media
hanno riferito di un uso non necessario ed eccessivo della forza da parte della
polizia, di centinaia di arresti e di un aumento del profiling razziale
di persone percepite come arabe o musulmane nel contesto di queste proteste».
Il Centro europeo di sostegno legale (Elsc ha documentato 202 casi di repressione politica tra il 7 ottobre 2023 e il 31
gennaio 2024, con 68 minacce di azioni legali, nonché 57 casi di molestie,
intimidazioni o violenze contro individui o gruppi che sostengono i diritti dei
palestinesi; 39 casi si riferiscono al rifiuto di accedere o utilizzare luoghi
specifici, mentre in 20 casi l’interferenza fisica da parte di individui o
gruppi ha interrotto eventi legati alla Palestina.
Mentre la
preoccupazione per le crescenti prove di antisemitismo è stata innescata
principalmente dagli attacchi dell’estrema destra, questa ondata di repressione
ha preso di mira soprattutto il cosiddetto «nuovo antisemitismo», che include
la critica alle politiche dello Stato di Israele. In realtà, erano già emerse
controversie, anche in ambito accademico, tra i sostenitori della
concettualizzazione più classica dell’antisemitismo, che si riferisce alle
reazioni negative nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo, e le nuove nozioni
che includono la critica a Israele e mancano invece del legame semantico con
gli ebrei e l’ebraismo. Queste trasformazioni scoraggianti sono avvenute in un
contesto caratterizzato dalla mobilitazione di gruppi filo-israeliani intorno a
una nuova definizione del rapporto tra Israele e gli ebrei, incorporata in
recenti modifiche legislative. In particolare, i «Principi fondamentali» che
fanno da cornice alla legge sullo Stato-nazione approvata dalla Knesset nel 2018, hanno definito Israele come lo
Stato-nazione degli ebrei attribuendo esclusivamente al popolo ebraico il
diritto all’autodeterminazione nello Stato. La legge infatti così recitava: «La
Terra d’Israele è la patria storica del Popolo ebraico, nella quale è stato
fondato lo Stato d’Israele. Lo Stato di Israele è lo Stato nazionale del Popolo
ebraico, nel quale esso realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso
e storico all’autodeterminazione. L’esercizio del diritto all’autodeterminazione
nazionale nello Stato di Israele è unico per il Popolo ebraico». La stessa
Legge fondamentale si è occupata anche delle competenze israeliane nei
confronti degli ebrei non israeliani in quanto, all’art. 6, afferma che «Lo
Stato agisce all’interno della diaspora per rafforzare l’affinità tra lo Stato
e i membri del popolo ebraico» e «Lo Stato agisce per preservare il patrimonio
culturale, storico e religioso del popolo ebraico tra gli ebrei della
diaspora». Questa attribuzione unilaterale di rappresentanza entra in evidente
tensione con le posizioni di quegli ebrei della diaspora che non si riconoscono
nello Stato israeliano e sono sempre più bersagliati come «traditori» o
addirittura «antisemiti» dalle istituzioni israeliane.
La memoria trasformata in struttura di potere
In Germania,
la politicizzazione del dibattito sull’uso repressivo di una definizione
specifica di antisemitismo era emersa qualche anno fa, in occasione del
disinvito dell’influente teorico politico camerunense Achille Mbembe (che aveva
già ricevuto in Germania diversi premi come il Geschwister-Scholl-Award nel
2015 e il Gerda-Henkel-Award e l’Ernst-Bloch-Award nel 2018) ad aprire la
Ruhr-Triennale nel marzo 2020. La polemica è iniziata con una lettera aperta
contro Mbembe scritta dal portavoce per la politica culturale del Partito
Liberale Democratico (Fdp) Lorenz Deutsch, a cui si sono immediatamente uniti
il commissario per l’antisemitismo Felix Klein, il Consiglio centrale degli
ebrei in Germania e un redattore capo della Faz. Il dibattito accademico
innescato dal caso di Mbembe si è concentrato sull’unicità storica della Shoah
come unica, sull’attenzione esclusiva nei confronti dell’antisemitismo nella
memoria collettiva dei crimini nazisti e, di conseguenza, della rimozione dei
crimini razzisti perpetrati dai nazisti nei confronti di altre vittime ma anche
più in generale dalla Germania e dall’Europa attraverso il colonialismo e il
razzismo. Mentre la costruzione della cultura della memoria dell’Olocausto
negli anni Novanta e nei primi anni Duemila si basava su questo presupposto di
unicità, nella nuova controversia questa stessa concezione è stata messa in
discussione dall’accresciuta centralità del colonialismo, della schiavitù e del
razzismo anti-nero.
