mercoledì 19 luglio 2017

due interviste a James Petras


Il giornalista uruguaiano Efraìn Chury a Radio Centenario intervista il sociologo statunitense James Petras, professore all’Università di Binghamton (NY) esperto analista di questioni politiche riguardanti l’America Latina e il Medio Oriente.

Domanda:  Lei sa che le notizie che diffondiamo in America Latina sono sorprendenti poiché si parla di manipolazione delle elezioni nord americane attraverso l’ingerenza della Russia.  Come si vive tutto ciò negli Stati Uniti? Qual è l’opinione di Trump? Cosa dicono i democratici? Che dice Hilary Clinton?

PetrasBene, potremmo iniziare con il sottolineare la gravità di ciò che sta accadendo. Non è altro che  un golpe. Un golpe istituzionale che cerca di negare l’elezione di Donald Trump. Sono istituzioni come la CIA che stanno orchestrando la cosa per delegittimare il nuovo governo e considerarlo traditore del paese.  Ossia, si fa intendere che Trump sia un traditore, un complice della Russia che con i suoi servizi segreti penetra nello Stato influenzando le nomine dei collaboratori di Trump. Con questo golpe il Congresso e tutti i partiti di destra, di centro e di sinistra si stanno mobilitando per negare il risultato delle elezioni.
In altre parole, Trump sarebbe complice della Russia e tutti i suoi collaboratori complici di questa farsa. Niente di tutto ciò è stato provato, sono informazioni inventate dalla CIA che entra nella politica interna per negare le decisioni costituzionali.
E’ il modello che hanno utilizzato in Brasile, Paraguay e Honduras. Paesi in cui settori attuali di governo hanno delegittimato i loro presidenti eletti democraticamente per prendere il potere. Il caso attuale negli Stati Uniti è ancora peggio, poiché si accusa il presidente eletto di essere un traditore, di aver legami con una potenza straniera tradizionale nemico degli USA. Barack Obama, un presidente che ha manifestato apertamente ingerenza in tutto il mondo, intervenendo in tutti i golpe, ora interviene nel suo proprio paese riproponendone lo stesso scenario. E per la prima volta nella storia assistiamo alla versione del golpismo latino americano all’interno degli stessi USA.
La stampa borghese, quella liberale e di centro sinistra sono complici e non fanno altro che ripetere le accuse di tradimento e cospirazione russa senza avere alcuna prova e senza contraddittorio. 
Trump intanto risponde con la nomina di  militari e multimiliardari per contrastare le istituzioni che Obama gli ha messo contro. Esiste una disputa di potere molto interessante all’interno delle istituzioni nord americane, una lotta tra élite.
Avendo affidato ai militari, importanti incarichi sulla sicurezza, Trump sta creando un potere militare enorme in modo da resistere al golpe organizzato dalla CIA. Insieme ai multimiliardari sta giustificando le sue relazioni con la Russia. Infatti il nuovo cancelliere è l’ex direttore della Exxon, l’impresa petrolifera più importante al mondo, molto legata alla Russia da scambi commerciali.
Di recente, Trump ha realizzato una serie di viaggi in visita a diverse città, riempiendo stadi interi per reagire appunto ai settori della sinistra e di centro-sinistra che fanno, stavolta, la parte delle comparse dei golpisti.
Viviamo una situazione da guerra civile clandestina, perché sta accadendo in gran parte all’interno delle istituzioni. Una guerra dell’FBI contro la CIA, i militari contro i congressisti, i multimiliardari  contro loro stessi, un settore contro l’altro. E di questo non ne parla alcun mezzo di comunicazione, né i critici né coloro che appoggiano l’attuale processo politico.
Pensiamo che la realtà sia questa, proprio perché siamo abituati a vedere ciò che accade ed è accaduto in America Latina negli ultimi anni. E’ evidente che si sta verificando una replica simile in nord America. Lo capiamo meglio proprio dopo averlo osservato negli ultimi golpe accaduti in America Latina.



Domanda:  Un’altra questione importante da discutere è quella dell’Unione Europea, dei suoi movimenti politici e delle mutazioni di alcuni governi come ad esempio in Italia.  Qual’ è il tuo punto di vista?


