Che cosa hanno in comune l’isola di
Giava in Indonesia, la FIFA, una falsa accusa in Libia ed il campo profughi di
Bureij nella Striscia di Gaza? Condividono tutti una stessa avvocatessa
olandese, Liesbeth Zegveld, che sfida i termini di prescrizione e i limiti
nazionali di giurisdizione quando si tratta di crimini nei confronti della vita
umana commessi da potenti.
Martedì scorso ha inviato una notifica
di chiamata in correità all’ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano
Benny Gantz ed al comandante delle forze aeree israeliane Amir Eshel, chiedendo
loro di comunicarle entro sei settimane se si assumono la responsabilità
dell’uccisione di sei membri della famiglia di Ismail Ziada, un cittadino
olandese, nel corso dell’operazione ‘Margine Protettivo’ a Gaza nel 2014, e se
intendono risarcirlo per i danni.
La notifica informa che, se non intendono
farlo, lei ed il suo cliente intenteranno una causa civile accusandoli di
crimini di guerra presso un tribunale olandese. Il giudice esaminerà in primo
luogo la questione se un tribunale olandese abbia giurisdizione sul caso.
Zegveld riferirà alla corte il caso di
un medico palestinese, Ashraf al-Hajuj: nel 2000 lui e cinque infermiere
bulgare che lavoravano in un ospedale libico furono ingiustamente accusati di
aver infettato dei bambini con il virus HIV. Solo la pressione internazionale
li salvò dalla pena di morte. Dopo che Hajuj tornò in Olanda si rivolse alla
Zegveld, che citò in giudizio 12 alti ufficiali libici per tortura e
trattamento inumano.
Fece riferimento al principio di
giurisdizione universale – in altri termini, per la gravità del crimine, la
corte ha il diritto di giudicare a prescindere dal luogo in cui sia avvenuto il
crimine. Sostenne inoltre che Hajuj non avrebbe avuto possibilità di un equo
processo se avesse fatto causa in Libia. La sua opinione venne accettata. Nel
marzo 2012 la corte gli riconobbe 1 milione di euro di risarcimento.
Nel caso di Ziada, la Zegveld intende
dimostrare al giudice olandese che i palestinesi non hanno possibilità di un
equo processo in Israele e che in quel Paese non si procede realmente ad
indagini sulle denunce di crimini di guerra.
Zegveld, dello studio legale sui diritti
umani Prakken d’Oliveira di Amsterdam, è specializzata in responsabilità per
violazioni di diritti umani e rappresenta le vittime di guerra. L’obbiettivo
non è il risarcimento economico, ma molto di più, afferma. Il caso
dell’Indonesia lo conferma: nel 2008 Zegveld ha chiesto risarcimento al governo
olandese un risarcimento per diverse vedove e bambini di circa 400 indonesiani
uccisi dall’esercito olandese il 9 dicembre 1947 nel villaggio di Rawagede,
sull’isola di Giava. All’epoca, le uccisioni erano considerate una legittima
attività di repressione contro gli oppositori del governo coloniale olandese,
la loro guerriglia e le attività terroristiche.
Anzitutto Zegveld riuscì a superare i
termini di prescrizione. Lei ed i suoi colleghi allora scoprirono che quanto
accaduto a Rawagede non era un incidente isolato. Infatti nel 1968 un’indagine
promossa dal governo rivelò alcuni massacri di civili indonesiani commessi
dall’esercito olandese, presentati come casi sporadici.
Così, per decenni l’Olanda ha mantenuto
la sua limpida immagine. L’azione legale per conto delle vittime 60 anni dopo
il crimine ha contribuito ad aprire crepe nell’amnesia della pubblica opinione.
Ha anche incoraggiato la tendenza a condurre studi accademici su quegli anni,
in cui l’Olanda ha rifiutato con spietata ostinazione di dire addio alla sua
redditizia colonia. Nella sua tesi di dottorato, lo storico Rémy Limpach è
giunto alla conclusione che vi fu violenza strutturale e sistematica.
Ciò ha spianato la strada perché
l’Olanda risarcisse le vittime e si scusasse per i suoi crimini a Rawagede. A
fine 2016 il governo olandese ha annunciato il finanziamento di uno studio
sulla condotta dell’esercito in quegli anni.
Ma ci sono anche le sconfitte: a
gennaio, un tribunale svizzero ha respinto l’istanza di Zegveld per conto di
due sindacati – uno in Bangladesh e l’altro in Olanda – contro la FIFA per aver
scelto il Qatar come Paese ospite della Coppa del Mondo del 2022. Lei ha sostenuto
che, poiché l’organo internazionale di governo del calcio non ha richiesto una
riforma delle leggi sul lavoro del Qatar, si rendeva responsabile del danno
sistematico ai lavoratori dell’edilizia.
La corte sentenziò che il riferimento a
cambiamenti nella legislazione del lavoro era vago e senza effetti giuridici.
