Ora il Brasile è una repubblica delle banane. Lo è divenuto da pochi
giorni, da quando il presidente Temer ha cacciato Dilma Rousseff dal Planalto
mettendo in atto un vero e proprio colpo di stato. Finora, al contrario,
durante i mandati di Lula e Rousseff, il più grande paese latinoamericano era
tutt’altro che una repubblica delle banane, come invece era stato fatto passare
da buona parte della stampa. Leader dell’integrazionismo latinoamericano, il
Brasile è stato tra i primi a creare le basi per creare quell’onda rosa/rossa
che adesso sta segnando il passo. Non a caso, il primo a congratularsi con
Temer, un politico che da solo non raccoglierebbe più dell’1% dei voti,
talmente è poco credibile, il suo omologo argentino Mauricio Macri. Per il
Brasile si prospettano anni di lacrime e sangue, sicuramente almeno fino al
2018, anno fino a cui il fantoccio dell’oligarchia terriera e di Washington
siederà al Planalto, ma non sono escluse ulteriori sorprese nella giostra
brasiliana.
Il governo del Brasile è nelle mani di banditi e delinquenti di ogni risma,
come si evince bene dalla squadra messa in piedi a tempo di record da Temer.
Tagli ai piani sociali, cancellazione dei diritti dei lavoratori, maggior
repressione, machismo e razzismo: questo è il tratto che avrà
il nuovo staff presidenziale, il cui orientamento non è troppo diverso da
quello degli esecutivi succedutisi alla guida del paese dal 1964 al 1985,
all’epoca della dittatura. Di fronte all’elite che non è disposta a
fare concessioni, sui media di controinformazione brasiliani comincia a
circolare il celebre insegnamento di Florestan Fernandes: “Contro
l’intolleranza dei ricchi, l’intransigenza dei poveri”. Partendo dal
presupposto che la presidenza Temer è illegittima e non rappresenta i
brasiliani, i movimenti sociali avvertono che attacchi nei loro confronti,
contro le organizzazioni di sinistra, nere e contadine, donne, lgbt e favelados non
saranno tollerati. E per far capire bene a Temer che il Brasile popolare è
pronto alla battaglia, pochi giorni prima del golpe il
movimento dei Sem terra aveva occupato una fazenda di Michel
Temer nello stato di San Paolo, ribadendo l’urgenza della riforma agraria e
denunciando i rapporti del presidente con il colonnello Carlos Alberto
Brilhante Ustra, noto torturatore ai tempi del regime, uno dei peggiori incubi
dei detenuti politici. L’occupazione, hanno spiegato i contadini senza terra
tramite Kelli Mafort, della direzione nazionale del movimento, è avvenuta per
denunciare pubblicamente il ruolo svolto dall’agrobusiness nella
delegittimazione di Dilma Rousseff e nel colpo di stato che poi è stato messo
in atto solo pochi giorni dopo, quando già l’aria di golpe si
respirava in tutto il paese. L’impresa Argeplan, formalmente proprietaria della fazenda occupata
dai Sem terra, è stata acquistata da Temer quando l’attuale presidente brasiliano,
sul quale da alcuni giorni pende a sua volta una richiesta di impeachment presentata
dall’avvocato Mariel Marley Marra e accolta dalla Corte Suprema, la comprò
insieme al colonnello della polizia militare di Paraíba João Batista Lima
Filho, uomo di fiducia dello stesso Temer, ma soprattutto noto per essere al
centro di numerosi casi di corruzione.
Estromessa Dilma per almeno 180 giorni, il termine massimo entro il quale
il Senato dovrà pronunciarsi, a maggioranza di 2/3, per confermare, e quindi
ratificare, le accuse contro la presidenta, Temer (ammesso che sia
ancora in sella) è stato paragonato dalla controinformazione brasiliana al malandro di
Chico Buarque concorbata y capital. Tuttavia, non si può fare a meno di
evidenziare che l’attuale ambasciatrice statunitense a Brasilia, inviata
lì da Obama in persona, sia quella Liliana Ayalde che, guarda caso, esercitava
le sue funzioni ad Asunción alla vigilia del colpo di stato perpetrato ai danni
di Fernando Lugo. Paradossalmente presentato, anche in Italia, come paladino
della democrazia, al pari dell’opposizione “democratica” venezuelana che dopo
gli eventi argentini e brasiliani con ancora più forza cerca di assestare la
spallata definitiva a Maduro, Temer farà gli interessi delle grandi imprese, delle
banche e della Confindustria brasiliana, per la gioia dei sindacati gialli e
delle elites. Il programma del nuovo presidente, denominato “Un
ponte per il futuro”, propone il ritorno agli aggiustamenti strutturali di
memoria fondomonetarista, con l’immediata cancellazione di tutti i programmi
sociali varati durante il lulismo e sotto le presidenze di Dilma Rousseff, come
del resto ha fatto il suo omologo Mauricio Macri in Argentina. La
democrazia e la giustizia sociale, conquistati dalla popolazione brasiliana in
decenni di lotte, sono fortemente a rischio.
