fate un esperimento: si prenda una strada di Praga, Bartolomějská, un poliziotto di nome Jan Morava, un quadro rubato e poi riapparso, due storie d'amore, delle vedove, il cimitero di Vinohrady, ambientate la storia negli ultimi giorni dell'occupazione nazista a Praga, e scrivete un romanzo thriller storico da 400 pagine, con almeno quegli elementi.
se però non avete tanto tempo, o vi spaventa l'impresa, non preoccupatevi, una storia così è dentro questo libro, già (ben) scritta, io ho fatto così.
se poi siete passati a Bartolomějská e al cimitero di Vinohrady siete di casa, ma anche se non siete mai stati a Praga il libro merita lo stesso, è una corsa contro il tempo, muore un'epoca e dalle ceneri nascerà qualcos'altro, qualcuno svolge il suo piccolo lavoro, in tempi quasi impossibili, ma il lavoro va portato a termine.
e quelle 400 pagine non vi peseranno, ne sono sicuro - franz
se però non avete tanto tempo, o vi spaventa l'impresa, non preoccupatevi, una storia così è dentro questo libro, già (ben) scritta, io ho fatto così.
se poi siete passati a Bartolomějská e al cimitero di Vinohrady siete di casa, ma anche se non siete mai stati a Praga il libro merita lo stesso, è una corsa contro il tempo, muore un'epoca e dalle ceneri nascerà qualcos'altro, qualcuno svolge il suo piccolo lavoro, in tempi quasi impossibili, ma il lavoro va portato a termine.
e quelle 400 pagine non vi peseranno, ne sono sicuro - franz
…Una prova stilistica
tanto vitale e disinvolta, una penna così perfettamente a suo agio nel
padroneggiare le tecniche della suspence moderna non farebbe sospettare che
l’autore è un signore di più di ottant’anni, ma la raffinatezza di stampo
mitteleuropeo, il gusto d’altri tempi per le frasi memorabili, la cura
certosina per le descrizioni di certi momenti sono invece il marchio di
fabbrica inconfondibile di un libro che riesce a diventare un ponte tra due
letterature: quella dei grandi romanzi europei del dopoguerra (pensiamo a
Remarque, Boll, Uhlman) e quella thriller anglosassone, che furoreggia in
libreria da poco più di dieci anni. Un’impresa, signora mia, non da poco.
…Un libro scomodo, doloroso. Non certo nello stile, nel racconto dei personaggi e nel succedersi degli eventi, guidati con perfetta sicurezza, ma nel suo affrontare, armato di uno humour a tratti addirittura macabro, grandi dilemmi etici senza concedere ai suoi personaggi o al lettore facili vie di fuga. Al termine del libro la liberazione di Praga, sacrificata a Yalta al regime staliniano, sarà soltanto il primo passo di una nuova oppressione consumata nel nome di un sogno ormai sfiorito. Attoniti, i suoi personaggi prendono atto che il tempo non passa e si preparano a ripetere i medesimi sterili errori e a raccontare a se stessi nuove bugie, in fondo poco diverse dalle vecchie.
…L’idea dell’indagine ambientata nel Terzo Reich non è ovviamente un’esclusiva di Kohout. Basti ricordare la trilogia Berlin noirdell’ispettore Bernie Gunther di Philip Kerr, o i gialli con l’investigatore Martin Bora scritti dall’italo-americana Ben Pastor. Ciò che rispetto a questi e ad altri autori di genere è decisamente originale, in Kohout, è lo stile. Questo romanzo ha decisamente una marcia in più rispetto a un pur grande thriller. E’ scritto in tono letterariamente alto e dà il senso di una storia vera, e non solo di un brillante marchingegno narrativo. Certe frasi si imprimono a fuoco nella memoria, così come la storia che schiaccia i protagonisti, perennemente sull’orlo del baratro, e che proprio a questa precarietà devono il proprio coraggio e la propria vitalità.