Petras:  É un miscuglio di forze. Da un lato abbiamo il Movimento Cinque Stelle (di Beppe Grillo), che è un partito eterogeneo, più o meno di centro-sinistra, di opposizione al governo di Matteo Renzi, poiché gli ex-comunisti si sono “destrizzati”, anzi diciamo pure che si son trasformati in un partito di centro-destra.  Oltre a loro, c’è Forza Italia o il gruppo di Berlusconi, e la Lega Nord , che sono schieramenti molto di destra. Al momento esiste un’alleanza di centro-sinistra e di destra contro il governo di centro-destra di Matteo Renzi.
Tra gli oppositori di Renzi ci sono molte imprese locali, settori che temono che, la centralizzazione del potere, potrebbe emarginare le piccole e medie aziende e i professionisti non vincolati all’apparato dello Stato . L’esito del referendum  del 4 dicembre scorso sulla riforma costituzionale ha portato alla caduta del governo e alle dimissioni del primo ministro Matteo Renzi.
Esistono inoltre forze all’opposizione che sono contro l’Unione Europea e l’oligarchia di Bruxelles così come anche altri gruppi che continuano ad appoggiare l’Unione Europea.



Domanda: parliamo ora di Siria e Turchia. Perché questo impegno da parte dell’Unione europea, degli USA, della Turchia e di altri paesi di buttare giù  Bashar al-Assad? Come vedi la situazione in Siria in questo momento?

Petras: Ci sono diversi interessi, per esempio, la Turchia desidera conquistare parte della Siria, il nord del paese e anche dell’Iraq, la sua politica imperialista è finalizzata al recupero dell’immagine “ottomama” del passato. Gli Stati Uniti, cosi come in Libia e in Irak, tentano di buttar giù i governi senza avere la minima idea di chi potrebbe sostituirli.
Inoltre, anche Israele desidera una Siria divisa, frammentata e fragile e sta pure guadagnando consensi. L’ Arabia Saudita  è contro Bashar al-Assad, per il fatto di essere un governo secolare ma democratico e popolare, e ne appoggia la sua caduta proprio a causa delle loro differenze.
Quindi sono tanti gli interessi cha hanno scatenato la reazione di Israele, Turchia e Arabia Saudita, capeggiati diretti e finanziati sia dall’ Arábia Saudita stessa che dagli USA, i quali hanno già inviato più di 1000 soldati delle forze speciali per appoggiare  terroristi e  mercenari  erroneamente chiamati ribelli. E’ una propaganda che la destra utilizza per camuffare i terroristi invasori e mercenari. 
Il problema è che la stampa di centro-sinistra, come Página/12 (in Argentina) o come  La Jornada (in Messico), utilizzano la stessa retorica statunitense e citano reportage prodotti a Washington.  Dobbiamo riconoscere la grande vittoria di Bashar al-Assad e dei suoi alleati iraniani e libanesi sostenuti dalla Russia nella riconquista della città di Aleppo.
Mentre le forze filo-siriane avanzano e riescono a liberare Aleppo, Washington facilita la fuga dei terroristi dall’Irak per lanciare un’offensiva contro Palmira nel sud-est della Siria. Non è un caso che il Daesh ( la versione irachena dello Stato Islamico) riesca a radunare più di 4000 uomini per invadere e recuperare gran parte di Palmira dove attualmente è in corso una guerra feroce. Da dove sono venuti? Come son riusciti a trasportare cosi tante armi pesanti e così velocemente.  Come son riusciti ad entrare con le armi nel paese? Evidentemente, una parte consistente di terroristi è arrivata dall’ Irak e da altri luoghi grazie all’ appoggio delle forze speciali degli Stati Uniti.



