L’incendio di Odessa e la
stampa italiana – Pino Cabras
Vediamo
i lenzuoli sui corpi di decine di persone, nelle videoriprese di Odessa, in
Ucraina. Lì è in atto un pogrom antirusso in pieno XXI secolo, con
lancio di molotov, granate artigianali, assedi, bastonature. Squadre nazistoidi
di Pravy Sektor (“Settore
Destro”), protette e inquadrate anche nel resto del Paese da una giunta
insediatasi dopo aver allontanato con la violenza un presidente eletto
regolarmente, stanno devastando i luoghi di aggregazione sociale e politica –
ossia i partiti, le associazioni, i sindacati – di una parte della popolazione
di Odessa (maggioritaria) identificabile come russa, russofona o filorussa. La
polizia della città sul Mar Nero ha lasciato fare per ore.
Ma
le vergognose testate italiane fanno a gara per sopire e troncare la reale
portata della notizia.
Distinguere
fra un generico incidente e una strage politica: il confine per capire quali tempi
di fuoco si avvicinano passa da qui, dai 38 morti del 2 maggio di Odessa (per
tacere degli altri episodi da guerra civile nel resto di un paese in
bancarotta).
In
materia di guerra la stampa italiana, specie sul web, ci ha già abituati al peggio
negli ultimi anni. Con il dramma dell’Ucraina si è già subito portata ai suoi
peggiori livelli, già raggiunti nel disinformare i lettori sulla guerra in
Libia e poi in Siria. Le pagine web italiote ci farebbero davvero ridere, se
non parlassimo di una tragedia: i 38 filo-russi bruciati in una sede sindacale
dai nazionalisti ucraini di estrema destra sono diventati delle generiche “38 vittime in un incendio”.
«Quasi si trattasse di un incidente e non di un massacro politico», commenta
Daniele Scalea, direttore dell’IsAG, un istituto di studi geopolitici molto
attento alle vicende dell’Europa orientale. Scalea e anche noi ci
domandiamo cosa avrebbero scritto nel 2011 il Corriere della Sera, o la Repubblica, o Il Fatto Quotidiano, se dei miliziani di Gheddafi
avessero assediato decine di manifestanti fino a farli bruciare vivi.
Ecco
come il canale televisivo russo RT riferisce i fatti:
«Almeno
38 attivisti antigovernativi sono morti nell’incendio della Camera del Lavoro
di Odessa a seguito del soffocamento per il fumo o dopo essere saltati dalle
finestre dell’edificio in fiamme, ha riferito il ministro dell’Interno ucraino.
L’edificio è stato dato alle fiamme dai gruppi radicali pro-Kiev.»
Così
invece li racconta il Corriere:
«Trentotto
persone sono morte in un incendio scoppiato nella città ucraina di Odessa e
legato ai disordini tra manifestanti filo russi e sostenitori del governo di
Kiev.»
Così,
genericamente, un incendio “legato ai disordini”…
Ancora,
il pezzo su Repubblica suona così:
«È
di almeno 38 morti anche il bilancio delle vittime degli scontri tra
separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. “Uno di
loro è stato colpito da un proiettile”, ha riferito una fonte all’agenzia
Interfax, “mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della
loro morte”. La sede dei sindacati è stata data alle fiamme. Le persone sono
morte nell’incendio. Gli scontri sono violentissimi.» La macabra contabilità si
disperde in un groviglio in cui non si capisce chi fa che cosa, quanti muoiono
in un episodio o in un altro, chi appicca gl’incendi.
L’Unità riesce a fare
peggio di tutti. La salma del giornale di Gramsci scrive infatti che la sede
del sindacato è stata bruciata dai separatisti filo-russi (uno scoop
malauguratamente ignorato in tutto il resto del mondo). A ulteriore
dimostrazione che all’Unità non sanno quel che dicono, aggiungono che
sono stati «abbattuti due elicotteri filorussi, Mosca furiosa», come se la
rivolta avesse una sua aviazione all’opera.
Naturalmente
la notizia era inversa: due elicotteri d’assalto Mi-24 delle forze speciali di
Kiev (che stanno combattendo assieme a contractors stranieri e milizie naziste), sono stati
abbattuti dalle forze ribelli. Notizia molto preoccupante, se vista nelle sue
implicazioni, possibilmente quelle esatte, della possibile escalation del
conflitto.
Se
puntiamo di nuovo l’attenzione al rogo di Odessa, la conclusione è dunque
chiara: gli organi di informazione nostrani sono reticenti, quando non
falsificano, perché non riferiscono che le vittime sono state tutte di una
parte, né che la causa immediata della loro morte sia stato un incendio doloso
appiccato dalla milizia del partito nazista Pravy Sektor presso la sede di un
sindacato.
Questo
accade nell’Odessa del 2014 e non nella Ferrara del 1921 né nella Stoccarda del
1932. A quel tempo c’erano ancora organi di informazione che raccontavano la
portata reale della catastrofe, prima di esserne travolti.
Non
sappiamo ancora se il veleno della catastrofe politica di questo secolo potrà
essere evitato, data la risolutezza degli apparati atlantisti nel precipitare
nel caos l’Ucraina, paese chiave della sicurezza comune europea.
L’unico
antidoto esistente può funzionare solo se diventa un fenomeno politico e
mediatico di massa: l’antidoto è informarsi e informare, fuori dalla ragnatela
mediatica dominante, far sapere tutto su chi vuole estendere il grande
incendio, ben oltre i palazzi di Odessa.
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