Nella notte fra il 9 e il 10 maggio scorsi,
una sorta di squadrone della morte, capeggiato da due individui di mezz’età, fa
irruzione nel modesto appartamento di un uomo sui trent’anni. I sei, a volto
scoperto, indossano guanti di lattice e sono armati di una mazza da baseball,
una spranga di ferro, un martello, un tirapugni, una pinza a pappagallo,
perfino un guanto in maglia d’acciaio. Non v’è dubbio alcuno, dunque, che
intendano dare una lezione assai dura alla loro vittima.
Colto di sorpresa e abbandonato
dall’amico (o forse cugino) ch’era in casa – fuggito in preda al panico alla
vista dello squadrone – lo sventurato dapprima tenta di difendersi, poi
soccombe alla violenza dei suoi carnefici. Così che questi, in specie i due
capibanda, potranno svolgere con tutta calma l’opera di sevizie, torture,
mutilazioni. Nonostante siano imbottiti, si dice, di una miscela di cocaina e
alcool, eseguiranno il lavoro con meticolosità quasi scientifica: gli recidono
un orecchio, gli strappano parte del naso, gli fracassano il cranio e con la
pinza gli tranciano di netto un mignolo e un alluce, che poi gettano nel
lavandino.
Nella notte silenziosa del borgo
risuonano le urla strazianti della vittima. Eppure per circa un’ora nessuno
interviene a fermare il massacro. Infine, qualcuno dà l’allarme. Ma quando le
forze dell’ordine si risolveranno a fare irruzione nell’appartamento sarà
troppo tardi: il poveruomo è ormai morto. Martoriato, mutilato, dissanguato da
emorragie interne ed esterne, ha patito una lunga agonia.
Non siamo nel Cile di Pinochet o
nell’Argentina di Videla, neppure nell’Egitto del generale al-Sīsī. Bensì, più
modestamente, a Basilicagoiano, frazione di Montechiarugolo, a pochi chilometri
dalla civilissima Parma, ove risiedono i due principali carnefici. Gli altri
quattro della banda, operai romeni, sarebbero stati arruolati in funzione
ausiliaria, per così dire. Anch’essi sono in carcere con l’imputazione di
concorso in omicidio e le aggravanti della premeditazione e della crudeltà.
I due aguzzini –persone “assolutamente
insospettabili”, secondo le cronache locali – sono rei confessi ed è perciò che
ci permettiamo di nominarli. L’uno, il 42enne Alessio Alberici, fermato la
notte stessa del delitto, è un grafico e illustratore “ben noto a Parma”. In
quanto fumettista di un “noir d’atmosfera”, lo ritroviamo, tramite la rete, tra
gli ospiti illustri di una serata “dedicata al giallo e al mistero”: cosa che
oggi suona come un terribile paradosso. L’altro, Luca Del Vasto, di 46 anni,
l’ideatore della spedizione punitiva e il carnefice più spietato, è titolare di
un’impresa di pulizie, ma anche gestore di un locale ben noto, il Buddha Bar di
Sala Baganza: un dettaglio, anche questo, atrocemente beffardo, data
l’inclinazione alla crudeltà e al sadismo di cui darà prova il barista
“buddista”, che proprio all’interno di quel bar organizza il raid fatale, in
cui si distinguerà per le mutilazioni inflitte alla vittima.
Nonostante questo caso non sia certo tra
i più consueti e banali, è stato confinato nella cronaca locale. I maggiori
quotidiani nazionali, che di solito non disdegnano la nera più truculenta, gli
hanno dedicato solo alcuni pezzi nelle edizioni locali (parliamo delle versioni
online). Eppure, non foss’altro che per l’efferatezza dell’assassinio,
preceduto da sevizie e torture, esso presenta qualche analogia con l’omicidio
di Luca Varani. E questo crimine è stato oggetto non solo di lunghe serie di
articoli di cronaca in giornali mainstream, ma anche di commenti e analisi.
Una delle ragioni di una tale
sottovalutazione è facilmente intuibile. Gli ideatori e principali esecutori
dell’atroce martirio avevano sì “piccoli precedenti per spaccio”, ma, italiani
e per di più parmigiani doc, erano considerati cittadini rispettabili. La
vittima, invece, non era che un “extracomunitario”: Mohamed Habassi, di
trentatre anni e cittadinanza tunisina, oltre tutto disoccupato. Il
rovesciamento dello schema privilegiato da buona parte dei media, che vuole le
persone immigrate nel ruolo dei criminali, probabilmente non li ha incoraggiati
a occuparsi di un tale delitto “anomalo”.
