[Traduzione
a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Robert Roth pubblicato su Pambazuka]
6 luglio 2018, Haiti
esplode. Gli
abitanti, a decine di migliaia, si riversano nelle strade di Port-au-Prince per
chiedere le dimissioni del presidente Jovenel
Moïse. A scatenare le proteste la comunicazione del governo di voler
ridurre o, comunque, di tagliare i sussidi
sul carburante. Azione, questa, che avrebbe comportato un
aumento del 38% nel prezzo della benzina e del 50% in quello
del cherosene a 4 dollari al gallone [circa 95 cent/litro NdT].
Da qui la rapida diffusione dell’insurrezione nel
Paese per tre giorni interi. Port-au-Prince
era come paralizzata. Nelle strade, i manifestanti in collera hanno
eretto barricate, incendiato pneumatici e saccheggiato i negozi dei ricchi,
così come gli hotel di lusso nella zona di Pétion-ville.
Subito dopo, il Governo ha revocato l’aumento dei
prezzi sul carburante (almeno per ora) e il Primo Ministro, Jack Guy Lafontant
– lo stesso che lo aveva annunciato – ha rassegnato le dimissioni. Nel Paese è
stato poi inviato un gruppo di marines
americani con lo scopo, forse, non solo di rafforzare la sicurezza all’ambasciata
americana ma anche di lanciare ai cittadini un
infausto avvertimento su ciò che sarebbe successo se le proteste
fossero continuate.
Il Governo Moïse aveva aspettato fino all’inizio dei Mondiali prima
di rendere ufficiale la notizia, nella speranza che gli abitanti fossero così
intenti a festeggiare da ignorare l’ennesimo attacco alle loro già precarie
condizioni di vita. Ma i segni premonitori erano evidenti già da febbraio,
allorché il nuovo Governo aveva raggiunto un
accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) su un pacchetto di austerità in
cambio di un prestito di 96 milioni di dollari. Anche dopo le proteste, il FMI
ha insistito sulla necessità di introdurre quel brusco aumento di prezzi ma in
maniera più graduale. Chiaramente, questa vicenda non si è ancora conclusa.
Anche i principali media americani sono stati colti di
sorpresa da questa potente impennata popolare. Dopo aver ignorato per mesi le
continue manifestazioni contro le
elezioni “rubate” che hanno portato al potere l’attuale Governo
haitiano, organi di stampa, tra questi New York Times e Miami
Herald, potevano solo immaginare le cause alla base della rivolta. CNN, ad
esempio, nei suoi servizi, si è concentrata sulla difficile condizione dei missionari americani rimasti
“intrappolati” nel Paese. I media erano inoltre strapieni delle solite parole
cariche di imprecazioni razziste come: “rivoltosi“, “sciacalli“, “violenza“.
Ciò che i titoli di giornale, però, non dicevano era
che il Governo Moïse agisse già in
un’atmosfera di generale diffidenza e rabbia, sentimenti questi,
originatisi ben prima dello scoppio della rivolta. L’attuale Governo, nato da
due tornate elettorali così piene di brogli
e soppressioni di voti, denunciate dai partiti di opposizione come
“colpi di Stato elettorali”, non gode di alcuna legittimità tra i cittadini. Il
primo round di elezioni nel 2015 era stato annullato dopo settimane di proteste
di massa sostenute da Fanmi
Lavalas, il partito del primo presidente di Haiti eletto
democraticamente, Jean-Bertrand
Aristide.
Le manifestazioni, nella stragrande maggioranza
pacifiche, sono state accolte da manganelli, agenti chimici, gas lacrimogeni e
proiettili, ma nonostante ciò il
movimento popolare ha resistito, costringendo, infine, ad annullare le
elezioni e programmarne di nuove per l’ottobre 2016. Quest’ultime sono state
ancora un’altra farsa e si sono concluse, nel febbraio 2017, con l’insediamento di Jovenel Moïse come
il nuovo presidente.
Un simile procedimento elettorale ha generato
una presidenza corrotta. A seguito di
un’indagine da parte di un agenzia di controllo bancaria, è risultato che
Moïse, ancor prima di insediarsi come presidente, era stato implicato in
una faccenda di riciclaggio di
denaro sporco. Fin dal 2012, quando era al potere il suo mentore, l’ex
presidente Michel Martelly, il riciclaggio di denaro sporco avrebbe
fruttato a Moïse oltre 5 milioni di dollari. Così, in uno dei suoi primi
atti da presidente c’è stato quello di sostituire il direttore dell’agenzia
investigativa con uno dei suoi accoliti allo scopo di sopprimere l’indagine.
Gli organizzatori rurali si sono pronunciati contro la
decisione di Moïse di espropriare
i terreni nel Nord del Paese per coltivare le sue piantagioni di
banane. In questo modo, i piccoli agricoltori non solo hanno perso la terra ma
quella tanto acclamata attività di esportazione ora sembra essere stata un’effimera trovata elettorale.
In realtà, sono stati spesi 25.000 dollari per esportare
in Germania solo un container di banane che ne valeva 10.000. Ciò è parte di
uno schema in cui i funzionari di Governo promuovono i progetti, ottengono
finanziamenti, si appropriano dei terreni e poi intascano i soldi anziché
occuparsi dello sviluppo dell’agricoltura o delle infrastrutture del Paese.
