Il maratoneta Miguel Sánchez se lo
llevaron l’8 gennaio 1978. Fu uno dei tanti casi in cui il
regime militare argentino, nella sua sete di vendetta, non risparmiò nemmeno
gli sportivi del suo paese. Non solo utilizzò la Coppa del Mondo di calcio del
1978 per dimostrare con arroganza che gli argentini erano derechos y
humanos e sterminò in maniera metodica gli eroici rugbysti della
squadra di Prima Divisione La Plata Club Rugby, ma perseguitò tutti gli
sportivi che militavano o simpatizzavano per organizzazioni di sinistra,
dall’Izquierda guevarista ai montoneros passando per il Partito Comunista fino
ad arrivare alla Juventud Peronista.
Correcaminos, così era
soprannominato Miguel, apparteneva proprio alla Juventud Peronista, svolgeva un
lavoro di coscientizzazione nelle villas miserias, ma, soprattutto,
dedicava tutto il suo tempo libero all’allenamento. Calciatore mancato, giocava
nel club Gimnasia y Esgrima di La Plata, scopre poi l’atletica, che diventerà
la passione della sua vita. Miguel inizia a correre per le strade della città dormitorio
di Berazategui, a cui era arrivato da piccolo con la famiglia da Tucumán, e
sogna di fare il maratoneta per vincere una medaglia alle Olimpiadi indossando
la maglia di quell’Argentina che poi lo avrebbe eliminato in ossequio al
Processo di riorganizzazione nazionale del regime, caratterizzato dal
terrorismo di stato e dai campi di detenzione e tortura clandestini. Ogni
giorno corre almeno tre ore e il 31 dicembre 1977 partecipa alla sua penultima
gara, quella di San Silvestro, a San Paolo, una delle competizioni più dure del
Brasile, caratterizzata da 15 chilometri di saliscendi con partenza alla
mezzanotte. Per Miguel si trattava della sua terza partecipazione a questa
corsa, ma una volta terminata la gara, il giovane atleta (era nato nel 1952) si
sposta in Uruguay per “La travesía de la Plata”. Al suo ritorno in Argentina,
gli uomini al servizio della dittatura lo aspettavano. Dormiva da poche ore
quando, nel cuore della notte, otto persone irrompono nella casa di Miguel e lo
strappano alla famiglia. Gli sgherri del triumvirato Videla-Massera-Agosti
cercano le prove della sua appartenenza alla guerriglia montonera, ma Miguel è
un semplice militante che fa lavoro politico e nel corso degli anni gli impegni
sportivi lo avevano allontanato dalla politica attiva, per cui non trovano
niente, ma se lo portano comunque via in una delle Ford Falcon con i vetri
oscurati che il regime utilizzava per questi scopi. Pare che Miguel sia passato
dal centro di detenzione clandestino “El Vesubio”, nel Gran Buenos Aires, ma di
lui non si è saputo più niente. La Gazzetta di San Paolo pubblicò una poesia di
Miguel che lo ha reso celebre in tutto il mondo, Para vós atleta, i
cui versi principali recitano: “Para vós atleta, para vós que sabés del
frio, de calor, de trionfo y derrotas…Para vós atleta, que desprecias la guerra
y ansías la paz”. I militari pensavano che i desaparecidos sarebbero
caduti nell’oblio, e invece la faccia di Miguel, e di tutti gli altri, continua
a rappresentare un simbolo di resistenza. Grazie al giornalista Valerio
Piccioni, della Gazzetta dello Sport, è sorta la “Corsa di Miguel”,
competizione che inizialmente si correva ogni anno per le strade di Roma in
ricordo del giovane atleta argentino, ma che adesso è divenuta un evento
internazionale e viene organizzata a Barcellona, in Brasile, a Buenos Aires e
in altre città dell’Argentina. Proprio a Buenos Aires, all’epoca in cui era
sindaco l’attuale presidente del paese, Mauricio Macri, l’Amministrazione
comunale decise di ritirare il suo appoggio alla manifestazione, dopo che la
“Corsa di Miguel” era stata definita dalle associazioni per i diritti umani
come “La Carrera de Miguel y de los 30.000 desaparecidos”.
L’associazione sportiva La Poderosa, che organizza eventi di carattere sportivo
a sfondo sociale nelle villas miserias di Buenos Aires,
sostiene, a ragione, che “Macri rappresenta tutto il contrario dei sogni di
Miguel”.
