lunedì 30 dicembre 2019

La violenza estrattivista in chiave italiana - Alberto Acosta



[L’economista Alberto Acosta Espinosa è fra i padri della Costituzione dell’Ecuador del 2008, l’unica a riconoscere la Natura come soggetto di diritto.
Sostenitore della prima ora della Revolución Ciudadana, ha ricoperto il ruolo di Ministro dell’Energia e delle Miniere nel primo governo di Rafael Correa, prima di maturare la rottura con il Correismo su posizioni antiestrattiviste ed antiautoritarie.
Attualmente è autorevole membro del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura, e pienamente interno al dibattito dei movimenti ecuadoriani che hanno animato la rivolta contro le politiche del governo di Lenin Moreno e del FMI.
In occasione della sua presenza in Italia all’incontro “Estrattivismo. Diritti della Natura, diritti dei Popoli“, si è confrontato  con i compagni e le compagne della Associazione Bianca Guidetti Serra in merito alle ripercussioni dell’estrattivismo sulle società, sugli Stati e sulle classi sociali, ed ai conflitti ad esso correlati.
Quella che segue è la prima parte di questo confronto.]
[Ass.BGS] Da alcuni mesi l’America Latina è in rivolta, dal Cile all’Ecuador, da Haiti alla Colombia. Come si inseriscono in questo contesto i conflitti generati dall’estrattivismo?