Domanda: Per concludere la nostra intervista … immagino che tu stia lavorando su altre questioni. Ce ne vuoi parlare?
Petras: Si, certo. Abbiamo parlato già di Stati Uniti e Medio Oriente, per finire dobbiamo discutere dell’esperienza argentina. I mezzi di comunicazione negli Stati Uniti, in Europa e a volte di una parte importante di quelli dell’America Latina, pensavano che col governo Macri ci sarebbe stato un incredibile miglioramento delle condizioni economiche del paese tale da portare sviluppo e ricchezza nel paese con un forte consenso popolare.
Solo che queste supposizioni non si stanno concretizzando. Al momento ci sono più di 400.000 nuovi disoccupati , il numero dei nuovi poveri è cresciuto di 4.000.000 (su una popolazione di 30 milioni di abitanti) .  E per di più, dal punto di vista economico potremmo dire che l’indebitamento e la diminuzione delle imposte in Argentina non hanno attratto il capitale come ci si aspettava. Anzi, nell’ultimo periodo abbiamo assistito alla fuga dei capitali all’estero: circa 12 miliardi di pesos sono finiti a Londra, Washington e altri in Uruguay.
Le esportazioni sono diminuite del 6%, il PIL ha anche subito la caduta del 4,7%, il debito è cresciuto di 87 miliardi di pesos. Mentre il debito aumenta, l’economia cade a picco e naturalmente a nessun capitalista vorrebbe in mente di investire in Argentina, specialmente con un’ inflazione del 4% al mese, con un debito fiscale del 9% perché nessun capitalista penserebbe mai di impegnarsi con l’ Argentina nei prossimi anni.
In termini socio-economici, Macri è un disastro totale. Al contrario di qualche altro governo che conosciamo, non c’è giustificazione al suo comportamento.  Ma i media ufficiali tentano ancora di inventare qualcosa di positivo. Gli speculatori di New York ( i fondi speculativi) hanno incassato i suoi soldi, hanno riempito le loro tasche e son scappati via. Il discorso di Macri, contrariamente a quello di Cristina Kirchner, era di far pagare all’ Argentina i fondi “avvoltoio” perché cosi ci sarebbero stati nuovi investimenti nel paese, ma questo non è successo.
E ora cosa ci dobbiamo aspettare? Che ampi settori della società si oppongano a Macri. Non c’è alcuna possibilità di mantenere o guadagnare forze politiche in parlamento. Ci aspettiamo che il governo venga destabilizzato dai suoi propri errori o che venga costretto a lasciare il potere a causa delle rivolte popolari come è successo a Fernando de la Rua. L’ instabilità sta crescendo. Macri si mantiene al potere perché i burocrati corrotti del CGT (una delle centrali sindacali argentina) continuano a cercare un’uscita negoziata che è impossibile. Se non fosse per i burocrati sindacalisti, questo governo, paralizzato al suo interno, potrebbe cadere.
Ciò che mantiene Macri al potere non è la sua politica né le sue misure economiche e neanche i militari che lo sostengono.  Ciò che lo salva è il fatto che il movimento popolare sta cercando una via d’uscita politica ma manca al sindacato  la giusta strategia per uscire dalla crisi politica.


Testo originale: qui
(Traduzione : J.M. de Oliveira )


James Petras: «Il futuro a rischio del Latino America ribelle»

