Hiba al-Ashi
deve tenere le finestre del suo appartamento chiuse. È l’unico modo per evitare
i disgustosi odori dal mare inquinato. “La vita è diventata insopportabile”,
dice questa madre 36enne dalla sua casa di Gaza City che guarda il
Mediterraneo.
Ogni giorno 100mila
metri cubi di liquami sono scaricati nel mare intorno Gaza. I problemi
ambientali della Striscia sono peggiorati negli ultimi anni. Da
quando l’unico impianto elettrico è stato bombardato da Israele nel 2006 Gaza
soffre di carenza cronica di elettricità. Israele ha imposto un duro e continuo
blocco economico sul territorio un anno dopo, limitando l’importazione di
carburante e ostacolando la riparazione delle infrastrutture elettriche
distrutte e danneggiate dalle successive offensive militari.
L’impianto
elettrico ha smesso di funzionare del tutto ad aprile di quest’anno e Israele
ha ulteriormente ridotto la fornitura di elettricità a Gaza questa settimana
(il 19 giugno, ndr), una violazione del diritto
internazionale umanitario secondo i gruppi per i diritti umani. Al momento
l’elettricità è disponibile per meno di tre ore al giorno.
Andare in spiaggia
era una delle poche possibilità di divertimento e relax per i palestinesi che
vivono sotto assedio a Gaza. L’inquinamento ha ridotto tale possibilità: circa
il 50% delle spiagge di Gaza non sono adatte alla balneazione,
secondo la locale Autorità per la qualità dell’ambiente. Alcune spiagge sono
state chiuse al pubblico.
“Il tasso
di inquinamento del mare e delle spiagge, quest’anno, è senza precedenti – dice
Ahmad Helles, rappresentante dell’Autorità – Questo indica un vero e proprio
disastro ambientale”. Secondo Helles, sia la sabbia che l’acqua
sono contaminate. La sabbia, dice, “porta con sé moltissimi microbi che possono
essere dannosi e che causano malattie alle persone”.
Maher
Salem, amministratore dei servizi idrici di Gaza, spiega che le infrastrutture
di scarico “non funzioneranno più molto presto”: “Siamo costretti a
pompare tutti i liquami in mare senza trattamento. Questo impedisce alla gente
di nuotare e in molti casi anche di andare in spiaggia”.
Avere una vista sul mare o viverci vicino è
considerato amabile in tutto il mondo. A Gaza, invece, molte persone sognano di
lasciare le proprie abitazioni lungo la costa.
Taysir Abu
Saada ha vissuto nel campo profughi Beach camp, parte di Gaza City, per 18
anni. Ora tenta di risparmiare dei soldi per poter affittare un appartamento da
un’altra parte. Vuole “portare la famiglia via da questa atmosfera insalubre”, dice. “Mi
sembra di vivere in una fossa biologica, non in una vera casa”,
commenta sua figlia Shaima, di 19 anni.
Wisam Lubad, studentessa di 22 anni, era solita
camminare sulla spiaggia. Adesso deve tapparsi il naso quando si avventura sul
lungo mare: “Niente è buono a Gaza. Neppure il mare, la nostra sola via di
fuga”.
Recentemente una famiglia aveva deciso di
preparare un barbecue per pranzo sulla spiaggia di Gaza City. Ha avuto
un’esperienza così brutta da interrompere il pranzo quasi subito: “Viviamo in
una grande tragedia in questo paese – dice Samar, un membro della famiglia – Un
disastro dopo l’altro”.
Le spiagge a Rafah,
un’area a sud di Gaza, vicino al confine con l’Egitto, sono state chiuse su
ordine delle autorità locali. La chiusura si è resa necessaria “per proteggere
i cittadini da malattie dannose che potrebbero essere
causate dall’inquinamento”, dice Sobhi Abu Ridwan, sindaco del comune di Rafah.
Masoud
Matar è tra coloro a Gaza che ha giurato di continuare ad andare in spiaggia,
nonostante gli avvertimenti delle autorità: “Tutti a Gaza
considerano il mare un amico. La maggior parte dei gazawi sono poveri. Non
possono permettersi una vacanza in un resort o una giornata in piscina. Il
mare è la sola speranza di avere un po’ di divertimento quando è caldo”.
La chiusura delle
spiagge causa anche perdite economiche. Molti a Gaza
lavorano come venditori ambulanti durante l’estate. Muhammad Abu Assi si è
diplomato da poco e sperava di guadagnare qualche soldo vendendo mais sulla
spiaggia: “Aspettavo l’estate per cominciare la mia vita di venditore. Ora pare
che non accadrà”.
Anche i
pescatori sono molto preoccupati dalle conseguenze dell’inquinamento. Uno di
loro, Mahmoud al-Ghandour, spiega che la maggior parte del pesce per i mercati di Gaza potrebbe non essere
buono da mangiare: “Pescare è stata la mia vita per 30 anni.
Non ho mai visto tanto inquinamento come negli ultimi cinque anni”.
Sarah Algherbawi è una scrittrice freelance e una traduttrice di
Gaza
Traduzione a cura
della redazione di Nena News
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