[Acosta] Il concetto di estrattivismo è un concetto relativamente nuovo.
Quando ci accingiamo ad analizzarlo dobbiamo ricondurlo alla storia dei nostri paesi, di questa regione del mondo e delle sue relazioni con l’economia globale.
L’America Latina è stata integrata nel mercato mondiale circa 500 anni fa come una regione produttrice ed esportatrice di materie prime,  e possiamo dire che questa essenza di esportatrice di risorse primarie della nostra economia si mantiene fino al’attualità.
Ci sono molte storie differenti, ogni paese può contare sulla sua specificità, ma c’è una specie di scenario di fondo che spiega la storia dell’America Latina vista dalla prospettiva dell’estrattivismo.
I paesi dell’America Latina sono “paesi prodotto”: paesi caffè, paesi cacao, paesi bananieri, paesi minerari, paesi petroliferi.
C’è sempre qualche prodotto che caratterizza non solo l’economia ma anche la vita politica e la società di queste nazioni.
Questo è sempre stato un processo carico di violenza, sia contro la natura che contro le comunità.
Ha portato schiavismo, distruzione delle comunità indigene, un processo di deterioramento massivo della natura: deforestazione, perdita di suoli agricoli.
E questi processi  si stanno intensificando, perché negli ultimi dieci anni si è sviluppata una domanda mondiale crescente di prodotti primari che sta provocando un maggior impatto, una pressione maggiore sopra le risorse, sulla natura e sulle comunità in America Latina.
Inoltre molti giacimenti minerari dei paesi del nord, come in Canada, sono diventati di più difficile accesso, perché la società si organizza, ed ha stabilito norme ambientali.
Di conseguenza si cercano risorse in altre parti del pianeta, dove si genera un’altra caratteristica di questo tipo di attività: il gigantismo.
Sono progetti giganteschi, enormi, che provocano tremenda distruzione, un tremendo impatto, e per questo le comunità hanno cominciato a resistere con una forza maggiore.
Anche prima c’era resistenza. C’è sempre stata. Ma le resistenze di adesso sono molto più potenti dal momento che le pressioni sono maggiori, e le comunità hanno più coscienza.
Io direi che è anche il risultato degli avanzamenti tecnologici, perché ora la gente ha la possibilità di conoscere più facilmente queste realtà.
Sono resistenze che hanno messo definitivamente in discussione quel discorso dominante che ci diceva che per progredire bisognava fare certi sacrifici.
E invece non è così, perché stiamo vedendo che i sacrifici continuiamo a farli e non progrediamo mai, ma al contrario i problemi continuano ad acutizzarsi.
In questo contesto bisogna collocare l’estrattivismo in America Latina.
Possiamo dire che gran parte dei problemi che sta attraversando l’America Latina nell’attualità, indipendentemente dall’orientamento dei governi, ha a che fare con la problematica estrattivista.
[Ass.BGS] Qual’è la situazione nei singoli paesi ?
Ci sono differenze in base agli orientamenti politici dei governi ?
[Acosta] Ci sono situazioni molto complicate riguardo ai singoli paesi.
Abbiamo visto per esempio resistenze realmente interessanti in Bolivia davanti a un governo progressista, il governo di Evo Morales.
La gente ha resistito davanti all’intenzione di costruire una strada nel TIPNIS, il Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Sécure1. Indigeni che hanno resistito di fronte al governo di un indigeno, perché questo governo approfondiva l’estrattivismo.
Abbiamo un paese con un governo neoliberista, la Colombia, dove le comunità – indigene e non indigene – stanno resistendo all’estrazione mineraria, e lo fanno anche con molta forza.
Ci sono gli esempi di resistenza pacifica in Colombia contro grandi imprese minerarie nel Dipartimento del Tolima, che affrontano una delle multinazionali minerarie più grandi del pianeta, la Anglo Gold Ashanti2.
Sempre in Colombia c’è la resistenza per preservare le lagune del Los Paramos3, e anche in Perù, in tutta la zona di Cajamarca4.
Stiamo vedendo anche il caso del Cile5 e dell’Argentina6, dove si lotta per impedire l’ampliamento dell’attività mineraria nel sud, nella zona dei ghiacciai.
Ci sono anche situazioni molto complicate in Ecuador, nel mio paese. E’ il paese che ha inserito nella Costituzione i diritti della Natura, che però non sono rispettati, anche se le comunità li reclamano.
C’è l’esempio della lotta degli Yasunidos [i difensori del Parco Nazionale dello Yasunì.NdR], che hanno fatto un enorme sforzo per proteggere una piccola regione nell’Amazzonia ecuadoriana da un progetto di estrazione petrolifera.
La resistenza non ha raggiunto l’obiettivo  perché il presidente dell’epoca, Rafael Correa, si è opposto alla richiesta di referendum7.
In  vari casi si ricorre a consultazioni popolari per cercare di frenare queste attività, come succede per esempio in Colombia, ed è molto interessante il fatto che queste resistenze siano di diversa natura, spesso muovendosi dentro al “labirinto giuridico”.
Parlo di labirinto giuridico perché i difensori della natura vengono perseguitati, criminalizzati, per il fatto di difendere la natura e difendere la loro vita.
Però questa gente ha anche imparato a muoversi dentro il labirinto giuridico per frenare l’estrattivismo.
Con diversi tipi di governo, con diversi tipi di lotta, in America Latina in questo momento c’è un processo per cercare di recuperare qualcosa di fondamentale: il diritto alla vita.
Perché gli estrattivismi sono stati storicamente, e ora ancor di più, una minaccia permanente per la vita.
Questo sistema vive per soffocare la vita, degli esseri umani e della natura.
[Ass.BGS] Paradossalmente i paesi che hanno più materie prime sono quelli più autoritari. Quali sono le conseguenze dell’estrattivismo sulla società e sullo Stato?
[Acosta] Gli estrattivismi caratterizzano l’economia, le società, e la vita politica.
Creano  economie basate sulla rendita, Stati rentiers.
Queste risorse economiche generano logiche sociali clientelari, e questo finisce per debilitare in ambito politico la vita democratica. Non è una caso che la crescita dell’estrattivismo vada di pari passo con la crescita dell’autoritarismo e del presidenzialismo.
L’iperestrattivismo coincide con l’iperpresidenzialismo, caratterizzato da governi autoritari, governi violenti, governi corrotti.
Gli estrattivismi sono violenti per definizione.
La violenza per l’estrattivismo – questo per me è fondamentale – non è una conseguenza ma una condizione necessaria.
Per provocare simili distruzioni della Madre Terra – come le amputazioni per un progetto minerario, o l’inquinamento tremendo di grandi territori per un progetto petrolifero – è necessaria la violenza.
E le comunità sono le vittime di questa violenza.
Torno al punto iniziale: l’estrattivismo costituisce uno scenario di fondo della storia e della realtà attuale.
E mi pongo la seguente domanda:  i nostri paesi sono poveri perché ricchi di risorse naturali?
C’è forse una sorta di maledizione, la maledizione dell’abbondanza.
Nella teoria economica si parla della maledizione delle risorse e del paradosso dell’abbondanza. Ne ho fatto una sintesi, la “maledizione dell’abbondanza”, per spiegare la realtà di queste economie8.
Però la vera maledizione è credere che non ci siano alternative, una maledizione che ha conformato l’immaginario della gente.
Il caso dell’Ecuador è paradigmatico: paese caffettero, paese cacaulero, paese bananero, paese petrolero, e ora che sta finendo il petrolio vogliamo essere un paese minero.
Non riusciamo ad immaginare un paese che non dipenda da una rendita della natura.
Allo stesso tempo siamo avvinghiati al progresso: non possiamo mettere a rischio il progresso, non possiamo mettere a rischio la crescita economica.
In nome di questo sacrifichiamo delle realtà.
Considero gli estrattivismi al plurale, perché non c’è ne è solo uno: c’è l’estrattivismo petrolifero, minerario,  agroindustriale, forestale …
Ebbene, gli estrattivismi cominciano ad essere presenti anche nei paesi del nord globale.
In Europa e negli USA c’è il problema del fracking, delle attività minerarie, e delle megaopere infrastrutturali collegate a progetti per trasportare gas, per trasportare petrolio, progetti per rendere la vita sempre più rapida, non in funzione di un miglioramento delle condizioni di vita della gente, ma per garantire una maggiore accumulazione del capitale.
[Ass.BGS] C’è una relazione abbastanza stretta con quella che era la maledizione della economia di enclave, soprattutto in Centro America,  dove  per esempio le infrastrutture, porti  o ferrovie ecc., erano esclusivamente finalizzate al trasporto della merce, e non al trasporto delle persone.
[Acosta] Gli estrattivismi, in diversa maniera, finiscono per produrre processi di de-territorializzazione dello Stato, che organizza la società al fine di collocare questi prodotti primari nel mercato mondiale.
Per me è sempre stata motivo di attenzione la rete ferroviaria argentina.
Ora non ne è rimasto molto perché è stata privatizzata e smantellata, però era come un flusso di vene dirette interamente verso Buenos Aires, perché in ogni parte la rete ferroviaria era stata pensata non per integrare l’Argentina con gli argentini, ma per integrare l’Argentina col mercato mondiale.

