lunedì 9 dicembre 2019

Andare oltre la Brexit e combattere il neoliberismo – intervista a Tariq Ali



(di Suzi Weissman)

L’«estremo centro» che ha governato negli ultimi trent'anni è in crisi ma è attaccato soprattutto da destra. In questa campagna elettorale però il Labour di Corbyn sta mostrando che può esistere un'alternativa di sinistra. Intervista a Tariq Ali
Le elezioni politiche in Gran Bretagna sono state convocate il 6 novembre e i britannici voteranno il 12 dicembre. Il vantaggio di un calendario così intenso, se non altro, è che i cittadini non dovranno aspettare le interminabili durate delle campagne elettorali americane. Mentre conservatori, Brexit party e liberaldemocratici stanno puntando tutto sulla Brexit, il partito laburista di Jeremy Corbyn ha scelto di mettere al centro la lotta alla cappa di austerità che attanaglia il paese da decenni.
Boris Johnson ha inaugurato la sua campagna sulle colonne del giornale conservatore Daily Telegraph paragonando Corbyn a Stalin: «La tragedia del partito laburista di Jeremy Corbyn è che disprezzano il motore del profitto in modo viscerale. […] Questo gusto della vendetta contro alcune categorie di persone non si vedeva dai tempi dei gulag di Stalin». 
Dal canto suo, Corbyn ha iniziato parlando con passione della necessità di investire 400 miliardi di sterline per contrastare le crisi gemelle dell’emergenza climatica e dell’impoverimento sociale. Per discutere di questi giorni di campagna elettorale in Gran Bretagna e della dinamica della risposta della sinistra alla politica dell’«estremo centro», Suzi Weissman di Jacobin Radio ha intervistato Tariq Ali.
Puoi darci un’idea del programma di Corbyn? Quali sono i temi su cui si concentra, cosa intende realizzare e che tipo di elettorato vuole conquistare?
Il programma Corbyn è molto semplicemente una rottura totale con il capitalismo neoliberista e il ritorno a una socialdemocrazia, in realtà, abbastanza tradizionale. Nel mondo in cui viviamo oggi quello che propone Corbyn suona come ultraradicale, anche se solo trenta o quarant’anni fa era la norma. Il programma propone ingenti investimenti pubblici in infrastrutture e alloggi popolari e la cancellazione delle tasse universitarie. Quello che sta succedendo nelle università britanniche, infatti, è spaventoso: molti non riescono più ad andarci perché non possono permettersi le rette. Per inciso, la responsabilità di questo fenomeno non è del Partito conservatore, ma del governo di Tony Blair e del suo cancelliere Gordon Brown, entrambi laburisti di destra. Corbyn ha detto che abolirà le tasse e l’istruzione superiore tornerà a essere gratuita.Il programma laburista parla di più fondi in generale per tutto il sistema educativo. Si parla di far pagare le tasse alle scuole private, attualmente considerate come enti di beneficenza e quindi non soggette a imposte. È un programma che promette sconvolgimenti, insomma. Il Labour vuole anche aumentare i fondi del servizio sanitario nazionale, dove anche qui è stato Blair a iniziare il processo di privatizzazione, poi proseguito e allargato dai conservatori. Sull’altro fronte, Boris Johnson si vanta di aver stretto un accordo economico con Trump e gli Stati Uniti. E proprio Trump, durante la sua ultima visita nel Regno Unito, ha detto pubblicamente che la Gran Bretagna deve rimuovere ogni regolamentazione sul servizio sanitario nazionale, altrimenti niente accordo. Insomma di fatto il Labour propone con enfasi rinnovata quello che è semplicemente un ritorno allo stato sociale e al servizio sanitario pubblico di un tempo. In un suo ultimo intervento però Corbyn ha anche parlato di istituire una società farmaceutica statale per ridurre il costo dei farmaci e aiutare il servizio sanitario a eliminare i costi di prescrizione.
Quindi un’azienda statale di farmaci generici?
Sì, un’azienda di Stato per produrre medicinali a basso costo. L’obiettivo della creazione di una società farmaceutica pubblica è produrre farmaci generici e contrastare il predominio delle cosiddette Big Pharma nel settore sanitario. Attualmente alcuni farmaci sono così costosi che il servizio sanitario non può neanche permetterseli. Penso che si tratti di un’innovazione molto radicale, che i fondatori del servizio sanitario nazionale britannico, Clement Attlee e Nye Bevan, non avevano visto all’epoca. E sarà una mossa estremamente popolare.