Come
argomenterò in seguito, quella specifica codifica della memoria collettiva del
passato nazista ha certamente giocato un ruolo nel momento in cui la lotta
all’antisemitismo, inizialmente promossa dalla società civile progressista, si
è trasformata nella costruzione di un apparato statale e di una struttura di
potere ufficiale come strumento di razzializzazione e repressione. Ciò che il
dibattito intorno all’accusa di antisemitismo nei confronti di Mbembe e di
razzismo nei confronti dei suoi detrattori ha lasciato da parte sono stati
tuttavia i meccanismi attraverso i quali questa concezione dell’antisemitismo
viene attuata attraverso la repressione dei devianti e la criminalizzazione
delle opinioni dissenzienti. Per colmare questa lacuna, i recenti sviluppi
degli studi sui movimenti sociali possono offrire un’utile prospettiva grazie
alla loro attenzione alle dinamiche relazionali dei conflitti politici, come
campo dinamico in cui diversi attori intervengono, mobilitandosi su questioni
conflittuali.
Il concetto
di panico morale è stato usato per riferirsi a una paura diffusa e in una certa misura
esagerata che qualche individuo o forza malvagia stia attaccando la cultura o
il benessere di una società.
Nel
suo Folk Devils and Moral Panics, Stanley Cohen ha osservato che il
panico morale si scatena quando «una condizione, un episodio, una persona o un
gruppo di persone emergono per essere definiti come una minaccia ai valori e
agli interessi della società». Ciò implica di solito «esagerare la gravità,
l’estensione, la tipicità e/o l’inevitabilità del danno». In questo processo,
i folk devils vengono stigmatizzati come devianti, considerati
come estranei rispetto ai valori sociali tradizionali e costituenti una
minaccia nei confronti di tali valori, essendo responsabili di quello che
finisce per essere definito come un problema sociale. Gli imprenditori morali –
dai giornalisti ai politici, dagli opinionisti ai legislatori – innescano e
guidano il sentimento di panico, con le potenziali conseguenze di consentire
nuove leggi che aumentano il controllo sulla società stessa. Tempi difficili
possono essere particolarmente inclini al panico morale, che può essere usato
per punire chi espone, protesta e dissente, stigmatizzandolo come un folk
devil che sfida il consenso sociale e politico di base.
Il panico morale in Germania
La mia
ricerca si basa su un’analisi empirica approfondita di casi di panico morale
caratterizzati da accuse di antisemitismo contro intellettuali progressisti e
antirazzisti in Germania. Al fine di individuare le dinamiche del panico
morale, ho analizzato in profondità sette casi incentrati su campagne che hanno
riguardato: a) le dimissioni anticipate di Peter Schaefer dalla carica di
direttore della Fondazione del Juedische Historical Museum di Berlino nel
giugno 2019; b) il disinvito del teorico politico camerunense Achille Mbembe
dalla Ruhr-Triennale nel marzo 2020; c) le dimissioni dell’artista Ranjit
Hoskote dal comitato di selezione (Findungskommission) del festival artistico
Documenta nel novembre 2023: d) il ritiro della cerimonia di conferimento del
premio Hannah Arendt per il pensiero politico, assegnato dalla Fondazione
Heinrich Böll, affiliata ai Verdi, alla giornalista Masha Gessen nel dicembre 2023;
e) il licenziamento dell’antropologo Ghassan Hage dal suo contratto di visiting
scholar presso l’Istituto Max Planck per l’antropologia sociale di Halle nel
febbraio 2024; f) gli attacchi al regista Basel Adra e al giornalista
israeliano Yuval Abraham dopo le loro dichiarazioni alla cerimonia di
premiazione del festival cinematografico della Berlinale nel febbraio 2024; g)
il licenziamento della filosofa Nancy Fraser dalla cattedra Albertus Magnus
dell’Università di Colonia nell’aprile 2024. Per tutti questi casi, la mia
ricerca si basa sull’analisi dei materiali relativi alle pagine web delle
istituzioni coinvolte e su una ricerca sui mass media in tedesco e in inglese.