Al tempo stesso, è interessante chiedersi come mai Lula e Dilma Rousseff,
che nonostante vadano senza dubbio annoverate tra le presidenze più
democratiche del Brasile sono andati fin troppo d’accordo con le imprese e le
multinazionali, siano stati mollati all’improvviso da quest’ultime, le quali
hanno sposato completamente i piani di destabilizzazione della destra. In
Brasile, come del resto in Bolivia, trascorsa una prima fase tempestosa, il
rapporto tra governo e oligarchia sembrava procedere senza intoppi e nel paese
andino sotto certi aspetti è ancora così. La risposta, ancora una volta, la
fornisce l’analista politico di Brecha Raúl Zibechi. Se è vero
che dalle grandi opere alla monocoltura della soia, passando per la mancata
riforma agraria e lo stretto legame con le transnazionali legate all’estrazione
mineraria e alla costruzione delle centrali idroelettriche, il Partido dos
Trabalhadores ha progressivamente abbandonato la radicalità che lo aveva contraddistinto
nei primi anni della sua vita, fino a passare a posizioni assai moderate
dall’arrivo di Lula al Planalto, al contrario i movimenti sociali hanno
intensificato la lotta di classe, proprio per spingere i governi petisti a
stare maggiormente dalla parte dei los de abajo. In questo senso
può essere collocata anche la protesta spontanea del giugno 2013, quando i
comitati popolari che si opponevano alle grandi opere in vista dei mondiali di
calcio del 2014 e il Movimento Passe Livre, di tendenza anarchica, avevano dato
vita alle prime mobilitazioni che invitavano il Pt a varare politiche per le
fasce sociali più deboli (a partire dal diritto al trasporto), prima che
l’ultradestra si infiltrasse nella contestazione allo scopo di far cadere Dilma
già allora. Sempre dal 2013, evidenzia Zibechi, si è verificato un picco delle
lotte e degli scioperi operai che non si registrava dal 1988, anno in cui
veniva approvata la nuova Costituzione a tre anni dalla fine della dittatura.
Negli ultimi anni, per smuovere un governo che, sia per contraddizioni proprie
sia perché legato a partiti il cui apporto era fondamentale per la
sopravvivenza dell’esecutivo (vedi il Pmdb di Cunha e Michel Temer) non faceva
alcun passo avanti dal punto di vista sociale, le organizzazioni popolari hanno
rilanciato con forza le loro lotte per la dignità e per la vita in uno dei
paesi più diseguali del mondo, dove classismo, razzismo e accumulazione di
capitale godono ancora di diritto di cittadinanza nonostante i tentativi di
democratizzazione messi in atto da Lula e Dilma. E’ in questo contesto che,
spaventate dal nuovo attivismo dei movimenti, dall’ondata di nuove occupazioni
promosse dai Sem terra alle mobilitazioni dei favelados e
della gioventù nera, il capitale ha reagito decidendo di eliminare
politicamente la presidenta e ristabilire l’ordine.
I ministri chiamati da Temer “per fare pulizia”, come ha scritto O
Globo (ma anche mezzi di informazione che si definiscono democratici,
in Italia e all’estero), hanno però un pessimo curriculum, da Blairo Maggi,
leader della bancada ruralista e tra i maggiori produttori di
soia al mondo (oltre ad essere nemico giurato dei Sem terra) a Sérgio
Etchegoyen alla Sicurezza. Quest’ultimo, secondo il rapporto della Commissione
nazionale della verità, che durante il primo mandato di Dilma Rousseff aveva
divulgato un coraggioso rapporto sui crimini della dittatura, figura tra i
militari più coinvolti nella violazione dei diritti umani all’epoca del regime.
E ancora, sono coinvolti nell’operazione Lava Jato Geddel Vieira Lima
(Secretaria de Governo), Henrique Alves (Turismo) e Romero Jucà (Planejamento),
mentre José Serra, agli Esteri, è indagato per riciclaggio di denaro sporco
tramite imprese offshore nei paradisi fiscali dei Caraibi, oltre che per tangenti
in relazione alla costruzione della metropolitana di San Paolo. Infine, nella
squadra di Temer, non c’è posto per le donne, scompaiono i ministeri per
l’uguaglianza razziale e per i diritti umani (non accadeva dalla dittatura) e
alla Giustizia viene rispolverato Alexandre de Moraes, che ha già definito gli
studenti che occupano le scuole come “terroristi”.
Nel mondo nessuno si muove, anzi, la cacciata di Dilma viene vista come una
liberazione, a partire da Washington, nemmeno fosse il primo Evo che terrorizzava
la casa bianca o il “diavolo” Chávez. Finora, un plauso va al Venezuela, che
mostrando grande dignità ha già ritirato l’ambasciatore da Brasilia. E tutti
gli altri?
Nessun commento:
Posta un commento