Ora, tutto ciò è di vitale importanza, ma la cosa che davvero spaventa i governanti di questo paese è che Corbyn ha detto molto chiaramente che non premerà mai il grilletto nucleare da solo. Per questo lo stanno attaccando. Avrebbe dovuto precisare che, in realtà, nessun governo britannico può mai lanciare una bomba nucleare autonomamente, che si tratta di una decisione presa dagli Stati Uniti e che, comunque, la Gran Bretagna non ha armi nucleari indipendenti di cui parlare. I sottomarini che trasportano i missili non possono essere usati senza l’autorizzazione preventiva degli Stati Uniti: è un dato di fatto. Questa idea del ritorno all’indipendenza nucleare della Gran Bretagna è una gran bufala: non cambierà niente, anzi in caso di Brexit la situazione probabilmente peggiorerà.
Nel tuo libro del 2015 intitolato The Extreme Centre hai dato una descrizione delle forze neoliberali in quel momento egemoni. Adesso, quel centro apparentemente stabile e forte è sotto attacco quasi ovunque nel mondo. Joseph Stiglitz, economista premio Nobel, ha recentemente scritto in un articolo che il mantra del neoliberismo per cui la privatizzazione produce una qualità della vita più elevata si è dimostrato falso. Prova ne è il fatto che in quarant’anni il neoliberismo non ha realizzato niente di quello che aveva promesso. L’unica cosa che ha creato è una redistribuzione verso l’alto della ricchezza e la crescita della disuguaglianza. Ora, chi finora ha tratto vantaggio politico da questa situazione è la destra autoritaria populista. Tuttavia di recente è nata una sinistra popolare, quella di Bernie Sanders negli Stati Uniti e di Jeremy Corbyn appunto, che sembra in grado di contrastarla. Come vedi queste dinamiche nel Regno Unito?
Bisogna fare due osservazioni preliminari. L’attacco all’«estremo centro» arriva sempre sia da sinistra che da destra. Dietro Corbyn c’è la rivolta dei giovani laburisti che hanno preso in mano il partito e l’hanno trasformato in quello che è oggi. Per fare un esempio dei cambiamenti che hanno introdotto: c’è una circoscrizione alla periferia di Londra chiamata Chingford, che ha sempre votato molto a destra. Era il seggio di Norman Tebbit, stretto collaboratore di Margaret Thatcher, e adesso è il feudo Iain Duncan Smith, un tory di estrema destra che ha idee spaventose in materia di assistenza sociale e così via. Alle ultime elezioni i laburisti sono stati a un soffio da strappare Chingford alla destra. E nella campagna elettorale attuale provano a vincere mettendo in prima linea una candidata giovane di origine bengalese, Faiza Shaheen. Il primo fine settimana di campagna elettorale, i militanti laburisti sono andati in cinquecento a bussare a tutte le porte della circoscrizione.
I laburisti hanno una squadra di attivisti ben organizzata e ben formata, composta in gran parte da giovani, che puntano ai seggi marginali. Al contrario, i Tories, dove l’età media dei militanti supera i sessant’anni, non hanno quasi nessun giovane e si sono dovuti affidare a un’azienda privata di pubbliche relazioni. Hanno privatizzato le elezioni. Troveremo in giro Pr addestrati come automi a diffamare Corbyn e attaccare il Partito laburista. Contro questi idioti esternalizzati basterà dire cose sensate, perché loro non sapranno rispondere. Se Corbyn sta scalando i sondaggi, già dalla prima settimana della campagna elettorale, è proprio in virtù di questa differenza strutturale tra i due partiti principali contendenti.
Per tornare al tuo punto, comunque, al di là di Corbyn e Sanders, è vero che finora gli attacchi più forti  al centro sono arrivati da destra: Salvini in Italia, Le Pen in Francia, l’AfD in Germania. È un dato inquietante e non si può dire che questo sviluppo sia stato provocato dalla sinistra: è una conseguenza delle politiche dell’«estremo centro». Quindi non ci sono solo buone notizie, ma sicuramente c’è la conferma dell’idea di Stiglitz che il neoliberismo ha fallito e gli ultimi quarant’anni sono stati un disastro sotto molti punti di vista. Cosa peraltro che tanti di noi sostenevano fin dall’inizio. Abbiamo visto come è fallito il progetto di Michelle Bachelet in Cile, che è forse l’archetipo del politico di «estremo centro». In due mandati non è riuscita a modificare minimamente l’infrastruttura sociale e politica ereditata dalla dittatura di Pinochet, che oltre a essere un fascista era anche un convinto sostenitore del neoliberismo e ha trasformato il Cile in una cavia.