La Germania
è considerata un caso particolare per l’intensità e la portata della lotta
all’antisemitismo, anche per quanto riguarda il «nuovo antisemitismo».
Concentrarsi su questo caso offre quindi la possibilità di osservare i
meccanismi coinvolti nella politica conflittuale dell’antisemitismo attraverso
una sorta di lente d’ingrandimento. Saranno ovviamente necessarie ulteriori
ricerche comparative per verificare l’equilibrio tra analogie e differenze in
altri paesi.
La dinamica
del panico morale può essere individuata in diversi casi recenti di campagne
che utilizzano l’accusa di antisemitismo e che hanno come bersaglio
intellettuali progressisti, spesso cittadini non tedeschi o tedeschi con
background migratorio. Nei casi che ho analizzato, si tratta di promotori di
spicco di visioni antirazziste, accusati all’interno della narrazione di un
«nuovo antisemitismo». In tutti i casi, i tentativi di creare panico morale
hanno seguito una sequenza simile a quella già abbozzata per il licenziamento
della teorica politica Nancy Fraser da parte dell’Università di Colonia:
1. Gli imprenditori del panico
morale: giornalisti, politici di vari partiti, l’ente amministrativo
specializzato in antisemitismo, istituzioni culturali e accademiche, gruppi di
pressione come i rappresentanti ufficiali della comunità ebraica e
rappresentanti israeliani.
2. I folk devil:
intellettuali progressisti stranieri che erano stati critici nei confronti
delle politiche israeliane ma anche contro il razzismo, e non avevano mai
pronunciato parole di odio contro gli ebrei, in alcuni casi essendo essi stessi
ebrei.
3. Il disciplinamento:
campagne di caccia alle streghe con ritiro di premi, cerimonia di conferimento,
nomine e contratti.
Un elemento
importante nell’uso dell’accusa di antisemitismo come strumento di repressione
di studiosi e artisti progressisti è l’istituzionalizzazione di una specifica
concezione di antisemitismo. Masha Gessen, nell’articolo del New Yorker che è stato stigmatizzato dagli imprenditori del panico morale (2023)
così ricostruisce questo processo di burocratizzazione: «a un certo punto, lo
sforzo ha cominciato a sembrare statico, messo sotto una teca, come se si
trattasse di uno sforzo non solo per ricordare la storia, ma anche per
assicurare che solo questa particolare storia sia ricordata e solo in questo
modo». I casi di panico morale che ho analizzato sono infatti inseriti in un
contesto istituzionale caratterizzato dalla burocratizzazione delle
politiche contro l’antisemitismo. I passi principali che ho
individuato in questo processo sono: a) l’adozione di una definizione altamente
contestata di antisemitismo che include la critica a Israele; b) la definizione
del boicottaggio non violento dei prodotti israeliani da parte della campagna
Bds come antisemitismo; c) la creazione di un organismo burocratico dedicato
alla lotta contro l’antisemitismo, separato da altri già esistenti che
prendevano di mira l’antisemitismo insieme al razzismo e alla discriminazione
in generale.