Questa logica è ancora presente in America Latina: si chiama I.I.R.S.A. (Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Suramericana), che è un sistema per integrare tutte le risorse naturali dell’America Latina nel mercato mondiale9. E’ un sistema progettato nel 2000 per impulso del Banco Interamericano de Desarrollo10.
In seguito, con i governi progressisti di Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Ecuador, e dello stesso Cile, si diede il via al CO.S.I.PLAN. (Consejo Suramericano de Infraestructura y Planeamiento), che è la stessa cosa, non è un cambiamento11.
L’America Latina con i governi progressisti non ha superato la maledizione dell’abbondanza, ma ha approfondito l’estrattivismo.
I problemi non sono stati risolti, la frustrazione aumenta, e questa è una delle principali spiegazioni dei conflitti.
Abbiamo società dove la gioventù sta perdendo la speranza. Non cerca più un’opzione di futuro, non cerca più una proposta politica per una via d’uscita, ma esce in strada a protestare per la frustrazione.
Per questo è importante evitare di costruire le nostre analisi sulla base di vecchi meccanismi, sulle nostre vecchie forme di interpretazione del mondo. Dobbiamo rifondarle, lasciare da parte le semplificazioni, per poter comprendere ciò che sta succedendo nella regione. (Continua)

Tratto da Carmilla on line.


