Mentre i greci votano è forse giunto il momento di
abbandonare la retorica neo-liberista e neo-socialista per fare il punto della
situazione usando invece delle parole i numeri per raccontare la moderna
tragedia Greca.
Cominciamo
dal lontano 1981. “Nel 1981 quando la Grecia entrò nell’UE, aveva
un surplus di bilancio, esisteva l’industria manifatturiera,
possedeva una grossa industria navale, il settore minerario contribuiva per il
5 per cento al Pil e naturalmente esistevano una fiorente agricoltura e un
discreto turismo,” racconta Yannis Halikias, professore di economia applicata
presso l’università di Atene e consulente dell’associazione Panellenica degli
esportatori.
“All’inizio
degli anni Ottanta la Grecia aveva un modesto debito pubblico, pari al 28
per cento del Pil, poi questo è cresciuto a dismisura» aggiunge Antonis
Antonakos, economista e professore emerito presso l’università di Atene. “Man
mano che l’importazione dalle economie forti del Nord metteva fuori gioco la
produzione nazionale, lo Stato ne assorbiva i disoccupati tanto da diventare in
un paio di decenni il più grosso datore di lavoro del Paese”. I dati della
Banca mondiale evidenziano questo trend, con gli occupati nel settore
industriale che scendono dal 29 per cento della forza lavoro nel 1981
al 19,2 del 2010, mentre il contributo dell’industria al Pil cala in parallelo
dal 30,5 per cento del 1981 al 18,1 del 2010.
L’indebitamento diventava uno strumento per ottenere consensi: se mi voti ti garantisco un impiego pubblico, questa la logica dei politici.
L’indebitamento diventava uno strumento per ottenere consensi: se mi voti ti garantisco un impiego pubblico, questa la logica dei politici.
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I greci
hanno dunque sbagliato ma anche l’Unione Europa ha commesso gravi
errori. Invece di promuovere l’impresa privata e il libero mercato e di
incentivare la produzione, come volevano i padri fondatori, l’Europa ha ottenuto
in Grecia esattamente il contrario. Si è fatta promotrice di una concorrenza
sleale e, allo stesso tempo, ha messo in mano ai politici greci uno
strumento potente per corrompere l’elettorato; un processo, questo, che a lungo
andare ha impoverito l’economia nazionale. “Nel 2009, quando è
scoppiata la crisi, ci si è accorti che in Grecia molti dei settori
produttivi non esistevano più e che l’80 per cento del PIL proveniva dal
consumo, e cioè dal turismo e dai fondi strutturali comunitari. L’economia dei
servizi dava da mangiare al 70 per cento della popolazione attiva, a gente che
negli anni Ottanta lavorava nelle manifatture, nell’industria navale e in
quella mineraria. Ma non basta, l’esportazione rappresentava appena il 10,3 per
cento del Prodotto interno Lordo,” conclude Yannis Halikias.
A
prescindere dai risultati del referendum chi esce sconfitto da questo
voto sono la Grecia e l’Unione Europea perché è chiaro che
l’esperimento di integrazione economica e monetaria applicato dalla seconda
nella prima è fallito.
Ma andiamo
avanti. Man mano che il settore pubblico si gonfia scende la
produttività del lavoro. Oggi per ogni
ora lavorata da un greco e da un tedesco il contributo al Pil del primo è la
metà del secondo. A coprire lo scarto tra settore produttivo e spesa
pubblica è il debito, elargito a tassi vantaggiosissimi dalle banche europee,
con in prima fila quelle francesi e tedesche.
La crisi del
debito sovrano greco scoppia nel 2010: alla Grecia mancano i soldi per pagare
gli interessi su un debito ormai superiori ad una volta e mezza il Pil. L’Unione
Europea non risponde prontamente ed il mondo si accorge dell’esposizione delle
banche europee nei confronti di tutta la periferia dell’Unione. Al 31
dicembre 2010 questi dovevano alle grandi banche tedesche e francesi, circa 500 miliardi di euro, di cui il 17 per cento erano
titoli di Stato. Le cifre sono da capogiro, difficile immaginare
quantità di denaro così grandi.
Ma il problema vero è la Grecia, vicinissima alla bancarotta per problemi di illiquidità, mancano proprio i soldi nel sistema. Mandare in bancarotta la Grecia significa far saltare le grandi banche francesi e tedesche. Stando alle cifre pubblicate il 6 giugno 2011 dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, le banche tedesche alla fine del 2010 avevano circa 15,3 miliardi di euro di debito pubblico greco, contro i 10,5 miliardi di quelle francesi.
Ma il problema vero è la Grecia, vicinissima alla bancarotta per problemi di illiquidità, mancano proprio i soldi nel sistema. Mandare in bancarotta la Grecia significa far saltare le grandi banche francesi e tedesche. Stando alle cifre pubblicate il 6 giugno 2011 dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, le banche tedesche alla fine del 2010 avevano circa 15,3 miliardi di euro di debito pubblico greco, contro i 10,5 miliardi di quelle francesi.
Soluzione
del problema: concedere alla Grecia piani di salvataggio finanziario ed
usare questi soldi per ripagare il debito delle banche e sostituirlo con il
debito nei confronti delle istituzioni preposte al salvataggio, la Troika. Ecco chi oggi
ha in mano il debito greco.
Ma sostituire
il debito delle banche con quello della Troika significa far ripagare il
debito greco agli Stati membri dell’Unione.“Quando è esplosa la crisi della
Grecia l’esposizione delle banche italiane verso quel paese ammontava a circa
1,9 miliardi. Oggi l’esposizione dello Stato italiano verso Atene è di 40
miliardi. Anche per la Spagna, con cifre un po’ diverse, è
andata nello stesso modo”.
Per chi
vuole rivedere l’iter delle trattative tra Grecia e Troika un video del Wall Street Journal lo espone bene. Per
chi vuole rivedere le condizioni economiche attuali della Grecia c’è un altro video della
BBC.
Ma ciò che
forse dovremmo domandarci noi cittadini di Eurolandia è se forse un referendum
vero doveva essere un altro nel 2011. Forse era giusto chiedere a noi
contribuenti se volevamo pagare di tasca nostra, con le nostre tasse,
il debito accumulato dalle banche europee a seguito di una politica
scellerata perseguita da loro e dalla classe politica. Certo l’alterativa era la
bancarotta del sistema bancario più grande al mondo (40 per cento del
sistema bancario mondiale), ma almeno avremmo saputo cosa facevamo e di chi era
la responsabilità di questa catastrofe.
Ed invece
dovremmo aspettare che i libri di storia alla fine del secolo raccontino ai
nostri nipoti questa triste storia.
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