La definizione di antisemitismo comprende anche le
critiche a Israele
Nei casi
analizzati di panico morale, una delle principali accuse mobilitate contro gli
intellettuali coinvolti è stata quella di «antisemitismo legato a Israele». Un
pilastro dell’approccio tedesco alla lotta contro il cosiddetto «nuovo
antisemitismo» è l’adozione della definizione proposta nel 2016 dall’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra). Legalmente non
vincolante, essa afferma che «l’antisemitismo è una certa percezione degli
ebrei, che può essere espressa come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni
retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette verso individui ebrei o non
ebrei e/o verso le loro proprietà, verso le istituzioni delle comunità ebraiche
e gli edifici religiosi». In particolare, rompendo con la principale
definizione accademica e legale che definiva l’antisemitismo in relazione al
popolo ebraico, il documento introduceva riferimenti a Israele come: «Le
manifestazioni possono includere la presa di mira dello Stato di Israele,
concepito come collettività ebraica. Tuttavia, critiche a Israele simili a
quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere considerate
antisemite». Questa definizione di base è stata accompagnata da esempi, tra cui
«negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio
sostenendo che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’impresa razzista»;
«paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti»; o
«ritenere gli ebrei collettivamente responsabili delle azioni dello Stato di
Israele».
La
definizione dell’Ihra è stata fin dall’inizio molto contestata nella sua forma
e nel suo contenuto. La prima parte generale della definizione è stata
criticata in quanto imprecisa e selettiva. Inoltre, gli esempi forniti sono
stati criticati per la mancanza di chiarezza sulle condizioni in cui le
critiche a Israele devono essere considerate antisemite e quando no,
estendendone arbitrariamente l’uso per limitare le critiche alle politiche
israeliane. Uno sviluppo correlato è stato infatti la tendenza generale a
considerare antisemita non solo il negazionismo dell’Olocausto, ma anche
qualsiasi paragone dei concetti legati all’Olocausto con altri casi, così come
la menzione di ghetti, apartheid o genocidio in relazione alle politiche del
governo israeliano.
La
definizione dell’Ihra è stata adottata in Germania nella formazione scolastica
e giuridica, nonché nella formazione degli agenti di polizia. Nel novembre
2019, poco dopo l’attacco alla sinagoga di Halle, la Conferenza dei rettori
tedeschi ha reso la definizione di antisemitismo una linea guida vincolante per
le università. Inoltre, la definizione adottata includeva la disposizione
secondo cui «le manifestazioni di antisemitismo possono essere rivolte anche
contro lo Stato di Israele, che viene così inteso come collettività ebraica»,
eliminando la clausola di limitazione che affermava che «Tuttavia, le critiche
a Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere
considerate antisemite».
Contestando
la definizione dell’Ihra, nel 2020 un gruppo di 220 studiosi dell’Olocausto e
dell’antisemitismo ha firmato una Dichiarazione di Gerusalemme che, nel
tentativo di distinguerlo dalla critica a Israele, definisce l’antisemitismo
come «la discriminazione, il pregiudizio, l’ostilità o la violenza contro gli
ebrei in quanto ebrei (o contro le istituzioni ebraiche in quanto ebree)».
Come hanno notato, «poiché la definizione dell’Ihra
non è chiara in alcuni aspetti chiave ed è ampiamente aperta a diverse
interpretazioni, ha causato confusione e generato controversie, indebolendo
così la lotta all’antisemitismo”. Nonostante il coinvolgimento di studiosi di
molte istituzioni prestigiose, la definizione di Gerusalemme non è mai stata
presa in seria considerazione a livello istituzionale, mentre gruppi di pressione
e politici hanno promosso la definizione di antisemitismo strategicamente
legata a Israele.
L’istituzione del Commissario per la lotta
all’antisemitismo
I casi di
panico morale che ho studiato hanno visto il coinvolgimento, come imprenditori
del panico morale, di specifici organismi burocratici incaricati di combattere
l’antisemitismo. La definizione dell’Ihra è stata adottata in 25 Stati membri
dell’Ue e negli Stati uniti, e in Germania le risorse pubbliche sono state
investite specificamente nella creazione di una burocrazia dedicata alla lotta
all’antisemitismo in un modo che l’ha separata dalla lotta al razzismo e alla
discriminazione in generale. Nel 2018, una risoluzione del governo tedesco,
sottolineando il crescente antisemitismo alimentato dagli eventi in Medio
Oriente, ha chiesto la nomina di un commissario per l’antisemitismo per
coordinare le attività tra i diversi ministeri nazionali e gli Stati federali.