Nelle piazze cilene si vedono alcuni striscioni incredibili, in effetti. Su uno c’era scritto «il neoliberismo è iniziato qui e finisce qui».
Sì, è fantastico. Anche a Beirut lo slogan più popolare nelle strade, cantato da musulmani, cristiani e gente di tutte le sette e fazioni, è indirizzato contro i politici: «Siete tutti uguali», cioè siete tutti ladri, siete un’oligarchia che non fa niente per noi. L’elemento di classe in questo movimento laico è estremamente forte. Anche l’Argentina è un caso interessante. Pensava di aver sconfitto definitivamente la sinistra (certo, quella argentina è una sinistra problematica), ma alle ultimi elezioni l’apostolo neoliberista tanto lodato dall’Economist, dal Financial Times e dal Wall Street Journal è finito ancora una volta nel cestino. Hanno vinto i peronisti e la gente ha festeggiato in strada.
Perciò la situazione oggi è molto fluida e il neoliberismo è fragile. Il capitalismo globale (i suoi governanti, direttori e manager) non ha capito che il crollo di Wall Street del 2008 è stato un evento decisivo per la politica economica contemporanea. Si è pensato di poterlo ignorare e continuare come prima, ma quello che sta succedendo ora in tutto il mondo dimostra che è molto difficile fare finta di niente. Prendiamo il Guardian, giornale che politicamente è in mezzo al guado: prima i suoi editorialisti attaccavano Corbyn ferocemente, adesso sostengono il Labour alle elezioni perché hanno capito, almeno a quanto scrivono, che la Gran Bretagna ha bisogno di un cambiamento radicale.
È incredibile, e sembra anche che anche il Financial Times sostanzialmente sostenga il partito laburista.
Il Financial Times vede queste elezioni come una scelta tra la Brexit di Johnson da un lato e Corbyn dall’altro, e sostiene che quest’ultimo sia il male minore. Effettivamente questa è la loro linea attuale, ma lo spostamento del Guardian penso sia più importante, perché è un giornale letto da molte persone di sinistra.
Esiste il pericolo che Corbyn non riesca a rispondere alle esigenze della vecchia classe operaia industriale, che è stata lasciata indietro nella politica globale e troppo spesso si rivolge ai populisti dell’estrema destra? Questo è un lato essenziale del problema. Quando Trump è andato in Kentucky ha detto «Torniamo al carbone», anche se poi materialmente non è vero.
No, in Gran Bretagna non è così. In realtà il problema di Corbyn è che guida un partito diviso sul tema Brexit. Corbyn stesso è in una posizione per cui deve difendere gli interessi di tutti gli elettori del partito laburista, cosa non facile da fare. I discorsi che ha pronunciato nella parte settentrionale del paese, dove c’è stato un forte voto a favore del Leave, hanno mostrato molta attenzione alle esigenze della classe operaia. E Corbyn ha sostenuto molte volte pubblicamente, sia nel sud-est che nel nord, che il punto non è uscire o rimanere nell’Unione europea, ma battere il neoliberismo in Gran Bretagna, migliorare le condizioni di vita delle persone e creare comunità.
Quindi il messaggio della campagna elettorale su questo fronte è molto chiaro: i laburisti dicono «vogliamo una Gran Bretagna diversa e crediamo che l’unico partito in grado di cambiarla sia il Labour». E su questo punto credo che nessuno abbia niente da ridire. Neanche Tom Watson (leader dei laburisti di «estremo centro» che cerca di sabotare Corbyn da anni), che ha lasciato il partito senza attaccare Corbyn. Ha dichiarato che se ne andava per motivi personali, non politici, e che si augurava che il Partito laburista vincesse le elezioni, a differenza di altri ex deputati e militanti anti-Corbyn che invece invitano a votare conservatore.
Ecco in sintesi quello che sta succedendo nella campagna elettorale britannica finora. Agli appuntamenti elettorali c’era tanta gente, l’umore è buono sia tra le fila dei parlamentari laburisti sia tra i militanti che fanno il duro lavoro in strada. Il primo video della campagna ha ottenuto oltre 3 milioni di visualizzazioni online. Anche se ovviamente è difficile fare previsioni, sono abbastanza fiducioso sul fatto che il Labour sarà il primo partito in Parlamento, o comunque ci arriverà molto vicino. Peraltro i leader dello Scottish National Party hanno confermato pubblicamente il loro sostegno a Corbyn qualora i laburisti avessero bisogno dei loro voti per formare un governo. Non entreranno nel governo, ma lo sosterranno dall’esterno e va bene così.
