venerdì 9 febbraio 2018

Le grandi migrazioni - Rino Genovese


Nell’immaginario europeo l’Africa è il continente dell’immobilità, da sempre relegato ai margini della storia. Nella realtà non è mai stato così: i movimenti migratorî interni – per sfuggire alla carestia, alla siccità, alla desertificazione – sono frequenti in quelle popolazioni. A essere mutata, negli ultimi decenni, è in larga misura la direzione del movimento, il che indica l’uscita di una parte di quelle donne e di quegli uomini dalla rassegnazione: da sud verso nord, cioè verso i ricchi paesi europei, alla ricerca di una vita liberata dalla costrizione del bisogno.
Chi da noi non ha compreso che questo movimento è inarrestabile (epocale, si direbbe, con espressione un po’ roboante) si condanna a restare fuori, ancorandosi ai vecchi pregiudizi, dal processo storico contemporaneo. Di una contemporaneità – è bene ripeterlo – composta da una congerie sfasata di tempi diversi, in cui i più recenti ritrovati della tecnica si combinano, anche nell’Occidente moderno, con i miti e le ubbie del passato, con le chiusure nazionalistiche e identitarie ovunque prepotentemente risorte.
L’unico modo efficace per cercare di regolamentare, per quanto possibile, il flusso migratorio verso l’Europa sarebbe quello di lanciare un messaggio di apertura delle frontiere. Presso le ambasciate europee, nei paesi africani più interessati ai movimenti migratorî, dovrebbero insediarsi delle vere e proprie “agenzie di collocamento”, e, sulla base di un piano generale dell’immigrazione, andrebbero costruite “liste di attesa” orientate alla ricerca di manodopera per i grandi lavori socialmente utili. In Italia ne avremmo un particolare e urgente bisogno, se si considera la fragilità del nostro territorio segnato dai terremoti, dal dissesto idrogeologico, da un’incuria e da una speculazione di lunga data che richiedono di essere risanate.
Naturalmente per realizzare qualcosa del genere occorrerebbero un accordo e un impegno finanziario a livello europeo. Altro che austerità! Proprio il contrario: andrebbe messo in atto un programma di finanziamenti pubblici sulla base di una fiscalità progressiva comune, se non a tutti, almeno alla maggior parte dei paesi europei.
Solo così il vecchio continente si mostrerebbe all’altezza dei tempi, solo così avrebbe ancora una sua missione e un significato storico di progresso. Diversamente, sarà scavalcato dai trafficanti di esseri umani che si collocano – piaccia o non piaccia – sul fronte d’onda di una storia che va tutta nel senso delle grandi migrazioni. In alternativa, l’Europa si troverà sempre di più a delegare alle organizzazioni umanitarie il salvataggio dei migranti, quindi, nei fatti, la gestione dei flussi. Per quanto riguarda l’Italia, non vale servirsi di uno degli articoli della deprecata Bossi-Fini per perseguire un reato fantomatico come quello di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” contro navi di soccorso che si accordano con i trafficanti, senza peraltro ricavarne alcun vantaggio economico. La maniera migliore per soccorrere delle vite in pericolo, infatti, è evitare che queste finiscano nel pericolo. È veramente da ipocriti voler prescrivere, sotto la minaccia dei rigori della legge, che il rischio della vita diventi concreto prima che l’intervento di soccorso possa aver luogo.

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