Restaurazione completata in Brasile.
Dilma Rousseff, che aveva vinto le elezioni con oltre 54 milioni di voti, viene
sostituita da un governo che non si limita a metterla in stato d’accusa per
presunte violazioni, ma ribalta completamente il segno politico del paese.
Quello presieduto da Michel Temer, un dinosauro della peggior politica,
inquisito per corruzione e con un’aspettativa di voto che i più benevoli
collocano al 2%, è un governo non eletto da nessuno, sessista e razzista,
composto esclusivamente di maschi bianchi, sette ministri del quale già
inquisiti per corruzione. Dopo aver coperto di letame, complici i media
monopolisti, uno dei più autorevoli dirigenti politici mondiali, Lula da Silva,
le destre hanno dunque fatto un passo avanti e preso il potere con un colpo di
stato parlamentare destituendo una presidente, Dilma Rousseff, accusata di
nulla. Quello di Temer è un governo di agroindustriali, fondamentalisti
neoclassici ed evangelici (due facce della stessa medaglia), corrotti,
violatori di diritti umani e narcos, che ha come ministro di giustizia un
avvocato vicino al principale cartello criminale del paese.
Addirittura
duecento degli uomini che hanno votato l’impeachment contro Dilma sono già
inquisiti per corruzione, con l’infamia massima di uno di loro che ha votato in
onore al boia che torturò la presidente durante la dittatura. Potete applaudire
alla svolta di pulizia e libertà in Brasile, che si è lasciato alle spalle 13
anni di dittatura comunista, seguendo il mantra del mainstream che da anni si
straccia le vesti per la corruzione vera o presunta nel PT, maquillando una
piazza parafascista inneggiante ai militari, rappresentandola come democratica
e progressista, ma la verità è che oggi al Palazzo di Planalto siede una
destra che, per quanto lunare possa sembrare, non ha mai accettato di essere
governata da una donna e avere ministri di pelle nera e non è mai stata
democratica.
Tutto
ciò mentre le sinistre europee sempre capaci di commuoversi per negretti eindianini,
dimostrano che al dunque si immedesimano sempre e solo con le classi medie
bianche e con gli studenti bene delle università private, una vera nuova destra
estremista che si fa nuova classe dirigente, in nome di incoercibili valori
liberaldemocratici ai quali tirare la giacca, immancabilmente da destra. Per
quindici anni queste hanno spaccato il capello in quattro e storto la bocca,
dal centro all’estrema sinistra, per Lula come per Néstor, Cristina o Evo o
Chávez, accettando la logica delle destre sullo sterile dibattito sul
“populismo” opposto al pensiero unico neoliberista, e difendendo come libertà
d’espressione i monopoli mediatici privati, da Globo a Clarín, che continuano a
privare di voce i più e d’informazione credibile l’intera regione. Adesso applauditeveli
voi i Macri, i Temer, i Cunha, i Serra con i suoi 13 processi, neanche fosse
dell’Utri, i Maggi, il re Mida dell’agroindustria, come i Leopoldo López e le
Keiko Fujimori. Eletti o meno, corrotti o peggio, assassini e repressori, sono
loro, non certo una rivoluzione proletaria che tanto spaventava le nostre
sinistre, l’alternativa al campo progressista, social-democratico, che mille
volte ha sbagliato ma aveva provato a metter mano alla terra desolata
latinoamericana dopo mezzo secolo di dittature e governi fondomonetaristi.
Raccontare il
ritorno al potere della peggiore destra, ovvero la conclusione di questa fase
della storia, va detto senza sconti per poter riavvolgere il nastro e capire le
ragioni di quella che a oggi è una nuova sconfitta esiziale per il campo
popolare in Brasile, paragonabile all’avvento della dittatura nel 1964. Di
nuovo senza sconti, come mio costume. Ricordiamo innanzitutto il fatto che mai
in questi tredici anni il Partito dei lavoratori (PT) è stato maggioranza in un
contesto politico, quello della federazione brasiliana, fatta di cerchi
concentrici di potentati e oligarchie locali, alleanze d’interesse e
post-ideologiche che si saldano e si rompono continuamente, e che hanno sempre
obbligato il PT a trattare con la vecchia politica. Questo fu fin dall’inizio ilmensalão, il
comprare letteralmente il voto dell’opposizione, per far passare quei
provvedimenti indispensabili ad abbozzare il cambio necessario.
E
così ha governato il PT: appeseament con le banche, con la finanza, con la
grande industria, con l’agroindustria madre del modello esportatore sul quale è
costruito il paese, con le compagnie minerarie a cielo aperto che per
guadagnare un Real inquinano per dieci, con la corruzione interna a un enorme
partito come il PT tipica della nostra epoca anche in Europa, con un sistema
mediatico monopolista che golpista lo è sempre stato, fin dal primo
giorno. Ed è così che di appeasement in appeseament il PT ha comprato la
pace sociale messa a rischio dalle destre e non certo da quelli che furono i
movimenti sociali più forti al mondo, fattisi docilmente controllare e
sostanzialmente smobilitare dal grande bottegone brasiliano.