Intervista di Geraldina Colotti

«Le forze conservatrici agiscono ora su tre fronti: quello del golpismo in Venezuela, quello dell’impeachment in Brasile e quello istituzionale in Argentina» dice a Il Manifesto James Petras.
Analista politico e saggista statunitense, Petras ha scritto molti libri sul ruolo degli Usa nel sud del mondo e in particolare in America latina. Recentemente, l’editore Zambon ha pubblicato «Repubbliche sorelle. Venezuela e Colombia di fronte all’imperialismo contemporaneo»: 12 saggi introdotti da Lucio Bilangione e con un documento storico delle Farc sul processo di pace in corso all’Avana.
L’Argentina va a destra, il Brasile è in bilico, il Venezuela non ha il vento in poppa. E gli Stati uniti hanno firmato l’Accordo transpacifico. È finito il ciclo progressista in America latina?
James Petras, foto Reuters
Nei primi anni del nuovo millennio sono sorti grandi movimenti popolari. In Argentina hanno fatto cadere tre governi, il movimento piqueteros allora, bloccava le strade, nelle grandi città c’era un doppio potere basato sui consigli di quartiere, di fabbrica. In quella situazione la sinistra poteva rovesciare un governo ma non aveva abbastanza forza per dirigere il percorso. Nestor Kirchner (e poi Cristina) e Lula in Brasile hanno rappresentato il centrosinistra nella misura in cui hanno accettato di portare avanti alcuni programmi sociali contro la povertà, la disoccupazione, i bassi salari. Con un piano di investimenti pubblici sono riusciti a recuperare l’economia, hanno salvato il capitalismo dalla bancarotta. Allo stesso tempo, però, hanno debilitato i movimenti popolari, cooptandone molti dirigenti. Il nuovo ciclo di crescita ha consentito una relativa redistribuzione delle entrate provenienti dal commercio estero della soia, del ferro o del petrolio che avevano prezzi alti nel mercato. Questo ciclo termina con la fine della prima decade. Dal 2011-2012, le forze conservatrici riprendono forza: la caduta dei prezzi, la pressione del settore finanziario per ridurre la spesa sociale, il deficit, spingono i governi progressisti a fare concessioni all’Fmi, ad accettare misure di austerity. Soprattutto in Brasile, questo produce tre poli di conflitto: una destra insurrezionale, classi popolari disincantate e un centrosinistra debilitato, incapace di difendere le conquiste prodotte negli ultimi anni. In questo contesto, Washington ne approfitta per sospingere le destre di opposizione: sostiene Macri in Argentina, Aecio Neves in Brasile e cerca di destabilizzare il governo ecuadoriano o boliviano. Washington oggi agisce su tre fronti: quello del golpismo, in Venezuela, quello dell’impeachment in Brasile e quello della via elettorale in Argentina. Un pericolo che va al di là di un cambio di governo perché mira a far ritornare il continente alle politiche neoliberiste degli anni ’90, alle privatizzazioni subordinate agli Usa e allo smantellamento dell’integrazione latinoamericana. La sfida che abbiamo di fronte non è da poco: tornare indietro o mantenere le principali conquiste degli ultimi anni anche nelle diverse condizioni.
Tuttavia, dal Brasile all’Ecuador, dall’Argentina alla Bolivia, e in parte anche in Venezuela, alcune frange di sinistra considerano tempo perso la difesa di governi progressisti che non hanno mantenuto le promesse.
Penso anch’io che Correa e Morales non abbiano mantenuto molte promesse. L’estrattivismo continua a essere asse centrale delle loro politiche, hanno firmato accordi con il gran capitale. In una recente riunione del Financial Times, a New York, Morales ha invitato oltre un centinaio di grandi imprenditori a investire nel suo paese, per sfruttare le risorse minerarie. Non bisogna esagerare la portata di sinistra che hanno questi governi, ma non bisogna neanche tacere che hanno portato benefici sociali e una politica estera critica dell’imperialismo: la battaglia contro il debito estero in Ecuador, il riscatto degli indigeni in Bolivia. E per questo non sono d’accordo con quelli che preferiscono marciare con l’oligarchia anziché contestarla. Non capiscono che le destre possono appropriarsi delle critiche per andare al potere e spingere ancora più a fondo l’offensiva conservatrice. Per il Venezuela, invece, le cose sono più chiare. Non a caso, è da tempo il principale obiettivo degli Stati uniti.
…E il 6 dicembre ci saranno le elezioni parlamentari. Che scenario si prospetta in Venezuela?
Gli Stati uniti hanno investito milioni di dollari nella campagna delle destre e dei loro gruppi extraparlamentari, in Venezuela. La considerano una ghiotta opportunità per creare una paralisi nel governo e, con una eventuale maggioranza parlamentare, esigere subito un referendum per cacciare Maduro. In ogni caso, la destra ha preannunciato che non riconoscerà il risultato, griderà alla frode e mobiliterà la sua forza di shock per le strade. È uno scenario che abbiamo già visto, e con la situazione di tensione alla frontiera con la Colombia non possiamo escludere nessuna possibilità. Non dimentichiamo che, durante la recente chiusura della frontiera, la Colombia ha rifiutato di riconoscere i problemi creati dai contrabbandieri e dai paramilitari che agiscono al confine col Venezuela. Gli Usa pensano al processo di pace in Colombia come un’occasione per prendere due piccioni con una fava: eliminare la guerriglia e liberare truppe colombiane per destabilizzare il Venezuela e riprendere il controllo su tutta l’America latina e i Caraibi.
Non crede che la soluzione politica in Colombia possa andare in porto? Pensa che anche questa volta la guerriglia finirà intrappolata in un bagno di sangue?
Le trappole sono tante e così pure i punti da chiarire. Innanzitutto perché le parti non hanno trovato accordo su un punto fondamentale: le forze militari governative. La proposta di Manuel Santos mira semplicemente a ottenere il disarmo unilaterale delle Farc. Ma cosa dice degli oltre 500 mila militari armati che incombono sui movimenti sociali? E dei paramilitari che non sono mai stati davvero smobilitati? Cosa garantisce che, una volta riconsegnate le armi, i guerriglieri non finiscano nuovamente massacrati come in passato? Non si può guardare alla pace solo in termini di disarmo unilaterale. Un secondo problema è costituito dalle basi militari Usa. La loro nutrita presenza sul territorio non è stata oggetto di negoziato. E finché la «consulenza» del Mossad e della Cia continuerà a pesare sui ministeri degli Interni e della Difesa colombiani, parlare di pace sarà perlomeno azzardato. Negli Stati uniti vi sono forze che spingono per concludere un accordo di pace con le Farc per disarmarle e per liberare effettivi militari da impiegare nelle missioni regionali.