È stato anche menzionato il rafforzamento legale della capacità di espellere
gli stranieri sulla base di accuse di antisemitismo. Il Parlamento federale ha
poi approvato l’istituzione della carica di Commissario del Governo federale
per la vita ebraica in Germania e la lotta all’antisemitismo, con sede presso
il Ministero federale degli Interni e della Comunità. Al Commissario è stato assegnato il compito di «coordinare le misure pertinenti adottate da
tutti i ministeri federali. Egli fungerà inoltre da referente per i gruppi e le
organizzazioni ebraiche e da collegamento per le misure federali, statali e
della società civile volte a combattere l’antisemitismo. Il commissario
coordinerà anche una commissione permanente congiunta federale e degli Stati
composta da rappresentanti degli enti responsabili e fornirà informazioni al
pubblico, nonché educazione civica e culturale per aumentare la consapevolezza
dell’opinione pubblica sulle forme attuali e passate di antisemitismo».
Dati i
limiti poco chiari delle competenze di questo nuovo organismo rispetto a quelle
di altri già esistenti, attivi contro il razzismo e altre forme di
discriminazione, nonché della polizia e della magistratura, tale decisione ha
innescato la costruzione di quella che Masha Gessen ha definito «una vasta
burocrazia che comprende commissari a livello statale e locale, alcuni dei
quali lavorano negli uffici delle procure o nei distretti di polizia […] Non
hanno un’unica descrizione delle mansioni o un quadro giuridico per il loro
lavoro, ma gran parte di esso sembra consistere nel mettere pubblicamente alla
gogna coloro che considerano antisemiti, spesso per aver “de-singolarizzato
l’Olocausto” o per aver criticato Israele. Quasi nessuno di questi commissari è
ebreo. Anzi, la percentuale di ebrei tra i loro bersagli è certamente più
alta».
La vaghezza
delle competenze dei commissari, i criteri poco chiari per la loro selezione e
la tendenza ad ampliare il loro raggio di azione discrezionale sono stati
spesso citati in relazione ai casi di panico morale analizzati, ma anche più in
generale come causa di una moltiplicazione di norme semi-legali. Per fare un
esempio, dopo gli attentati di Hamas, il Commissario del Governo Federale per
la Vita Ebraica in Germania e la Lotta all’Antisemitismo, ha messo in guardia
da un «odio antisemita e anti-Israele» legato allo slogan «From the river to
the sea, Palestine shall be free», che a suo avviso «nega il diritto di Israele a esistere». La conseguenza è stata che
questo slogan «è ora legalmente vietato in Germania e soggetto a procedimento
penale per “incitamento all’odio”, anche se si presume che coloro che invocano
lo statuto del Likud non riceveranno un procedimento simile».
La
composizione degli uffici dei vari commissari per la vita ebraica e la lotta
all’antisemitismo, con scarse conoscenze effettive sull’ebraismo e sulla
questione ebraica, ha aumentato l’influenza dell’ambasciata israeliana e del
Consiglio centrale per gli ebrei in Germania. Come ha osservato Susan Neiman, direttrice del Centro Einstein di Potsdam e lei stessa ebrea, «nessuno
dei commissari è cresciuto come ebreo, anche se uno si è convertito subito dopo
la sua nomina; la maggior parte di loro ha una scarsa comprensione della
complessità o della tradizione ebraica […] Per compensare la loro scarsa
familiarità, i commissari si affidano a due fonti di informazione su ebrei,
israeliani e palestinesi: l’ambasciata israeliana e il Consiglio centrale per
gli ebrei in Germania, una delle organizzazioni ebraiche più di destra al
mondo». Anche le organizzazioni finanziate dal Commissario per la Vita Ebraica
e la Lotta all’Antisemitismo sono state accusate di promuovere campagne contro attivisti e gruppi
che si mobilitano in solidarietà con la Palestina.