Tutti
questi appeseament hanno comportato molteplici abiure, a partire dalle due
forse più importanti: quella di una riforma radicale di un sistema educativo
primario, che ha consegnato ancora una generazione di giovani brasiliani di
classe popolare, urbana e non, a un lumpenproletariato senza speranza che nel
crimine o nel fanatismo di chiese evangeliche di estrema destra, e quella di
una riforma agraria dura, non solo per mantenere le promesse fatte a un enorme
popolo in cammino, ma come alternativa reale al modello agroindustriale di
sviluppo e per salvare ambiente e biodiversità del paese. Sono due passaggi,
non i soli certo, che avrebbero consentito quel percorso di cittadinanza che
invece, con l’oggettivo miglioramento delle condizioni di vita di decine di
milioni di brasiliani, merito indiscusso dei programmi sociali di Lula e Dilma,
li ha trasformati in consumatori invece che in cittadini, unico orizzonte
possibile nel mondo neoliberale. Ma se una cosa ha insegnato la storia dei
governi integrazionisti latinoamericani in questi tre lustri è che diminuire la
povertà non vuol dire diminuire la disuguaglianza. Sei meno povero ma resti
subalterno e nel piccolo benessere raggiunto sei incapace di immaginari
alternativi al modello e pertanto vuoi di più non come cittadino ma come
consumatore, massa di manovra per un mercato onnivoro, consegnandoti al qualunquismo
spoliticizzato. Senza diminuire la disuguaglianza non vi è democrazia
possibile.
C’era
alternativa? C’era alternativa a governare col nemico come in questi anni è
stato fatto in Brasile? Chi scrive rivendica il diritto a non avere una
tesi definita e buona per tutte le stagioni, ma non crede che, nel nostro
secolo, si potessero governare i processi di cambiamento di un paese enorme
come il Brasile con un governo di minoranza costretto a comprare e ricomprare i
mille Temer di turno per ogni singolo provvedimento e poi comprare con alti
profitti anche la non belligeranza dei mercati, e poi quella delle banche, e
poi dell’agroindustria, delle miniere a cielo aperto, delle multinazionali
eccetera. In questo senso è una caduta annunciata quella del PT, con una base
sfiduciata, come si è visto nella rabbia delle grandi manifestazioni operaie e
dei lavoratori dei servizi a basso valore aggiunto a partire dal 2013, e spesso
sacrificata in omaggio alla governabilità, e una destra sempre più aggressiva.
Già, ma l’alternativa nel Brasile reale?
Chi
scrive pensa anche, come Chávez del resto, che al rimanere in un alveo di
democrazia parlamentare non ci fosse alternativa, pena l’offrire il fianco a
una guerra contro il continente ribelle da parte di chi ha ancora in mano sia i
cordoni della borsa, che quelli dell’informazione ed è disposto ad usare la
menzogna, l’ipocrisia e la violenza per difendere i propri privilegi. Sono gli
stessi, non ingannatevi, che come l’11 settembre 1973, nelle parole del martire
latinoamericano Salvador Allende, altrettanto calunniato dalle destre e isolato
dalle sinistre, “ha la forza ma non la ragione”. D’altra parte tale
percorso democratico parlamentare non ha affatto garantito alle migliori
intenzioni del governo del PT un percorso di uguaglianza e giustizia, che
potremmo al massimo definire octroyée. E qui
viene il punto più oscuro. Non è detto che il ben più fragile Venezuela abbia
alternativa alla monocoltura da petrolio, ma il Brasile potenza industriale e
globale, e in questo plaudo ancora alla tela integrazionista tessuta nella
regione e nel mondo da Lula con Néstor e Hugo Chávez, capace di respingere
l’ALCA di Bush, avrebbe e ha mille alternative alla subalternità e alla
dipendenza di lungo periodo alla quale la riconsegna il colpo di Stato.
I
movimenti sociali, a partire da quello che resta il più forte al mondo, il
Movimento dei braccianti agricoli senza terra, l’MST, il Fronte Brasile
Popolare e le Pastorali sociali della Chiesa cattolica, pur indotti a lungo
alla smobilitazione da un partito col quale non hanno mai interrotto una
dialettica complessa, si sono immediatamente stretti intorno a Dilma nel
denunciare l’illegittimità del golpe e il suo disegno regressivo affatto
improvvisato del paese bianco e razzista che non accetta di condividere la
torta con le grandi maggioranze meticce e nere. Saranno loro, come sempre, a
mettere i morti, non appena sarà chiaro a tutti che il governo illegittimo di
Michel Temer non ha alcuna ricetta per la recessione economica, la crisi
politica, sociale e ambientale del paese, e che vorrà solo mantenere il potere
raggiunto con il golpe e difendere i privilegi dell’1% e delle multinazionali.
Quello che c’è da salvare ora è la democrazia stessa di fronte a un governo
illegittimo teso a ristabilire il sistema schiavista nel paese. No al golpe in
Brasile, Via Temer.
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