Il post-conflitto è però anche un buon affare: lo hanno ribadito sia Santos che i suoi protettori nordamericani
Negli Stati uniti la tendenza alla guerra, all’aggressività in politica estera, all’uso indiscriminato della forza oggi è molto potente: nei confronti della Russia, dell’Iran, anche della Cina. L’abbraccio tra Obama e Netanyahu ogni settimana stritola le vite dei palestinesi. A Cuba, spingono perché si affermi uno sviluppo capitalista. Con l’Iran premono per un disarmo unilaterale senza sospendere davvero le sanzioni. E se si rafforza l’influenza interna degli ufficiali Usa legati a Israele, gli accordi potrebbero essere sabotati. Una tendenza aizzata da una destra interna che vuole espellere 11 milioni di migranti, pensa che la teoria dell’evoluzione non abbia basi scientifiche, che il riscaldamento globale non sia una realtà: una destra arcaica, ma che rappresenta il 30 o 40% dell’elettorato, e su cui Wall Street ha potere ma non sufficiente controllo. Se Obama ha dato prova di militarismo, ma ha comunque proposto un piano per l’immigrazione, per la salute dei più poveri, i Repubblicani e ancor più la loro estrema destra possono andar fuori controllo: al punto da distruggere i mercati, da confliggere con gli interessi economici di quei settori del capitale multinazionale che avrebbero, per esempio, continuato a fare affari con Gheddafi e non hanno gradito di vedersi complicare le cose in questo modo. Dalla Silicon Valley arrivano inviti ad abbassare la tensione con la Cina, ma intanto la Cina è fuori dal Tpp e ne è il bersaglio.
Dall’Europa, al Centroamerica e agli Stati uniti, gli indignados protestano contro la corruzione e contro un sistema politico escludente. Può nascere da lì un’alternativa?
La corruzione dei sistemi politici dilaga, in America latina come in Europa. Negli Stati uniti è istituzionalizzata attraverso le lobby che vanno al Congresso per comprarsi i deputati. L’etica è un fattore importante, ma per farne cosa, per moralizzare il capitalismo? Perché il capitalista persegua i propri scopi senza dover comprare i congressisti? Senza porsi la domanda di fondo, l’indignazione rifluisce e lascia le grandi masse senza prospettiva. Da noi, il movimento Occupy ha avuto grande impatto mediatico, molti fuochi pirotecnici, un bel po’ di repressione, ma senza un’agenda politica organizzativa, è già preistoria.

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