Li ho trovati che stavano riformando. Li lascerò che staranno riformando. Ho passato l’intera vita professionale a leggere di riforme. Lo considero
un mondo surreale, a sé stante. Qualcosa come il mondo dei miti, una dimensione rarefatta,
dove i grandi apparati delle Riforme vivono di vita propria, come giganteschi
animali alieni. Mentre le vicende storiche delle Riforme si svolgevano in quel
SuperMondo, io, nel mondo degli oggetti fisici (lavagne non-scrivibili, gesso
sbriciolato, rumori molesti, pareti di cartongesso, circolari insulse,
eccitazione da viaggio, visite, conferenze, sportelli e “giornate”), io tentavo di insegnare.
Ho fatto un calcolo approssimativo: in trent’anni mi saranno ormai passati
davanti qualcosa come 2.000 alunni. Mentre io
facevo il lavoro sporco, gli “esperti” ristuccavano il mondo. Lo dichiaro
apertamente, sentir parlare di riforme mi dà la nausea. Quando ho iniziato
grandinavano sperimentazioni e la parola magica era “Brocca”. Età di sogni e
fatiche sprecate. Ricordo colleghi ormai sull’orlo della giubilazione, agitarsi
euforici attorno al “progetto giovani” (una delle mode del momento); o svenarsi
a difesa di un proprio rigo da inserire nel Pei (Piano Educativo
Individualizzato). Era il tempo in cui iniziava l’effervescenza “da
informatica”, cresciuta sino a diventare febbre. A un certo punto sembrò che
più computer ci mettevi dentro, più la scuola migliorava. In automatico.
Verso il ’94 la già scassata baracca perse gli esami di riparazione. Era un
piccolo, usurato argine, ma ancora reggeva. Venne demolito e sostituito coi
“debiti”; con tutto il seguito che ben conosciamo. Poi, con la smania di
cancellare Gentile,arrivò Berlinguer. Teorico verboso dell’epocale
spostamento: dal docente al discente; dall’aula al territorio; dai programmi
alle attività. Non ricordo ebbro diluvio di parole pari a quello. Sino allo sfinimento
dovemmo ascoltare il magico risuonare delle formule: scuola-azienda, studente-cliente, preside-manager, offerta, progetti, successo
formativo. Il professore non più “davanti, ma accanto allo studente”. Anni di
smaniare confuso attorno all’idolo del “nuovopurchessia”.
Ricordo Collegi dei docenti passati ad approvare
praticamente tutto; nella selva delle braccia levate-approvanti c’era ogni umano profilo:
l’ilare-scettico, il frustrato-invidioso, il furbo obolo-calcolante, il
gloria-bramoso, il rassegnato-schifato, il quieto-vivente, il
servile-dirigente-prostrato, il pigro-senza-vergogna.Passava di tutto, dalle piante officinali ai laboratori teatrali, dal
body building all’Intervistiamo le nostre nonne, dalla visita al salumificio-modello alla
psicologia dinamica alla scientology (rammento un leggendario progetto
“Sviluppiamo i talenti”, illustrato con un linguaggio che neppure Ron Hubbard…;
e un’altra memorabile perla dal titolo wertmulleriano, il progetto, “Senza
carezze non si può camminare a petto in fuori”).
C’erano, poi, le invenzioni assolute: ricordo
ancora l’ilarità incontenibile di una sera in cui il dirigente ci parlò dei
“professori-antenna”, destinati a captare, in esclusiva, non ricordo bene che
cosa. Per un attimo vidi la Scuola Radio Elettra di Torino. Un’ orgia
demenziale. Me l’hanno fatta odiare la parola “progetto”. Venne la Moratti, con le sue legioni di esperti e teoreti, ecol suo nuovo
diluvio di acronimi. Ricordate? Osa, Ofp, Psp, Lep, Ua, Pecup, Larsa. Campano ancora? Vegetano?
Sono morti?
