lunedì 15 luglio 2024

Metà popolazione Usa ritiene probabile una seconda guerra civile

Un sondaggio svolto nel maggio scorso dalla Marist, un’università statunitense di New York, ha rivelato che la metà dei cittadini di quella nazione, il 47% per l’esattezza, ritiene che sia molto probabile o probabile assistere a una seconda guerra civile, 160 anni dopo la prima.

Scomponendo questa rilevazione troviamo che tra chi pensa di assistere a questo evento, scopriamo che tra i repubblicani la percentuale è del 53%, tra i democratici del 40% e tra gli indipendenti del 41%.

Ne hanno maggiore certezza i più giovani. All’interno della cosiddetta generazione Z (i nati tra fine dei ’90 e il 2010) e quella dei Millennials (nati tra inizio anni ’80 e il 2000) la percentuale arriva al 58%, scende al 46% tra la generazione X (1965-80) e al 34% tra i baby boomer (1946-64). Cala nettamente, al 19% nella generazione “silenziosa” (nati tra il 1928 e il 1945).

Vede vicina la guerra civile il 51% delle donne e il 57% degli afroamericani. Tra questi ultimi il 22% la ritiene molto probabile. Anche Il 50% dei latinoamericani e il 43% dei bianchi pensa che un conflitto interno sia molto probabile o probabile che accada durante la loro vita.

Dopo i crudi numeri alcune riflessioni. Coloro che erano già nati o nacquero subito dopo che furono assassinati John Kennedy, Martin Luther King, Bob Kennedy, Malcom X, sono meno propensi a vedere nella situazione attuale i segni di una guerra civile imminente.

D’altronde la violenza politica è quasi una tradizione negli Stati Uniti d’America, iniziata con l’omicidio del presidente Abraham Lincoln nel 1865, dopo la sua vittoria nella guerra di secessione e passata per l’assalto della folla trumpiana a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 (5 morti e decine di feriti) culminato con scontri armati tra dimostranti e polizia, ritenuto da molti un tentativo di colpo di Stato.

Il Congressional Research Service ci dice che si sono verificati 15 attentati alla vita di presidenti, ex presidenti e candidati alla presidenza Usa, di cui cinque mortali (Lincoln, Garfield, McKinley, John Kennedy e Robert Kennedy) e quattro con ferimento (Roosevelt, Wallace, Reagan e Trump).

Su 45 presidenti Usa 13 hanno subito attentati e, tra loro, sette tentativi di omicidio hanno riguardato gli ultimi nove presidenti. C’è però un collegamento tra la violenza politica e la violenza sociale che non viene fatto molto volentieri dai mezzi d’informazione.

Nell’anno record 2020 si sono verificati 21.500 omicidi negli Usa, 5 mila in più rispetto al 2019, il 77% dei quali commesso con armi da fuoco. Nel 2023, finiti i disordini sociali causati dalla pandemia di Covid-19, dall’omicidio di George Floyd da parte della polizia e dal tentato golpe di Trump, il numero di omicidi è e sceso del 15,6% secondo l’Fbi.

Parliamo comunque di una media di 20 mila omicidi l’anno negli Usa. Di sicuro la facilità con cui procurarsi un’arma è una causa molto importante di tanta furia assassina, ma non può essere isolata dal contesto sociale conflttuale in cui si verificano i delitti.

Con crudo cinismo, ma supportati dalle cifre, possiamo quindi concludere che la violenza politica negli Usa verso i politici è speculare alla violenza sociale nelle strade e nelle case dei comuni cittadini statunitensi. Episodi che avvengono con maggiore frequenza, ovviamente, dei delitti politici.

Il motivo principale per cui in particolare i più giovani ritengono probabile una guerra civile negli Usa non risiede quindi negli sporadici episodi di violenza politica eclatanti come l’attentato a Trump, ma nella violenza sociale e politica diffusa tutti i giorni in tutta la società.

Sessant’anni dopo le marce per i diritti civili, i neri sono ancora il bersaglio privilegiato delle forze dell’ordine, la diffidenza verso i latinos è cresciuta, i cittadini di origine asiatica sono stati vittiime di violenza durante il covid, buona parte della società wasp (bianchi, anglo-sassoni, protestanti, l’etnia storicamente dominante negli Stati Uniti) è ancora profondamente razzista e non inclusiva.

La facilità nel reperire armi da fuoco è di sicuro un moltiplicatore di episodi violenti, ma la loro radice profonda risiede nei grandi passi indietro compiuti dalla società statunitense nel suo complesso negli ultimi cinque decenni.

Intorno alle organizzazioni classiche della violenza politica Usa, come il Ku Klux Klan e le milizie separatiste in molti stati del Sud, sono cresciuti i gruppi armati scaturiti dai deliri nati nella rete virtuale di gruppi come Qanon.

Occupati come sono stati negli ultimi due decenni a invadere paesi stranieri per combattere il terrorismo esterno, gli Usa hanno trascurato completamente quello interno. Perchè nel frattempo molti membri di organizzazioni reazionarie o direttamente complottiste sono diventati deputati, senatori e governatori, locali e nazionali, dando dignità politica alla violenza.

Non ultima questione rispetto alla divisione in due del Paese, la frattura tra città e campagna. Un elemento che proprio gli ultimi anni e il presunto ruolo di Donald Trump come difensore del cittadino “assediato” dalle tasse dai migranti e dal potere federale hanno fatto emergere.

La conclusione inquietante è che non c’è in questo momento negli Usa una figura politica o culturale in grado di riunire il Paese. L’unica speranza, e non soltanto a quella latitudine, è che tra i trentenni di oggi emerga una nuova classe dirigente in grado di superare le divisioni, di riunire il Paese ricostruendo lentamente e dal basso un tessuto sociale coerente. La certezza è che l’attuale classe dirigente Usa, per età e per cultura, può riproporre soltanto divisione.

da qui

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