Sembra che la Gran Bretagna stia soffrendo di Brexhaustion, di esaurimento da Brexit, proprio come negli Stati Uniti si soffre per il trauma-Trump. Cioè i media sono invasi solo da questi temi e alle questioni politiche non viene dato spazio. In questo senso, sembra che Corbyn abbia toccato le corde giuste, innanzitutto chiarendo che il Labour è a favore del miglioramento delle condizioni di vita per tutti, poi scegliendo di parlare dei programmi piuttosto che del Deal. Mi chiedevo come stesse funzionando questo discorso nel Nord del Regno Unito. La gente è ancora concentrata solo sulla Brexit o c’è il desiderio di passare ad altro?
L’atmosfera generale è di andare oltre. Se Boris Johnson avesse fatto una Brexit morbida prima delle elezioni oggi avremmo una campagna completamente basata sulle questioni di fondo. Invece, con una certa intelligenza, il leader conservatore oggi dice che la Brexit si otterrà solo se lui verrà riconfermato al governo. D’altro canto, proprio ieri a Telford qualcuno ha chiesto a Corbyn se il «New Deal» proposto dai laburisti sulla Brexit avrebbe permesso alle persone di continuare a circolare liberamente, e lui ha dato una risposta molto chiara, che cito: «Voglio che i nostri giovani crescano in un mondo dove possono viaggiare, dove possono sperimentare altre società, dove possono dare il loro contributo. E sai cosa? Questo arricchisce la loro vita e arricchisce la vita di tutti noi, quindi voglio fare in modo che tutti i cittadini dell’Unione europea rimangano qui, possano venire qui, restino qui, e saremo felici di lavorare con loro, come del resto molti britannici fanno in altre parti d’Europa, dando un contributo altrettanto prezioso alle società in cui sono andati a vivere».
Sembra probabile che né i laburisti né i conservatori otterranno una maggioranza assoluta alle elezioni e dovranno cercare alleati per formare un governo. Se il Partito nazionalista scozzese (Pns) è disposto a lavorare con il Labour, che dire dell’alleanza tra Tories e LibDem? E quale impatto pensi possa avere il Brexit party di Nigel Farage?
L’Snp ha chiarito che darà appoggio esterno a un eventuale governo laburista. I LibDem hanno una leader molto di destra, Jo Swinson, e hanno escluso qualsiasi sostegno al Labour. Swinson è una acerrima nemica di Corbyn perché sostiene che quest’ultimo rappresenti un rischio per la sicurezza nazionale, in quanto non amante della guerra. L’ha detto davvero. Che i LibDem sostengano un nuovo governo conservatore se il partito di Johnson risultasse primo in Parlamento è possibile, perché l’hanno già fatto prima e proprio Swinson ha fatto parte dell’ultima coalizione tra LibDem e Tories. Ma speriamo di non arrivare a questo punto: se il partito laburista risulterà primo per voti penso che riuscirà a formare un governo con il sostegno del Pns. Almeno è su questo che noi puntiamo e che speriamo.
Sembra insomma che Corbyn sia riuscito ad articolare una posizione che colma in qualche modo il divario tra i laburisti a favore del Leave e quelli a favore del Remain. Pensi che funzionerà?
Sono moderatamente ottimista sul fatto che i laburisti saranno il primo partito in Parlamento. L’uscita di Tom Watson potrebbe essere la prima di una lunga serie: qualcuno mi ha detto che nel partito ci si aspetta che il ritmo degli addii dei laburisti di destra sarà di un parlamentare a settimana o al mese. La mia domanda a questo punto è la seguente: esiste una lunga tradizione di topi che abbandonano la nave che affonda, però che succede se alla fine la nave non affonda ma, anzi, galleggia meglio dopo che se ne sono andati?

*Tariq Ali, storico, giornalista e scrittore pakistano naturalizzato britannico, è autore di molti saggi e romanzi tradotti anche in italiano. È editor della New Left Review. Suzi Weissman è autrice di Victor Serge: A Political Biography. Questo articolo è uscito su JacobinMag.com. La traduzione è di Riccardo Antoniucci.


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