3.      Diez páramos amenazados por minería y ganadería en Colombia, El Espectador, 16 febbraio 2016.
4.      Cajamarca: el Valle Llaucano continúa lucha contra la Minera YanacochaObservatorio de Conflictos Mineros en el Perù, 18 novembre 2019.
5.      Adele Lapertosa, Cile, lobby minerarie ostacolano legge per proteggere i ghiacciai, Il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2019.
7.      Verdetto del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura sul caso Yasuni, 15 agosto 2014.
8.      Alberto Acosta Espinosa, La maldición de la abundancia, Comité Ecuménico de Proyectos CEP, Ediciones Abya-Yala, Quito, 2009, pp. 240.
9.      Ana Esther Ceceña, Paula Aguilar, Carlos Motto, Territorialidad de la dominación: La Integración de la Infraestructura Regional Sudamericana (IIRSA), Buenos Aires, 2007, 60 pp.
Video: IIRSA, La Infraestructura de la Devastacion.
10.  Il progetto dell’ I.I.R.S.A. consiste nella costruzione di 10 assi multimodali – in Europa li chiameremmo “corridoi” – attraverso il Sud America per collegare i grandi centri di produzione con quelli dei consumi, accelerando i trasferimenti delle merci (petrolio, gas, minerali, commodities agroindustriali, acqua, biodiversità) e rafforzandone il controllo. Nella sua fase iniziale il progetto dell’ I.I.R.S.A. è stato fortemente sponsorizzato dagli Stati Uniti.
11.  Nel gennaio 2009 la UNASUR (Unión de Naciones Suramericanas), ha istituito il CO.S.I.PLAN., un consiglio che ha incorporato l’I.I.R.S.A. come foro tecnico in tema di pianificazione delle infrastrutture. Nonostante le promesse di un modello di sviluppo differente, i progressismi sudamericani hanno adottato pienamente la progettualità sviluppata nel precedente contesto neoliberista.

da qui



La violenza estrattivista in chiave italiana - Alberto Acosta


Non ci sono amici nel lavoro,
la nostra amicizia è fondata sugli affari

Don Corleone, Il Padrino

Non arrenderti, sei ancora in tempo
ad arrivare e ricominciare di nuovo,
accettare le tue ombre, seppellire i tuoi timori,
liberare la zavorra, riprendere il volo
 “
Mario Benedetti

Nel bel mezzo del dibattito accademico, è successo l’inaspettato. All’Università del Salento – Lecce, Italia – mentre vari di noi stavano relazionando, è accaduto qualcosa di insolito per un paese considerato sviluppato e democratico, oltre che membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite: è stato individuato un agente della “polizia politica (DIGOS) ) mentre riprendeva l’evento, nel tentativo di registrare di nascosto i volti dei partecipanti. La protesta di uno degli organizzatori ha momentaneamente interrotto la “Giornata di Studio con Alberto Acosta. É reato difendere la Natura? L’uso asimmetrico del diritto nei conflitti ambientali”. L’eco sulla stampa locale e nei social network non si è fatto attendere. Il rettore dell’università, Fabio Pollice, si è scusato con il sottoscritto, affermando che “questo centro di studi è un luogo aperto a tutti e al libero confronto di idee. Chiunque può partecipare, sempre rispettando il libero confronto delle persone”. E nello stesso tempo assicurando che il suo “impegno sempre sarà di garantire a tutti questa libertà”.


Questo aneddoto (1) rivela come in tutte le parti del mondo la difesa dei diritti della natura – indissolubilmente legati ai diritti umani – comporta rischi, spesso anche gravi. Senza dubbio viviamo in un mondo perverso. Coloro che difendono la vita umana e la natura causano danno agli interessi di potenti gruppi, e perciò stesso vengono perseguitati, criminalizzati, intimiditi e purtroppo persino uccisi. Pertanto, anche se ciò che è accaduto in quel centro universitario non ha conseguenze più gravi, comunque contribuisce a ricordare ciò che le lotte di resistenza e la costruzione collettiva di alternative devono affrontare.