Agli sportivi vittime della dittatura ha
reso onore il libro Deporte, desaparecidos y dictadura, del
giornalista Gustavo Veiga, pubblicato nel 2006. Nella maggior parte dei
casi, sottolinea Vega, il regime intendeva eliminare gli sportivi non in quanto
atleti, ma per la loro militanza politica. Giocatori di scacchi, di hockey,
calciatori, cestisti, canottieri, ginnasti e tennisti furono inghiottiti dal
regime e non si salvò alcuna disciplina. Tra le storie più drammatiche quella
della cestista Alicia Alfonsín, giocatrice di basket desaparecida assieme
al marito. Entrambi passarono dall’Esma e ad Alicia le strapparono il figlio nato
in carcere per affidarlo ad una delle famiglie che simpatizzavano per la
dittatura. Per fortuna, Juan Cabandié ha recuperato la sua vera identità grazie
alle Abuelas de la Plaza de Mayo per divenire poi deputato kirchnerista
all’Assemblea legislativa della città di Buenos Aires. Altrettanto
impressionante fu ciò che accadde al tennista Daniel Schapira sequestrato
nell’aprile 1977. Come la cestista, Daniel lavorava e organizzava assemblee
nelle villas miseriase, contemporaneamente, praticava attività sportiva,
fino a piazzarsi stabilmente tra i dieci migliori tennisti del ranking giovanile
argentino. Ad arrestarlo fu il torturatore Antonio Pernias, che sperimentò su
di lui una pistola con dei proiettili anestetizzanti che bloccavano e
stordivano le vittime, in modo tale da estorcere loro informazioni utili
soprattutto nelle prime ore di tortura. In onore di Schapira, nel giorno
del suo compleanno, il 18 ottobre, l’Argentina ha dichiarato questa data Día
Nacional del Profesor de Tenis. E ancora, scomparvero nel nulla
l’attaccante Carlos Rivada, unico calciatore professionista, che militava
nell’Huracán de Tres Arroyos e per il quale la società si rivolse direttamente
all’esercito senza però ottenere alcuna informazione, e il portiere di riserva
del Gimnasia y Esgrima di La Plata Antonio Piovoso.
Nel suo libro Gustavo Veiga ha
raccontato la storia di 35 casi, documentati, di sportividesaparecidos,
ma lo stesso giornalista ha segnalato anche quegli sportivi che, al contrario,
erano utilizzati dal regime per ottenere informazioni sull’opposizione,
infiltrarli nelle organizzazioni sociali o che svolgevano la vera e propria
funzione di torturatori. Tra loro il portiere Edgardo Andrada, estremo
difensore del Rosario Central, del Vasco da Gama e addirittura della Nazionale
argentina tra gli anni Sessanta e Settanta, impiegato nell’intelligence dei
servizi segreti dello Stato. Facevano invece parte della peggiore manovalanza
fascista Juan de la Cruz Kairuz, calciatore del Newell’s Old Boys, che
“lavorava” in un grupo de tareas che sequestrava gli
oppositori politici, l’arbitro Francisco Bujedo e il guardalinee Ángel Narciso
Racedo. Anch’essi appartenevano agli squadroni della morte che si occupavano di
rapire i militanti di sinistra e gli attivisti per i diritti umani: nel fine
settimana arbitravano e nel resto dei giorni facevano i torturatori agli ordini
dell’Alianza Anticomunista Argentina, il cui fondatore Alberto Villar, spesso
utilizzava le barras bravas per scatenare la caccia contro gli
oppositori. Da lui, purtroppo, Macri ha preso l’idea di utilizzare alcune
frange delle tifoserie calcistiche argentine per dare la caccia agli immigrati
nelle villas miserias di Buenos Aires ai tempi in cui era
sindaco della cittàporteña.
Ni vivos ni muertos diceva Videla
con macabro autocompiacimento per definire idesaparecidos, convinto che
il paese e il mondo intero si sarebbe scordato di loro. E invece la “Corsa di
Miguel”, all’insegna del motto Correr para no olvidar, al pari del
libro di Claudio Fava Mar del Plata (dedicato alla
squadra La Plata Club Rugby), servono per ricordare, una volta di più,
tutti i 30.000 desaparecidos (sportivi e non) eliminati da una
giunta militare che, ancora oggi, in Sudamerica e non solo, trova ancora troppi
estimatori.
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