Quanto al movente, almeno quello
confessato dai due aguzzini, non potrebbe essere più meschino: Mohamed non
pagava la pigione dell’appartamento di proprietà della “convivente” di Del
Vasto, a suo tempo preso in fitto dalla sua compagna, morta lo scorso agosto in
un terribile incidente d’auto. Ma si sospetta che vi siano anche altri moventi.
Nel 2014 il quotidiano britannico The
Telegraph ha classificato Parma al quarto posto tra i luoghi migliori al mondo
per qualità della vita, sorvolando sugli scandali e la corruzione.
Comunque sia, la città del parmigiano e del Parmigianino, con la sua provincia,
non ha certo portato fortuna a Mohamed, né alla sua compagna, postina di
professione, lei stessa immigrata, sia pur dalla Sicilia. E ha sorriso poco
anche al loro bambino, che oggi ha sei anni: sopravvissuto all’incidente che è
costato la vita alla madre, quindi gravemente scioccato, ormai orfano anche del
padre, che amava molto e dal quale era altrettanto riamato.
Dopo la prima disgrazia, per decisione
del tribunale, il piccolo era stato dato in custodia al padre. E Mohamed, a sua
volta, lo aveva affidato alle cure della nonna paterna, anche per sottrarlo a
conflitti familiari e probabilmente in attesa di tornare lui stesso in patria.
Il bimbo, dunque, non abita più a pochi chilometri da Parma, bensì in una
cittadina del governatorato di Tunisi. Se un giorno, divenuto adulto, fosse
costretto a emigrare, chissà se aspirerebbe a tornare nella quarta città al
mondo per qualità della vita.
Nonostante la vicenda di questa famiglia
sia così coerentemente tragica da apparire letteraria, così struggente da non
poter sollecitare altro se non commozione e pietas, e il delitto così mostruoso
da lasciare attoniti, vi è chi non ha resistito alla tentazione di diffamare la
vittima. L’autrice del primo articolo che Parma.repubblica.it ha dedicato al
caso, invece d’interrogarsi sull’identità dei carnefici, scrive che “alcune
risposte” sui “punti oscuri di questa vicenda […] possono essere cercate
nell’identità della vittima”. Mohamed Habassi, infatti, “non era per nulla amato
nel vicinato”, cui “arrecava disturbo”,
tra l’altro ascoltando “musica ad alto volume”.
C’è da trasecolare. Se per Del Vasto è
normale che il fatto di non pagare la pigione possa essere punito con un tale
martirio, le allusioni della giornalista rivelano nient’altro che pregiudizio
verso la vittima e indulgenza verso i carnefici: Habassi se l’è cercata, in
definitiva. Gli “extracomunitari” stiano attenti quando ascoltano musica: la
loro vita vale così poco che rischiano d’essere suppliziati dai vicini.
In Italia, nessuna protesta pubblica è
intervenuta finora a bucare un così spesso muro di orrore, ma anche di
pregiudizio e cinismo, neppure da parte dell’antirazzismo militante e della
sinistra più “radicale” di Parma: forse imbarazza la partecipazione dei romeni
alla spedizione punitiva? Nondimeno, qualche piccolo barlume di solidarietà
riesce a trapelare. Per esempio, alcune educatrici e altre persone che hanno
conosciuto quel bambino in tempi migliori e lo hanno curato, protetto, amato,hanno pubblicato un
appello su un giornale locale online per sapere in che modo
possano aiutarlo: “Caro piccolo, non ti dimentichiamo, ci stringiamo a te e
combatteremo per un mondo in cui il denaro non valga più della vita,
dell’amore, della cura verso i più deboli e i più piccoli”.
(*) Ripreso da «Micromega»; versione leggermente modificata dell’articolo pubblicato dal quotidiano «il manifesto» il 25 maggio.
(*) Ripreso da «Micromega»; versione leggermente modificata dell’articolo pubblicato dal quotidiano «il manifesto» il 25 maggio.
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