Sappiamo assai bene, nella Nostra America, che gli estrattivismi e le grandi opere infrastrutturali che li accompagnano comportano rischi enormi, poiché la violenza e la corruzione sono elementi intrinseci in quanto condizioni necessarie per la loro realizzazione. Nella nostra America, la persecuzione e la criminalizzazione dei difensori della vita sono pane quotidiano, sebbene i media spesso li ignorino o li minimizzino. I governi progressisti e neoliberisti, allo stesso modo, violano i diritti e indeboliscono la democrazia espandendo gli estrattivismi. Ma non solo l’America Latina vive tali abusi: questi si verificano anche in altre latitudini.
Alberto Acosta nel Salento
In Italia, è costante la criminalizzazione di coloro che difendono la Natura e i diritti dei suoi difensori, di coloro che si oppongono a grandi opere infrastrutturali e allo svuotamento dei loro territori per aprire le porte a enormi attività di profitto. Esiste un intero sistema che “si basa sull’accaparramento e la finanziarizzazione delle risorse e della terra, in una prospettiva utilitaristica che perpetua valori e azioni sulla base dello sfruttamento ambientale e della violazione dei diritti umani, ignorando il concetto di giustizia climatica e sostenibilità”, come chiaramente affermato in un dettagliato rapporto su questa situazione: Defend the Defenders of the Earth: A dossier on the repression of the salentinian movements (2018), curato dall’avvocato Elena Papadia dell’Associazione Bianca Guidetti Serra e coordinato dal professor Michele Carducci.
I casi sono molteplici. Basti ricordare cosa succede nella penisola salentina, includendo le zone delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. In queste terre si registrano una dopo l’altra complesse emergenze ambientali. Per anni, la centrale petrolchimica ENI e la centrale termoelettrica di Brindisi, l’impianto siderurgico ex ILVA a Taranto, hanno generato discussioni nonché l’opposizione da parte di associazioni locali, movimenti civili che difendono la Terra e – in generale – da parte di difensori dei diritti umani, per le loro gravi violazioni delle leggi ambientali nazionali e internazionali, che causano inquinamento, morte e una crisi sanitaria senza precedenti. E ci sono altri casi, come “Colacem SPA“, una fabbrica di cemento a Galatina (vicino a Lecce), una fabbrica considerata “malsana” dall’Agenzia Europea dell’Ambiente; la costruzione di una grande strada – la “S.S.275” – che collegherebbe rapidamente il sud del Salento con il capo di Santa Maria di Leuca: infrastruttura inutile che recherebbe grande danno al tipico paesaggio salentino.
Un’esperienza degna di nota è la “guerra agli ulivi“, come afferma chiaramente Alessandra Cecchi, membro dell’Associazione Bianca Guidetti Serra. Si tratta del progetto di eradicazione di migliaia di ulivi, anche centenari e millenari, con il pretesto della presenza di un batterio, la Xylella Fastidiosa, a cui è attribuita la causa di una fitopatologia che colpisce gli uliveti del Salento. Un batterio considerato – senza prove convincenti – quale causa del rapido essiccamento degli ulivi. Questo progetto di eradicazione è funzionale alle trasformazioni del territorio per operazioni speculative, sia nel segno del neoliberismo agricolo – che cerca di sostituire la coltivazione tradizionale dell’olivo con impianti superintensivi – sia al fine di creare spazi per il settore immobiliare o per installare infrastrutture energetiche, come gasdotti e grandi estensioni di pannelli fotovoltaici.

