il libro inizia a descrivere la Sarajevo come era
prima, sembra un libro di architettura o urbanistica, e subito arriva la
guerra.
Dževad Karahasan racconta la sua Sarajevo e
dentro ci trovi la guerra, che non è una guerra, “l’anno prossimo a Gerusalemme“
e “l’anno prossimo a Sarajevo”, il perché ebrei e israeliani sono due cose
diverse, la crudeltà, la paura, l’assedio, la fuga, l’attesa, la speranza di
qualcosa che non arriva, la dignità, divisioni impossibili, impossibilità di
capire per chi non c’era.
e la responsabilità della letteratura.
e un bacio straordinario, sbagliato, e bellissimo.
e fosse anche solo per quel bacio leggi il libro - franz
e fosse anche solo per quel bacio leggi il libro - franz
La distruzione di una magia, di un equilibrio fra relazioni e opposizioni
all’interno della città simbolo del mondo intero. Di questo scrive Dzevad Karahasan ne Il centro del mondo. Scrive della sua Sarajevo assediata
e distrutta dalla ferocia dell’Esercito popolare Jugoslavo. Scrive per mettere
ordine al caos di quei mesi, come si legge nella prefazione di Slavenka Drakulic e per salvare almeno il ricordo di
quella città che ha significato per secoli “vita comune di nazioni, religioni e
convinzioni diverse”.
Karahasan non
racconta il suo “dramma personale ma il dramma della distruzione sistematica di
una società multietnica e culturalmente pluralista. È convinto che questa sia
la causa della guerra; quando le diverse parti della
Jugoslavia formano degli stati nazione nei Balcani questa diversità non può
essere accettata: deve essere distrutta”. L’autore individua
una speciale relazione fra il luogo, la città, e gli uomini che vi abitavano,
grazie alla quale convivono assieme l’elemento locale e quello universale: in
quella Sarajevo le peculiarità delle tradizioni cattoliche, ortodosse,
islamiche e quelle austroungariche, turche e bosniache si mescolano, convivono
e allo stesso tempo si rafforzano. In virtù di questa commistione la città
diventa una metafora del mondo intero: un “luogo in cui i diversi volti
del mondo si sono raccolti in
un punto come in un prisma si concentrano i raggi di luce dispersi”.
Sarajevo diventa metafora del mondo anche attraverso una lettura
“geografica” della sua struttura. All’interno della scala della città si
possono infatti individuare le stesse dinamiche che, su
scala globale, caratterizzano, appunto, la globalizzazione: in entrambi i casi
“l’universale e il particolare, l’aperto e il chiuso, l’interno e l’esterno, si
riflettono continuamente l’uno nell’altro”. Assistiamo da un lato a processi di unificazione culturale e dall’altro a spinte alla differenziazione.
Su scala globale questo rimarcare le diversità diventa di volta in volta valorizzazione delle
caratteristiche peculiari di un popolo, di una regione, di una cultura (come
nella Sarajevo in “tempi di pace”) o esasperazione delle differenze, fucina di conflitti
(come per i processi che hanno portato alla distruzione della capitale
bosniaca): sono due facce dello stesso fenomeno. Karahasan sintetizza così
questo dualismo: “Il rapporto essenziale fra gli elementi del sistema è la tensione che gli oppone (…) ogni tessera entra
nella struttura del sistema arricchita di nuove particolarità senza abbandonare
quelle che già possedeva”…
(dalla prefazione di Slavenka Drakulic)
Dževad Karahasan è seduto sulla cattedra di una
delle aule della Facoltà di Filosofia dell’Università di Sarajevo; immerso in
una luce che oramai sembra dargli pace, una luce che si riflette nella
rilassatezza dei suoi lineamenti e nel sorriso degli occhi, in un tutt’uno con
la luce che entra dalla finestra aperta in un pomeriggio di sole di settembre.
Karahasan non parla – o meglio – non parla normalmente,
recita; compone con maestria i suoi pensieri e attinge ai suoi ricordi
scandendo poeticamente le parole di una lingua ai più incomprensibile, rendendo
universalmente chiaro quanto ha da dire, quanto ha da evocare. La stessa pace
permane anche quando s’immerge in uno dei ricordi più dolorosi della sua
esistenza, poiché – e lo si capisce immediatamente – qualcosa di irrisolto
è stato compreso anche se il tragico resta tragico…
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