Inoltre, sta per scoppiare un enorme scandalo in
seguito al furto pari a 3,8 miliardi di dollari nei
prestiti di Petrocaribe concessi ad Haiti da parte del Governo
venezuelano. Non è un errore, si tratta di 3,8 miliardi di dollari. Questi
fondi servivano per ridurre i
costi energetici e finanziare l’istruzione, l’agricoltura e le infrastrutture,
invece sono finiti nelle casse dei funzionari di governo, compresi i membri del
Parlamento. Dov’è il denaro di Petrocaribe? chiedevano
insistentemente gli haitiani in una manifestazione anti-governativa lo scorso
24 agosto. Dov’è il denaro per gli ospedali alla
disperata ricerca di sangue e di nuove attrezzature mediche? Dov’è il denaro
per l’istruzione, mentre le famiglie si preparano a mandare i propri figli a
scuola con pochissimi o quasi nessun sussidio per acquistare materiali
scolastici e uniformi?
Nella regione
di Artibonite, il cuore dell’agricoltura haitiana, le piogge recenti
hanno provocato pericolose alluvioni dovute alla presenza di infrastrutture
trascurate. Eppure, gli operatori ecologici non sono stati ancora pagati per
ripulire i canali e gli scarichi fognari, nonostante la stagione degli uragani
sia alle porte.
A Port-au-Prince, la polizia ha bruciato le bancarelle
del mercato delle donne, una
forma di gentrificazione particolarmente crudele che lacera il
cuore della vita economica di Haiti e la capacità di così tante famiglie di
riuscire a sopravvivere. Le
prigioni di Haiti traboccano di detenuti e molte e frequenti sono
epidemie che si diffondono rapidamente da una sovraffollata cella all’altra.
Quando i cittadini sono scesi in strada lo scorso
luglio, chiedevano di porre fine a tutto ciò. In pratica, stavano
comunicando al Governo che non
ci sarebbe stata pace senza giustizia. La loro protesta andava ben oltre
la richiesta di ridurre l’aumento dei prezzi del carburante e riguardava soprattutto
la richiesta di dimissioni del
Governo Moïse.
Le proteste dovevano ricordare che il movimento
popolare di Haiti – da tempo bersaglio sia del Governo americano che dell’élite
haitiana – resta vitale e potente. Malgrado i due
colpi di Stato orchestrati dagli USAcontro i Governi dell’ex presidente
Aristide, malgrado una sofisticata campagna sullo stile COINTELPRO mirata a
dividere ed emarginare Fanmi Lavalas e i suoi alleati, malgrado i 14 anni di
occupazione militare delle Nazioni Unite, malgrado le elezioni “rubate” e,
infine, malgrado la feroce miseria economica a cui fa fronte la maggior parte
delle famiglie, il movimento
popolare è sopravvissuto.
Perché? Questo è un movimento che ha radici profonde e resta la
forza centrale nel Paese capace di costruire un’alternativa
alla corruzione e alla repressione. Durante gli anni di Governo del
partito Lavalas sono state costruite più scuole che in tutta la storia
precedente di Haiti. In tutto il Paese sono sorte delle cliniche, dopo le insolite somme di denaro spese
dal Governo di Aristide sulla sanità. Quando poi il terremoto ha colpito il
Paese nel 2010, uccidendo oltre
300.000 persone e costringendone più di un milione a vivere sotto i
tendoni allestiti in campi estremamente sovraffollati, sono stati i semplici
militanti a darsi subito da fare, anche se con fondi limitati, per mettere su
delle cliniche mobili e fornire scorte di cibo.
In seguito alla devastazione provocata dall’uragano Matthew nel 2016, Fanmi
Lavalas ha allestito delle carovane per fornire aiuti alle regioni colpite. Col
peggiorare delle condizioni di vita dei cittadini, le organizzazioni locali
sono state accanto ai poveri – sostenendo gli insegnanti in sciopero, gli
operai del settore tessile, gli studenti, le donne che lavorano nei mercati,
nella difesa contro gli attacchi del Governo ma anche aumentando la portata dei
media indipendenti al fine di combattere le menzogne delle stazioni radio e
televisive coordinate dalle élite che gestiscono le frequenze nel Paese.
Un primo esempio della visione del movimento per una
Haiti democratica e aperta a tutti può essere osservato nel lavoro dell’Università della Fondazione Aristide (UniFA).
Fondata nel 2001 con l’inizio di un nuovo mandato del presidente Aristide, la
scuola medica di UniFA venne violentemente chiusa dopo il colpo di Stato del
2004 e il suo campus fu occupato dalle truppe americane e dell’ONU. Quando il
presidente e sua moglie, nonché collega, Mildred
Trouillot Aristide, tornarono ad Haiti nel 2001 dopo l’esilio
forzato in Sudafrica, ecco l’annuncio che UniFA sarebbe stata riaperta e
ampliata. Come promesso, infatti, a sette anni dal suo ritorno, UniFA ha tenuto
la sua prima cerimonia di laurea.
Davanti a oltre 1000 persone, UniFA ha fatto
laureare 77 medici, 46 infermieri e 15 avvocati.
Molti dei laureati provenivano da comunità
povere con uno scarso accesso all’istruzione superiore. Inoltre, i
medici laureati ad UniFA lavorano in zone che hanno visto raramente, se non
mai, un medico prima d’allora. Con 1600 studenti di medicina, infermieristica,
giurisprudenza, ingegneria, fisioterapia e formazione continua, questo è solo
l’inizio, un microcosmo dei tipi di progresso che Haiti potrebbe fare avendo al
potere un autentico Governo popolare. Il
contrasto non potrebbe essere più marcato – istruzione o
militarismo, democrazia o autoritarismo, inclusione o esclusione, sviluppo o
corruzione, autodeterminazione oppure occupazione. Con la rivolta di luglio, il
popolo di Haiti ha nuovamente reso noto la propria decisione.
Nessun commento:
Posta un commento