La (semi)criminalizzazione della campagna Bds
In molti dei
casi di panico morale analizzati, l’accusa principale era legata alla firma di
petizioni o altre iniziative di organizzazioni che facevano parte del movimento
non violento Boycott, Disinvestment and Sanctions (Bds), che è una
rete di organizzazioni diverse. Un ulteriore pilastro nell’uso di procedure non
legalmente vincolanti è infatti legato a una mozione congiunta approvata dal
Bundestag (il parlamento federale) che raccomandava di negare i finanziamenti
statali a eventi e istituzioni collegate alla campagna Bds, definita come
organizzazione antisemita.
Nella
sessione del Parlamento federale, tenutasi il 17 maggio 2019, l’estrema destra
Alternative fuer Deutschland (AfD) – che, come altri partiti di estrema destra,
si è convertita a forti posizioni filo-israeliane – nella sua mozione,
respinta, aveva affermato che il movimento Bds, «ha le sue origini nelle
iniziative antisemite e antisioniste di gruppi arabi che erano già attivi molto
prima della fondazione dello Stato di Israele e che erano in stretto e
amichevole contatto con il governo nazionalsocialista della Germania tra il
1933 e il 1945». Seguendo presupposti simili, la mozione approvata, sostenuta da
Cdu/Csu, Spd, Fdp e da ampi settori di Alleanza 90/Verdi, sosteneva che, poiché
l’appello al boicottaggio «porta a marchiare i cittadini israeliani di fede
ebraica nel loro complesso», era quindi da considerarsi «inaccettabile».
Il comunicato stampa del Parlamento federale tedesco riportava che
«Il Bundestag si oppone quindi risolutamente a qualsiasi forma di antisemitismo
non appena emerga e condanna la campagna Bds e l’appello al boicottaggio.
Inoltre, nessuna organizzazione che metta in discussione il diritto
all’esistenza di Israele dovrebbe ricevere un sostegno finanziario. I progetti
che invitano al boicottaggio o sostengono il movimento Bds non dovrebbero
ricevere alcun sostegno finanziario».
Non essendo
giuridicamente vincolante, la dichiarazione del Bds come antisemita non è
passata al vaglio della Corte costituzionale. Mentre i tribunali amministrativi
hanno spesso accolto i reclami contro il ritiro di risorse pubbliche per eventi
con la partecipazione di sostenitori della campagna Bds la mozione è stata
utilizzata per delegittimare e disciplinare singoli e gruppi, tra cui molti
ebrei (che sono molto presenti all’interno della campagna). Infatti, l’adozione
di tale dichiarazione ha penalizzato molti individui e gruppi che fanno parte
di reti più ampie a cui appartengono anche la campagna Bds.
Come per la
dichiarazione su Bds, la Nationale Strategie gegen Antisemitismus und fuer
Juedisches Leben (Nasas), approvata dal governo tedesco nel 2022, stabilisce
che «Anche l’antisemitismo deve essere ostracizzato, se si esprime in atti non
punibili penalmente». Senza ulteriori specificazioni, il documento conferma che «il sostegno finanziario alle organizzazioni che mettono
in discussione il diritto all’esistenza di Israele è escluso, così come il
finanziamento di progetti che invitano al boicottaggio di Israele o sostengono
attivamente il movimento Bds». Viene citato il concetto di wehrhafte
Demokratie, ovvero una democrazia in grado di difendersi da sola: «Tutte le
forme di discriminazione antisemita e la diffusione dell’odio verso gli ebrei
devono essere affrontate con coerenza. Una democrazia difensiva non deve
fornire mezzi o spazi per questo».
La retorica da scontro di civiltà
In sintesi,
sia la criminalizzazione della campagna Bds che l’adozione della definizione di
antisemitismo dell’Ihra, così come alcune delle attività del Commissario per la
Vita Ebraica in Germania e della Lotta all’Antisemitismo, fanno parte di una
tendenza alla giuridificazione, come tendenza a estendere la regolamentazione
legale a un numero sempre maggiore di aspetti della vita, ma anche a farlo su
basi semi-legali. La mancanza di una codificazione in leggi di pratiche di
dubbia costituzionalità mette a dura prova la capacità delle vittime di
chiedere un risarcimento giudiziario. In realtà, essi forniscono le basi
istituzionali per l’uso del panico morale come meccanismo di repressione
attraverso la stigmatizzazione e il silenziamento dell’opposizione politica
alla politica israeliana e, più in generale, alla diffusione di una retorica da
scontro di civiltà.
