venerdì 12 ottobre 2018

Il Naufragio – Alessandro Leogrande

quando a Venezia una nave da crociera colpisce o rovescia una  piccola barca nessuno direbbe che la barchetta se l'è cercata.
quando il 28 marzo del 1997 la Katër i Radës era affondata, col suo carico di morti, la versione ufficiale della Marina Militare fu che se l'erano cercata, avevano voluto speronare le navi italiane che facevano il blocco navale.
c'è voluto poco a capire come erano andate le cose, la nave da crociera (scusate, la nave militare italiana), un muro alto d'acciaio, vista dalla Katër i Radës, aveva speronato la barca dei poveracci, mandandola a picco.
qualcuno dei militari italiani, tecnicamente degli assassini, non ci dormiva la notte, e ha cominciato a raccontare le cose com'erano state.
a quel comportamento d'assassini si arriva dopo il messaggio politico di essere fermi, di non far passare gli albanesi, (quasi) a qualunque costo, questo era il messaggio dei mandanti.
Alessandro Leogrande chiama per nome i sommersi e i salvati della barca albanese, parla con le famiglie, i superstiti, segue le udienze del processo, dà voce agli annegati.
e racconta dei nostri militari, dei comandanti assetati di sangue.
un libro da leggere, per non dimenticare i fatti recenti che diventano storia ignobile.










Per lui l’Albania e gli albanesi non erano solo temi che soddisfacevano la sua curiosità intellettuale. Alessandro si sentiva legato spiritualmente con questo luogo in un modo del tutto naturale. In poche parole, era uno di noi.
Ecco, scrivere con grande lucidità mentale ed un profondo calore del cuore, questa era un’altra sua caratteristica speciale.
Ne ebbi la conferma nel novembre del 2012. Insieme con il personale della Casa Editrice “Dudaj” andammo con Alessandro a Valona, all’università della città, per presentare il suo libro Il Naufragio, uscito in albanese. La scelta di Valona non fu casuale, perché il libro di Alessandro si occupava della vicenda della piccola nave albanese “Katër i Radës”, che stipata di gente fu speronata da una nave militare italiana e naufragò nel canale di Otranto nell’aprile del 1997. Vi furono decine di morti e di dispersi, uomini, donne e bambini. L’Albania era caduta in quel periodo in un tumultuoso caos, dopo il fallimento degli schemi piramidali. Quella gente cercava di scappare sperando di arrivare sulle coste pugliesi.
Alessandro ha condotto per anni un’indagine eccelsa su questa vicenda, e posso dire senza esitazione che quel suo libro è un modello di giornalismo investigativo, e dovrebbe servire come esempio specialmente per i media albanesi che da tempo sono sprofondati nel più misero degrado morale.
Oltre ai tanti studenti presenti a seguire la presentazione del libro e l’intervento di Alessandro, nell’auditorium dell’università c’era anche un gruppo di persone che, in qualche modo, contrastava con gli universitari. Era gente semplice, erano venuti dalle periferie e anche dalla provincia, erano i familiari delle vittime coi quali Alessandro aveva stretto amicizia durante il suo lavoro. Il modo in cui lo hanno aspettato, lo hanno incontrato dopo la lezione, hanno parlato con lui, mostrava che Alessandro era come uno di famiglia. Alessandro si immedesimava coi suoi “personaggi” e con il loro dolore. Era una mente brillante ed un’anima nobile…

Il reportage di Leogrande alterna le storie delle vittime e dei loro familiari, dei sopravvissuti e dei comitati in cui si sono riuniti, all’approfondimento del contesto politico e sociale di riferimento e alla ricostruzione delle difficili indagini giudiziarie e dei processi riguardanti la tragedia del Venerdì Santo. Il modello letterario è quello di A sangue freddo (In Cold Blood, 1965) di Truman Capote, ma tanto l’inchiesta quanto il saggio, per Leogrande, vanno «sventrati», come l’autore spiegò in un intervento a Gioia del Colle : alternare la prima persona alla terza, l’oggettività alla soggettività, l’approfondimento alla narrazione, si rende necessario per restituire non soltanto la complessa dimensione storico-politica della vicenda, ma anche e soprattutto quella umana, individuale, che altrimenti rischierebbe di sfuggire. L’esempio di Anatomia di un istante (Anatomía de un instante, 2009) dello scrittore spagnolo Javier Cercas, autore di un’inchiesta sul colpo di stato del 23 febbraio 1981 in Spagna, influenza poi la struttura del testo di Leogrande: la penna di Cercas si sofferma, infatti, sulle biografie dei soli tre parlamentari che, di fronte alle minacce del colonnello Tejero, restarono seduti ai loro posti sfidando i golpisti e finisce per tornare, pressoché in ogni capitolo, su quei secondi decisivi che restano impressi nella mente di tutti gli spagnoli e che furono trasmessi in televisione in lieve differita. Analogamente, il racconto di Leogrande torna più volte al momento del naufragio, alle concitate manovre che si svolsero sulla nave albanese e su quelle militari italiane che si trovavano, nel tragico Venerdì Santo del 1997, nel Canale d’Otranto. Un po’ alla volta, però, si allarga lo sguardo al contesto di riferimento e i dati che l’autore cita nel libro concorrono a motivare un giudizio critico sugli eventi narrati…

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