lunedì 10 luglio 2017

Gaza. Vivere in una fossa biologica - Sarah Algherbawi (The Electronic Intifada)

Hiba al-Ashi deve tenere le finestre del suo appartamento chiuse. È l’unico modo per evitare i disgustosi odori dal mare inquinato. “La vita è diventata insopportabile”, dice questa madre 36enne dalla sua casa di Gaza City che guarda il Mediterraneo.
Ogni giorno 100mila metri cubi di liquami sono scaricati nel mare intorno Gaza. I problemi ambientali della Striscia sono peggiorati negli ultimi anni. Da quando l’unico impianto elettrico è stato bombardato da Israele nel 2006 Gaza soffre di carenza cronica di elettricità. Israele ha imposto un duro e continuo blocco economico sul territorio un anno dopo, limitando l’importazione di carburante e ostacolando la riparazione delle infrastrutture elettriche distrutte e danneggiate dalle successive offensive militari.
L’impianto elettrico ha smesso di funzionare del tutto ad aprile di quest’anno e Israele ha ulteriormente ridotto la fornitura di elettricità a Gaza questa settimana (il 19 giugno, ndr), una violazione del diritto internazionale umanitario secondo i gruppi per i diritti umani. Al momento l’elettricità è disponibile per meno di tre ore al giorno.
Andare in spiaggia era una delle poche possibilità di divertimento e relax per i palestinesi che vivono sotto assedio a Gaza. L’inquinamento ha ridotto tale possibilità: circa il 50% delle spiagge di Gaza non sono adatte alla balneazione, secondo la locale Autorità per la qualità dell’ambiente. Alcune spiagge sono state chiuse al pubblico.
“Il tasso di inquinamento del mare e delle spiagge, quest’anno, è senza precedenti – dice Ahmad Helles, rappresentante dell’Autorità – Questo indica un vero e proprio disastro ambientale”. Secondo Helles, sia la sabbia che l’acqua sono contaminate. La sabbia, dice, “porta con sé moltissimi microbi che possono essere dannosi e che causano malattie alle persone”.
Maher Salem, amministratore dei servizi idrici di Gaza, spiega che le infrastrutture di scarico “non funzioneranno più molto presto”: “Siamo costretti a pompare tutti i liquami in mare senza trattamento. Questo impedisce alla gente di nuotare e in molti casi anche di andare in spiaggia”.
Avere una vista sul mare o viverci vicino è considerato amabile in tutto il mondo. A Gaza, invece, molte persone sognano di lasciare le proprie abitazioni lungo la costa.
Taysir Abu Saada ha vissuto nel campo profughi Beach camp, parte di Gaza City, per 18 anni. Ora tenta di risparmiare dei soldi per poter affittare un appartamento da un’altra parte. Vuole “portare la famiglia via da questa atmosfera insalubre”, dice. “Mi sembra di vivere in una fossa biologica, non in una vera casa”, commenta sua figlia Shaima, di 19 anni.
Wisam Lubad, studentessa di 22 anni, era solita camminare sulla spiaggia. Adesso deve tapparsi il naso quando si avventura sul lungo mare: “Niente è buono a Gaza. Neppure il mare, la nostra sola via di fuga”.
Recentemente una famiglia aveva deciso di preparare un barbecue per pranzo sulla spiaggia di Gaza City. Ha avuto un’esperienza così brutta da interrompere il pranzo quasi subito: “Viviamo in una grande tragedia in questo paese – dice Samar, un membro della famiglia – Un disastro dopo l’altro”.
Le spiagge a Rafah, un’area a sud di Gaza, vicino al confine con l’Egitto, sono state chiuse su ordine delle autorità locali. La chiusura si è resa necessaria “per proteggere i cittadini da malattie dannose che potrebbero essere causate dall’inquinamento”, dice Sobhi Abu Ridwan, sindaco del comune di Rafah.
Masoud Matar è tra coloro a Gaza che ha giurato di continuare ad andare in spiaggia, nonostante gli avvertimenti delle autorità: “Tutti a Gaza considerano il mare un amico. La maggior parte dei gazawi sono poveri. Non possono permettersi una vacanza in un resort o una giornata in piscina. Il mare è la sola speranza di avere un po’ di divertimento quando è caldo”.
La chiusura delle spiagge causa anche perdite economiche. Molti a Gaza lavorano come venditori ambulanti durante l’estate. Muhammad Abu Assi si è diplomato da poco e sperava di guadagnare qualche soldo vendendo mais sulla spiaggia: “Aspettavo l’estate per cominciare la mia vita di venditore. Ora pare che non accadrà”.
Anche i pescatori sono molto preoccupati dalle conseguenze dell’inquinamento. Uno di loro, Mahmoud al-Ghandour, spiega che la maggior parte del pesce per i mercati di Gaza potrebbe non essere buono da mangiare: “Pescare è stata la mia vita per 30 anni. Non ho mai visto tanto inquinamento come negli ultimi cinque anni”.
Sarah Algherbawi è una scrittrice freelance e una traduttrice di Gaza
Traduzione a cura della redazione di Nena News

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