L’eradicazione di ulivi secolari imposta con la forza pubblica e con un ampio uso di strumenti repressivi ha trovato una resistenza determinata del “Popolo degli Ulivi”. Con solide argomentazioni questo movimento si oppone all’abbattimento degli ulivi affermando che quella fitopatologia può essere trattata con metodi agroecologici. Il piano adottato dalle istituzioni per
fermare l’emergenza (chiamato “Piano Silletti”) non solo riguardava gli alberi “malati” ma anche tutti gli alberi presenti in un raggio di 100 metri, con un uso massiccio di pesticidi e il conseguente grave rischio per la salute della popolazione locale. La magistratura locale ha bloccato il piano per
mancanza di basi scientifiche e per il suo approccio pericoloso, nonostante ciò gli attivisti sono stati (e continuano a essere) processati. Inoltre, l’accesso alla giustizia, imposto dalla Convenzione di Aarhus, è stato negato agli agricoltori locali che hanno rifiutato la distruzione indiscriminata dei
loro ulivi.
In questa regione esiste un altro caso paradigmatico di criminalizzazione di coloro che difendono la vita: l’esperienza del movimento NO-TAP, ovverosia No al TransAdriatic Pipeline (un gasdotto di 5.000 km, che inizia in Azerbaigian, attraversa la Turchia e la Grecia per entrare nel sud Italia). Questo è un grande esempio di resistenza civile, attivismo e difesa della Terra, così come di repressione e persecuzioni giudiziarie. Dal marzo 2017, quando il gasdotto TransAdriatico ha iniziato a lavorare sul lato italiano del progetto, attivisti, gente comune, associazioni e istituzioni locali hanno denunciato pubblicamente la loro opposizione con metodi pacifici e non violenti.
Dopo un’intensa campagna di discredito da parte dei media locali e nazionali, il governo e le autorità, avvalendosi delle forze di polizia, hanno iniziato a reprimere tutte le manifestazioni e iniziative di opposizione; sono state imposte a decine di attivisti (inclusi anziani, madri, politici locali) pesanti sanzioni monetarie per aver partecipato alle manifestazioni; a 15 attivisti è stato impedito per 3 anni l’accesso a Melendugno o ad alcuni territori della provincia di Lecce: la loro libertà di movimento personale è limitata (sono considerati soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica e, in alcuni casi, soggetti antisociali); dal 13 novembre al 13 dicembre 2017, è stata imposta una zona rossa attorno al cantiere TAP di San Basilio (vicino a San Foca – Melendugno) con il divieto assoluto di accesso o transito a tutta l’area interessata, sotto lo stretto controllo delle forze di polizia.
La repressione adotta un numero incredibile di procedimenti penali contro gli attivisti al fine di punire a livello legale le loro attività, anche se sono protetti dalla Costituzione. Sono stati anche riportati alcuni episodi di violenza da parte della polizia (ad esempio l’aggressione nei confronti di
un giornalista straniero nell’ottobre del 2017 durante una manifestazione o attacchi contro attivisti feriti dalla polizia nel febbraio e aprile del 2018). Non si tratta solamente di maltrattamenti subiti dagli attivisti in quanto vittime della repressione: non può non provocare indignazione la superficialità di giudici e magistrati locali, da una parte estremamente puntuali nell’indagare e punire gli attivisti, ma non così diligenti nel perseguire allo stesso modo violazioni, comportamenti illegali , abusi da parte della società che realizza il progetto TAP, il governo e altre autorità italiane.
Il rischio per il nostro sistema democratico è reale e tangibile“, sintetizza la relazione di cui sopra con una motivazione giustificata. Questo caso dell’Italia meridionale non è isolato. Ci sono situazioni simili in altri luoghi, in Italia. Ad esempio, spicca la lotta di varie comunità contro il treno ad alta velocità TAV nella regione della Val Susa. Lì i casi di repressione sono molteplici, come indicato dall’impressionante documentazione del recente libro di Xenia Chiaramonte: “Governare il conflitto – La criminalizzazione del Movimento NO TAV” (2019).
Queste violenze legate agli estrattivismi e alle loro grandi opere di infrastruttura, come accade in tutto il pianeta, hanno consolidato processi di resistenza sempre più forti e intensi. Se la violenza estrattivista emerge in tutto il mondo, così è anche per la resistenza. E in Italia l’8 dicembre donne e uomini difensori della vita scenderanno in piazza per una nuova giornata contro le grandi opere che distruggono i territori in memoria del giorno in cui, 14 anni fa, migliaia di persone occuparono il cantiere del treno ad alta velocità TAV in Val Susa.
Tutto ciò dimostra che non possiamo tacere di fronte ad alcun sopruso – per quanto piccolo possa sembrare – sia per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti, sia per tutti coloro che condividono queste lotte per la vita. Non possiamo tollerare restrizioni né minacce, da qualunque parte provengano, specialmente se cercano di intimidire noi che esercitiamo il diritto di esprimere liberamente le nostre opinioni, e che difendiamo i Diritti Umani e i Diritti della Natura. La libertà di pensiero, di espressione e di azione sono fondamentali per costruire democraticamente società sempre più democratiche.
(1)   Quello che è successo quel giorno è solo un piccolo esempio della repressione in quel territorio che resiste alla distruzione ambientale e sociale, come è stato sottolineato in un importante seminario internazionale condotto dai movimenti del Salento e Transnational Institute di Amsterdam nel 2018.



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