Seguendo la
concettualizzazione del panico morale, l’affermazione, empiricamente non
supportata, di un crescente antisemitismo negli ambienti di sinistra è stata
mobilitata dai mass media e dai gruppi di interesse pro-Israele e poi seguita
dai politici di tutti i principali partiti (compreso quello di estrema destra).
Ciò ha comportato la cancellazione delle posizioni antirazziste di individui
che, oltre ad aver lavorato contro il razzismo, avevano spesso una storia
familiare di vittime dell’olocausto.
L’analisi di
alcuni di questi episodi permette di approfondire le basi istituzionali del
panico morale. La mia ricerca sul panico morale ha individuato alcune
condizioni di portata generale in una società a rischio in cui la paura e il
risentimento sono diffusi dall’insicurezza. Ha anche evidenziato il loro
sviluppo contingente in tempi di cambiamenti rapidi e sconvolgenti. Queste
spiegazioni generali possono effettivamente aiutare a comprendere la diffusione
di un panico morale che si basa su una definizione altamente contestata di
antisemitismo in un momento in cui molteplici crisi (da quella sanitaria a
quella economica, da quella bellica a quella climatica) interagiscono,
alimentando insoddisfazione e sfiducia.
Questo
articolo indica anche alcuni elementi contestuali che aiutano a spiegare il
focus specifico del panico morale come mirato contro gli intellettuali
antisionisti e antirazzisti che si collocano a sinistra. A tal fine, suggerisco
che il concetto di panico morale debba essere collegato ad altri concetti.
Innanzitutto,
gli imprenditori del panico morale operano in un contesto istituzionale che
hanno contribuito a costruire. In particolare, la burocratizzazione della
narrazione dell’antisemitismo in Germania si è basata sulla costruzione di un
ramo specifico dell’amministrazione, dotato di risorse materiali rilevanti ma
con un campo d’azione vago, che lotta per espandere il proprio potere e le
proprie competenze. Man mano che la lotta contro l’antisemitismo si è separata
dalla lotta contro la discriminazione e il razzismo, la sua definizione
amministrativa è stata incorporata in decisioni su basi giuridicamente incerte,
come l’adozione della definizione di antisemitismo dell’Ihra, considerata vaga
e aperta a usi discriminatori da alcuni esperti, e l’assimilazione della
campagna Bds, che promuove il boicottaggio non violento delle merci israeliane,
all’antisemitismo. Queste decisioni hanno aperto la strada a pratiche
amministrative che convergono non solo sul divieto di simboli palestinesi, di
rivendicazioni di libertà e persino di espressione di solidarietà con le
vittime civili di Gaza, ma anche sul ritiro di fondi ad associazioni e
individui che sono stati definiti (senza un giusto processo) come vicini alla
campagna Bds o, ancora più vagamente, come odiatori di Israele. In questo modo,
le libertà di parola, di espressione e di protesta sono state di fatto
subordinate a un processo di etichettatura in cui comportamenti perfettamente
legali sono stati stigmatizzati sulla base dell’attribuzione arbitraria di
motivazioni antisemite da parte degli imprenditori del panico morale.
La
selettività delle politiche contro l’anti-antisemitismo rischia in particolare
di alienare due gruppi della popolazione. Da un lato, c’è il gran numero di
musulmani, arabi o migranti tout court, che vengono usati come capri espiatori
e razzializzati all’interno di una narrazione di scontro di civiltà. Dall’altro
lato, c’è il numero crescente di ebrei che non si identificano con Israele, non
appoggiano il Consiglio ebraico (che si dice rappresenti solo circa la metà
degli ebrei che vivono in Germania) e sono colpiti da quelle che alcuni di loro
definiscono forme istituzionali di antisemitismo. Più in generale, riduce la
qualità della democrazia sia attraverso la diffusione di una regolamentazione
semi-legale da parte di organismi semi-responsabili, sia attraverso la
riduzione dello spazio per la libertà di espressione, comprese le libertà
accademiche e artistiche.
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