Un critico musicale, definendo l’opera del capitano Tobias Hume, musicista inglese del ‘600 vissuto tra guerre e pestilenze, ha scritto che l’intensità della sua musica derivava dalla precarietà "della vita e dell’amore prima della penicillina". Lo stesso potrebbe dirsi dei due straordinari investigatori creati da Kohout: esseri umani atterriti dal potere impazzito che li sovrasta e dall’orrore che li circonda, ma che non rinunciano ad affermare la prevalenza della vita sulla morte, della giustizia sul caos, del dovere sull’istinto di fuga…
da quiUn critico musicale, definendo l’opera del capitano Tobias Hume, musicista inglese del ‘600 vissuto tra guerre e pestilenze, ha scritto che l’intensità della sua musica derivava dalla precarietà "della vita e dell’amore prima della penicillina". Lo stesso potrebbe dirsi dei due straordinari investigatori creati da Kohout: esseri umani atterriti dal potere impazzito che li sovrasta e dall’orrore che li circonda, ma che non rinunciano ad affermare la prevalenza della vita sulla morte, della giustizia sul caos, del dovere sull’istinto di fuga…
…Come in un discreto film
da sabato sera, la narrazione si dipana agevolmente senza scossoni e
soprattutto senza rischi interpretativi. Ed è forse proprio questo il punto
dolente, Kohout non lascia nulla al caso, non rischia mai di lasciare il suo
lettore senza l'attesa esplicazione di moventi, turbe psichiche, slanci
emotivi, si perde in prolissi flashback che permettono un inquadramento fin
troppo univoco nel casellario dei tipi psicologici e degli stereotipi
narrativi: una eccessiva presenza materna trasforma un poveraccio in un
assassino di "puttane'', una tremenda tragedia familiare spinge il duro
investigatore tedesco alla ricerca del grande amore e al rifiuto del nazismo,
un colpo altrettanto duro trasforma il puro ed ingenuo Morava in un perfetto,
gelido segugio, il tutto condito dalle prevedibili angherie dei nazisti e dalla
sostanziale bontà dei personaggi cechi, che diventano negativi solo nel caso
che siano psichicamente deviati o esasperati dall'odio per gli invasori.
Va tuttavia riconosciuto
che tutto ciò è in realtà raccontato con una interessante alternanza di
focalizzazioni (che rischia però di diventare anch'essa schematica e
prevedibile), con begli spunti di discorso interiore e non senza avvincere
(almeno per le prime centinaia di pagine) un lettore che pretenda solo di
essere intrattenuto con una vicenda complicata quanto basta, ma che non gli
faccia doler troppo la testa. Kohout qui sembra non riconoscere diritto di
cittadinanza al non-detto, al suggerito, all'ellissi, alla doppia possibilità
interpretativa, all'intervento ispirato del lettore: sembra dire "B è
causato da A, a questo segue naturalmente quello, così ho scritto, e così, mio
caro lettore, devi capirla''. Sintomatico di questo approccio è il trattamento
della figura-chiave, quella dell'assassino, il cui passato traumatico l'autore
si premura di spiegarci fin nei minimi particolari e ripetutamente, come
avviene nei film d'azione in cui balenano dei flashback esplicativi che
rammentino allo spettatore assopito chi sia il dato personaggio o cosa lo abbia
portato a trovarsi lì nel dato momento.
E proprio quando magari
stiamo per riconsiderare in positivo il nostro giudizio complessivo sull'opera
perché se ne apprezza l'alternanza virtuosa nella gestione dei gruppi di
personaggi, o la riuscita commistione di sfondo storico e vicende private
spuntano frasi {\em cheap} come quella del tedesco "convertito'' Buback:
"Sempre che un individuo possa porgere le scuse a nome di un intero
popolo, ecco le mie'', quello stesso Buback che, illuminato (con ritardo) sulla
via di Damasco "reprimeva la propria identità di tedesco a vantaggio della
propria identità di essere umano'', o la straziante confessione della sua
amante: "Questo è successo: tu col tuo sesso mi hai toccato l'anima''. Sono
frasi massimaliste, momenti in cui l'autore vuole strafare, cadute di stile
che, nel loro voler essere segno di una veduta ampia e non preconcetta (verso i
tedeschi, non tutti "cattivi'') o dimostrazione della forza rigenerante di
sesso e amore purtroppo suonano come rubate alla letteratura d'appendice.
Confessiamo in chiusura
di non essere affatto esperti dell'opera di Pavel Kohout; è certo però che (per
tornare alle contrapposizioni cui accennavamo sopra) lo spessore di un grande
romanziere che domina il genere o lo trascende, di un autore non pacificato, si
misura anche per quello che riesce a tenere nascosto al suo pubblico, per le
domande che lascia senza risposta, per gli stimoli di ricerca e connessione fra
le parti che la struttura-romanzo dovrebbe lasciare nel campo del potenziale, e
non sminuire costringendoli nella feriale chiarezza del realizzato.
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