Lo Spirito di Nelson Mandela in Palestina: è la sua vera
eredità quella che viene proclamata?
Quando ho saputo che in Palestina hanno eretto una statua
di Nelson Mandela, l’icona dell’ anti apartheid sudafricana, ho avuto dei
sentimenti contrastanti. Da un lato, mi ha fatto molto piacere sapere che
il rapporto tra le lotte dei palestinesi e quelle dei sudafricani è
ancora molto forte. Dall’altro, temo che i ricchi e corrotti
palestinesi di Ramallah stiano utilizzando l’immagine di Mandela per
acquisire un capitale politico di cui hanno tremendamente bisogno.
La statua di bronzo di sei metri si trova ora in piazza
Nelson Mandela, nel quartiere di Al-Tireh a Ramallah, dove ha sede il quartier
generale dell’Autorità Nazionale Palestinese. La ANP è nota per la endemica
corruzione della sua classe politica e finanziaria. In un certo senso, la sua sopravvivenza
è essenziale sia per la ricca classe politica palestinese sia per l’occupazione
militare israeliana.
E’ stato quindi abbastanza sconsolante assistere alla
parodia teatrale in cui l’artista principale, il presidente della
ANP Mahmoud Abbas, che governa con un mandato scaduto da molto tempo,
scopriva la statua in una cerimonia in cui erano presenti suoi
ministri e diplomatici stranieri.
La statua è stata un dono della città di Johannesburg, ed
il suo costo di 6 milioni di Rand (circa €348.000 ndt) è stato pagato dalla
municipalità di quella città. Città la cui solidarietà con la Palestina è
intrecciata in una lunga storia di lacrime , sangue, toccanti grida
di dolore e di libertà. Cosa che rende il dono ancora più gradito.
Ma il Mandela che ora si trova eretto a Ramallah è stato
inserito nel quartiere che incorpora lo spirito del tempo di questa città, il
quartiere più ricco e radioso che fa mostra di enormi ville in pietra
bianca e auto di lusso. Avrebbe avuto un significato più profondo se la statua
fosse stata eretta nel centro di Gaza, città che sta tuttora resistendo ad
un genocidio; nel cuore di Jenin, una città nota per la sua audacia
nonostante le sue scarse risorse; ad Al-Khalil, a Nablus o a Khan Younis.
Vedere invece ricchi funzionari e uomini d’affari in stato di eccitazione che
si affannavano a guadagnare un posto davanti alle tante telecamere palestinesi,
ha spogliato l’evento del suo speciale significato.
E’ strano ma non è solo la statua di Nelson Mandela
a Ramallah che mi lascia inquieto ma anche quella di Sandton City a
Johannesburg. Ho visitato il posto più di una volta, e nonostante la mia
immensa ammirazione per Mandela, non è riuscito ad emozionarmi.
L’inserimento della statua di Mandela in un’area
commerciale della città mi è sembrato un tentativo di ridefinire Mandela per
quello che non era: da leader popolare e da ex prigioniero con
orgogliosi legami con il Partito Comunista ad un’icona senza energia ,
una figura sfocata senza radici radicali.
Ancora peggio: è stato reclamizzato come una
qualsiasi merce all’interno di un incerto mercato neoliberista, in cui tutto è
in vendita e dei valori rivoluzionari non c’è traccia. Il sito di Sandton City
così descrive la piazza:“è la sede di alcuni dei migliori ristoranti del Sud
Africa, esclusivi ed alla moda, una piazza in stile europeo: Nelson Mandela
Square ,raffinata ed elegante, glamour ed alla moda, il tutto sotto il sole
africano”.
Insomma il Mandela che è propagandato da alcuni in Sud
Africa, e dai loro simili in Palestina, è fondamentalmente diverso dal
Mandela che molti di noi conoscevano. L’uomo deceduto il 5 dicembre 2013 ha
evidentemente lasciato due eredità, quella celebrata nei campi profughi
palestinesi e nelle baraccopoli del Sud Africa, e quella che viene venduta
al turista culturalmente sofisticato ed alla classe corrotta di Ramallah.
Vivendo con la mia famiglia a Gaza in un campo profughi
in rovina sotto occupazione militare e la costante minaccia di violenza, Il
nome ‘Nelson Mandela’ è sempre stato per noi un punto fermo . Ogni volta
che sentivamo il suo nome nei telegiornali ci precitavamo davanti al
televisore. I nostri migliori giovani militanti sono stati inseguiti,
picchiati, arrestati e fucilati solo perché tentavano di scrivere il suo
nome sui muri decadenti delle nostre umili abitazioni.
