lunedì 30 maggio 2016

Tra me e il mondo - Richard Wright


E all’improvviso una mattina nel bosco mi sono imbattuto
nella cosa,
Mi ci sono imbattuto in una radura erbosa con querce rugose
ed olmi a sentinella.
E sono emersi i particolari anneriti dello scenario, ficcandosi
tra me e il mondo...

C’era il disegno di ossa bianche sonnacchiose dimenticate
su un cuscino di ceneri.
C’erano poi i resti carbonizzati di un arboscello che puntavano
un dito mozzo e accusatorio verso il cielo.
C’erano i rami strappati, le piccole vene di foglie bruciate, e
il rotolo bruciacchiato di corda unta;

Una scarpa vacante, una cravatta vuota, una camicia strappata, un cappello solitario e
un paio di pantaloni macchiati di sangue nero
E sull’erba calpestata bottoni, fiammiferi spenti,
cicche di sigarette e sigari, bucce di noccioline, una
fiaschetta svuotata di gin, e il rossetto di una puttana;
Tracce sparse di catrame, piume e penne svolazzanti nell’aria e
l’odore persistente di benzina.
E nell’aria mattutina il sole versava stupore giallo
nelle orbite svuotate del teschio impietrito...
E mentre me ne stavo lì la mia mente raggelata da una pietà fredda per
quella vita andata.
La terra mi afferrò per i piedi e attorno al mio cuore si innalzarono
le mura ghiacciate della paura –
Il sole si spense nel cielo; il vento notturno borbottava tra l’erba
e scompigliava le foglie tra gli alberi; il bosco si risuonò
del latrato affamato dei mastini; le tenebre
urlavano con voci assetate; e i testimoni si levarono
e presero vita:
Le ossa riarse si mossero, agitandosi si alzarono per fondersi alle
mie ossa.
Le ceneri grigie si trasformarono in carne soda e nera, ed entrarono nella mia
carne.
La fiaschetta del gin passata da bocca in bocca; i sigari le sigarette
si riaccesero, la puttana si imbrattò di rossetto
le labbra,
E migliaia di facce mi turbinarono attorno, insistendo a gran voce che
venisse arsa la mia vita...

E poi mi presero, mi denudarono, schiacciandomi in gola 
i denti fino a quando non inghiottii il mio proprio sangue.
La mia voce annegò nel ruggito delle loro voci, e il mio
corpo nero bagnato scivolava e rotolava nelle loro mani
mentre mi legavano all’arboscello.
E la mia pelle si attaccava alla catrame bollente, che mi si staccava di dosso
in mucchietti flosci.
E le piume e le penne bianche si affondarono appuntite
nella mia carne sanguinante e si levarono i gemiti della mia agonia.
Poi una misericordiosa frescura sorprese il mio sangue, il battesimo
della benzina.
E in una vampa rossa balzai verso il cielo mentre il dolore si alzava come
acqua, bollendomi gli arti.
Ansimando, scongiurando mi aggrappai come un bambino mi aggrappai ai roventi
fianchi della morte.
E ora non sono che ossa riarse e la mia faccia un teschio impietrito che fissa
con giallo stupore il sole...

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