Sono figlia
d’Arma. Così si dice nel gergo di chi ha o ha avuto un padre carabiniere. Anche
se carabiniere, mio padre, lo fu solo per cinque anni. Arruolato durante
la seconda guerra mondiale per fame, emigrato da Reggio Calabria in cerca di un
lavoro. Si congedò per poter sposare la donna che amava: allora, era il 1949,
un carabiniere non poteva contrarre matrimonio prima di dieci anni di servizio.
Mio padre
carabiniere fu per tutta la vita sarto. Ma per tutta la vita rimase
carabiniere. Ho vissuto infanzia e adolescenza circondata dai segni: le divise
nere che cuciva ai suoi ex commilitoni poi ufficiali e alti ufficiali; i
bottoni grandi con la fiamma, i cappelli, tanti alamari, i calendari dell’Arma,
le sfilate di maggio a Piazza di Siena. Il 5 giugno. E poi le frasi che si sono
incistate nella mia testa: nei secoli fedele, obbedir tacendo e tacendo morir,
in servizio permanente effettivo 24 su 24.
Folklore
dell’Arma, si dirà. Certo. Anche. Ma il mio grado di fiducia nell’Arma dei
Carabinieri non è mai venuto meno. Eppure per conservarlo, ora, e in questi
ultimi anni, c’è bisogno che qualcosa cambi.
Ciò che Ilaria
Cucchi ha fatto in questi nove anni di coraggiosa (e spesso solitaria)
battaglia per la giustizia che si deve a suo fratello Stefano, deve essere
considerato dall’Arma dei Carabinieri un regalo. È attraverso la vicenda di cui
Stefano Cucchi, la persona Stefano Cucchi, il cittadino Stefano Cucchi, è stato
vittima sacrificale che l’Arma deve riconquistare quella fiducia che gli
italiani le hanno sempre consegnato. Lo può fare solo istituendo una indagine
seria, profonda, lunga, estenuante nei suoi ranghi.
L’omertà può
fare molto male all’Arma. Può distruggere la sua reputazione. Può sporcare la
memoria di chi, tra i carabinieri, ha perso la vita per fare il suo dovere. Può
essere una slavina che non difenderà un corpo che vive su stipendi spesso
ridicoli e poco dignitosi per il lavoro che si è chiamati a compiere.
Le notizie di
questi ultimi anni, mesi, giorni sono a dir poco preoccupanti. Sono sirene che
devono rompere il silenzio. La condanna di uno dei due carabinieri accusati di
violenza sessuale a Firenze, e il rinvio a giudizio dell’altro accusato. I
risultati dei RIS sull’omicidio di Serena Mollicone che indicano la caserma di
Arce il luogo in cui si è consumato l’assassinio. La scioccante deposizione di
un carabiniere, Francesco Tedesco, nel processo per trovare la necessaria e
dovuta verità sulla morte di Stefano Cucchi. Queste notizie impongono un esame
di coscienza dell’Arma, a tutti i livelli, per capire non solo cosa sia
successo, ma perché è potuto succedere. Ripulire gli alamari delle divise dei
carabinieri è un dovere e, allo stesso tempo, un atto necessario perché l’Arma
possa ancora dirsi, in pienezza, un corpo a protezione e difesa dei cittadini.
Continuerò a
dire che sono figlia d’Arma. E proprio per questo dico grazie a Ilaria Cucchi.
da qui
Significativa questa lettera. Ilaria Cucchi ha avuto un coraggio e una tenacia esemplari. Grazie, Ilaria. A nome degli italiani.
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