Questo è stato il Mandela che conoscevo, ed è lui che la
maggior parte dei palestinesi ricorda con adorazione e rispetto. Quello in
piedi a Ramallah, esposto da quei palestinesi che con orgoglio parlano di
condurre con Israele un’azione coordinata per la sicurezza – dando
congiuntamente un giro di vite alla resistenza palestinese – è un
Mandela completamente diverso.
E’ un diverso Mandela perché Abbas e la sua autorità non
incarnano neanche lontanamente lo spirito del Mandela combattente per la
libertà, il prigioniero capace di sfidare, il leader unificante, l’animatore
del movimento di boicottaggio.
In realtà, la leadership palestinese, così come è
rappresentata nel governo non eletto di Abbas a Ramallah, deve ancora
riconoscere il movimento nato dalla società civile palestinese per il
Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), a sua volta generato dal
movimento di boicottaggio del Sud Africa.
Invece l’ANP di Abbas ha sprecato più di 20 anni in
negoziati inutili e senza senso , collaborando con Israele, dividendo la
società palestinese della West Bank e lavorando attivamente
alla repressione della resistenza palestinese.
Con la sua popolarità sempre più in discesa tra i
palestinesi, Abbas si arrabatta disperatamente alla ricerca di vittorie che
appaiono vuote , e insiste nel presentarsi come leader di liberazione
nazionale, nonostante tutto il suo modo di fare provi il contrario.
Ma il legame tra il Sudafrica e la Palestina è molto più
grande di una foto fatta a Ramallah insieme a uomini eleganti che si
ripetono in bugiardi cliché sulla pace e sulla libertà. Oserei dire che è
un legame più grande dello stesso Mandela , a prescindere da quale delle due
eredità scegliamo per ricordarlo. Si tratta di un legame che è stato
consacrato dal sangue dei poveri e degli innocenti e dalla lotta tenace di
milioni di africani neri o di pelle scura e da arabi palestinesi.
Io questo ho avuto la fortuna di poterlo constatare di
persona. Pochi anni fa nel mio ultimo giro di conferenze in Sud Africa , sono
stato avvicinato da due uomini sudafricani. Sembravano particolarmente grati
per ragioni che inizialmente mi sfuggivano. “Vogliamo ringraziarvi molto per il
vostro sostegno alla nostra lotta contro l’apartheid,” disse uno dei due con
sincera franchezza e con un’emozione palpabile. In effetti era più che
comprensibile. I palestinesi hanno visto la lotta dei loro fratelli neri come
la loro lotta. I due uomini però non parlavano di sentimentalismi. Mentre il
governo israeliano, i militari e l’intelligence sostenevano il governo
dell’apartheid in molti modi, l’Organizzazione per la Liberazione della
Palestina (OLP) addestrava ed equipaggiava i combattenti dell’ANC
(African National Congress ndt). Cuba e altri hanno fatto lo stesso, ma mi
riempiva di orgoglio pensare che mentre i palestinesi stessi erano impegnati in
una estenuante lotta, la leadership palestinese di allora ha avuto la
coscienza politica di offrire solidarietà ad una nazione in lotta per la
sua libertà.
Quegli uomini mi hanno detto che anche dopo tutti questi
anni tenevano ancora in bella evidenza le uniformi fornitegli dalla PLO
(Palestine Liberation Organization). Ci abbracciammo e ci separammo, ma con il
tempo mi sono reso conto che l’attuale lotta contro l’apartheid in Palestina
non è solo simile a quella del Sud Africa. Entrambi le lotte sono estensione
dello stesso movimento, la stessa lotta per la libertà ed in effetti
contro lo stesso nemico.
Quando Nelson Mandela disse: “Sappiamo fin troppo bene
che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”, non
cercava di fare il diplomatico con noi o di essere cordiale. Egli credeva
veramente ad ogni singola parola di quella frase.
Speriamo che un giorno una statua di Mandela,
quello che rappresenta lo spirito della Resistenza in Palestina, si levi in
alto tra le persone che hanno sostenuto la sua causa e che lo hanno amato
di più.
da qui
da qui
(tradotto da Gianni
Lixi)
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