Ne sono convinto: esiste una fisica ed una
metafisica della scuola. Fisico (molto fisico) è stato quel
tubo rotto del bagno accanto alla mia quarta, che per un anno intero ha
funestato le mie ore in quell’aula. Vibrava ad ogni scarico, con elaborate
modulazioni corrispondenti ai diversi stadi di riempimento della vaschetta. E
fisici (molto fisici) sono i colleghi che, puntualmente, a fine quadrimestre (e
a fine anno) si portano gli alunni in sala professori o in altri angolini
liberi, perché, “oddio! non ho voti!…vogliono rimediare, devo
interrogarli…”. E fisiche (molto fisiche) quelle poche disperate ore
pomeridiane con le classi d’esame, perché, “il compito di matematica? questi?
neppure metà, ne fanno…”. E fisicissime le corse penose e trafelate, a Maggio,
per “finire il programma”. Già, i programmi: Loro Altezze Riformanti mi
perdonino se dico parolacce. I Programmi: cioè tutte le storie dei migliori
uomini che ci hanno preceduto; e che, nella scuola, ancora vivono.
Sublime metafisica, è stato, invece, quel lungo declamare su “tramonto
dell’idea di classe”, “fluidificazione dei contenuti”, “destrutturazione della
didattica disciplinare” (mai sintesi più perfetta del vacuo e dell’ opulento);
come metafisicissima resta quella buona ora e mezza passata in Collegio a
parlare diquali funzioni-obiettivo introdurre e quali
requisiti richiedere ai candidati (lo confesso, mi hanno cambiato la vita, le
“funzioni-obiettivo”); e le ricorrenti, micidiali dispute sui “criteri di
valutazione”; che – non sia mai! – debbono tendere alla uniformità, “fatta
salva l’autonomia di ogni docente e consiglio di classe”. Come dire, “Colleghi,
siamo diversi, e tali resteremo”. “Dobbiamo stabilire i criteri…”, la risentirò
in punto di morte la fatidica frase. Ma sarà troppo tardi. Mentre io, nel fuoco
di un’aula, mi lavoravo i cervelli dei piccoli scimpanzè evoluti, e me la
vedevo con i loro potenti spiriti animali; loro, gli “esperti”, si inventavano
osa, pecup e larsa. Mentre io mi giocavo l’azzardo di una lezione
frontale, loro declamavano ad altezze stratosferiche circa la superiorità delle
competenze sulle conoscenze; del saper fare sul sapere.
E che arzigogoli dialettici! che dire forbito! che dispute! che
sottigliezze, per spiegarci che gli inerti contenuti non bastano; occorre formare “menti critiche”. Un “grazie” di cuore ai nostri Teoreti;
senza di loro non ci saremmo mai arrivati. Mentre io, cercando l’urto di una
parola capace di toccare una corda profonda, gli parlavo della singolarità di
Auschwitz, loro istituivano Giornate Ufficiali della Memoria e promuovevano il turismo di massa in Polonia; con studenti che passano con auricolari e lettore mp3 sotto il ferreo arco dell’“Arbeit macht
frei”; e mangiano patatine in pieno lager. Non è che, per
caso, rileggere Anna Frank o Primo Levi nella solitudine di un pomeriggio a
casa, sarebbe assai meglio? Tornare, cioè, a quei privati andirivieni della
mente dove soltanto si formano coscienza e intelligenza?
Anche quest’anno ho insegnato. Anche quest’anno, convinto che la scuola sia
più un “dentro” che un “fuori”, più un viaggio mentale che tante piccole fughe.Intanto il tubo vibrava. Verso Aprile mi sono sfogato con un giovane bidello;
e ho fatto un po’ lo spavaldo, “se mi date una chiave, lo stringo io quel
dado…”. Vittorio mi ha smontato, “No, professore, non è solo il tubo che vibra,
è l’intera campana…è successo anche a casa mia.” Non distinguevo tubo da
campana. Mancava la competenza.
da qui
Impietosa e veritiera analisi di una condizione che condivido. Putroppo.
RispondiEliminaè una storia senza fine, purtroppo :(
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