Ma Zegveld non si arrende: “Limiteremo il caso all’assegnazione della Coppa del
Mondo al Qatar e tralasceremo il dovere della FIFA da quel momento in poi di
monitorare da quel momento in poi la situazione dei diritti umani in Qatar”, ha
detto. “Agli occhi del tribunale svizzero, la FIFA non è nella posizione di
controllare la situazione in Qatar (il che purtroppo è lontano dalla realtà, ma
la corte non era chiaramente disponibile ad approfondire i fatti.) Perciò la
nostra argomentazione sarà: poiché la situazione dei diritti umani in Qatar è
pessima, cosa nota alla FIFA, esso fin dall’inizio non avrebbe dovuto essere
ammesso.”
Basandosi sugli stessi principi, con la
stessa determinazione e ostinazione Zegveld sta programmando di gestire la
causa della famiglia Ziada. Il 20 luglio 2014 una bomba colpì la loro casa a
Bureij uccidendo sette persone: la madre settantenne di Ismail Ziada, Muftiah,
i suoi figli Jamil, Yousef e Omar, la moglie di Jamil, Bayan ed il loro figlio
dodicenne Shaban. Venne anche ucciso un altro uomo in visita alla casa:
Muhammed Maqadma, un membro di Iz al-Din al-Qassam, l’ala militare di Hamas. Un
altro ospite fu gravemente ferito.
Un obbiettivo legittimo?
Durante la guerra di Gaza del 2014
Israele ha adottato una politica di bombardamento delle case insieme ai loro
abitanti. In 70 casi indagati dall’associazione per i diritti umani B’Tselem,
la grande maggioranza delle 606 persone uccise non erano membri di organizzazioni
armate palestinesi. Oltre il 70% erano minori di 18 anni, maggiori di 60 o
donne.
Il 20 luglio l’aviazione israeliana
bombardò otto case abitate in diversi luoghi della Striscia. I morti in questi
bombardamenti furono 76. Lo stesso giorno l’esercito israeliano uccise in
totale 214 persone in tutta Gaza. Secondo le indagini di B’Tselem, 73 di loro
appartenevano a formazioni armate (coloro che partecipavano al conflitto,
secondo la definizione di B’Tselem) e 140 no. La posizione di un uomo risultava
non chiara. 27 vittime erano bambini sotto i 5 anni, 35 avevano dai 6 ai 17
anni, 29 erano donne e 12, compresa Muftiah Ziada, avevano oltre 60 anni.
Se Zegveld supererà l’ostacolo della
competenza giurisdizionale, la corte affronterà il punto sostanziale: la casa
degli Ziada era un obbiettivo legittimo? Se Gantz e Eshel decideranno di non
rispondere, il processo avrà luogo in loro assenza ed i fatti esposti dalla
denuncia verranno accettati così: danno a persone innocenti, sproporzionato, in
contraddizione col diritto umanitario internazionale, un crimine di guerra. Se
i due decideranno di difendersi in qualche modo, il dibattimento inizierà dai
fatti.
Alcune settimane dopo l’uccisione della
famiglia, Iz al-Din al-Qassam ha diffuso le ultime volontà, registrate
precedentemente, del fratello di Ismail, Omar. A Gaza dicono che questa era la
procedura che i membri dell’organizzazione seguivano quando ritenevano che la
guerra stesse per scoppiare. “Sono il martire vivente”, afferma davanti alla
telecamera, dicendo addio alla sua famiglia, a sua moglie e ai suoi figli ed
agli amici di Iz al-Din al-Qassam, incoraggiandoli a continuare nella preghiera
e nella resistenza.
Per circa sette minuti legge le proprie
volontà con volto inespressivo e occhi asciutti. Versa lacrime solo quando cita
i nomi degli amici che presto incontrerà in paradiso. Il suo corpo, in
pantaloni corti, è stato trovato sotto le macerie della casa. La notizia sul
sito web della Procura militare relativa alla decisione dell’Avvocatura
Generale militare di chiudere l’inchiesta sull’uccisione della famiglia Ziada
affermava che nella casa si trovava un comando operativo ed un centro di
controllo e che tra i morti, oltre a Maqadma, vi erano tre “miliziani armati
delle organizzazioni terroristiche Hamas e Jihad Islamica” membri della
famiglia Ziada.
“Si uccide un’intera famiglia e poi si
mette su internet qualcosa di simile a molte altre dichiarazioni”, ha detto
Zegveld. “E’ come un comunicato stampa. Qual è il merito della questione? Quali
le prove? E la trasparenza? Una telefonata da una casa privata, anche se si
tratta di un membro di Hamas, non trasforma la casa in un centro di comando e
di controllo. La legge dice: in caso di dubbio, chiunque è un civile.
Se ci sono prove che vi fossero membri
militari attivi di Hamas, allora si entra nella vera questione del diritto
umanitario, che implica proporzionalità e distinzione e misure precauzionali.
E’ tempo che un tribunale discuta di questo.”
E’ ottimista sulle chance della
denuncia?
“Il non funzionamento del diritto
internazionale è dimostrato in modo esemplare in Israele e Palestina”, dice
Zegveld. “Israele ha un sistema discriminatorio molto subdolo, che dall’esterno
sembra un sistema funzionante. C’è una quantità di norme e tu pensi che DEVE
essere un ottimo sistema, ma è finalizzato a confondere e ingannare. Tanto per
dire che per la corte sarà un grosso problema. Io non vedo l’ora di porre quella
questione. Anche se perdiamo, occorre chiarirla.”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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