lunedì 22 ottobre 2018

Cosa succede di notte nelle celle di un campo di detenzione in Libia. Un racconto - Giuseppe Marinaro




La testimonianza di Nour, una ragazza è arrivata a Lampedusa il 13 ottobre. Sull’isola i migranti continuano a sbarcare in piccoli gruppi e con barchette di legno, per lo più tunisini. Il lavoro degli operatori di Mediterranean Hope

 “Nour ha disegnato su un foglio di carta le celle e le quattro porte blindate. Celle separate per uomini e donne. E ha raccontato di come ogni sera le donne venivano prese e portate nella cella dopo la terza porta blindata. Quattro uomini ogni donna. Quattro miliziani libici per ogni prigioniera somala, o eritrea. E ogni sera venivano violentate e stuprate ripetutamente. Da quattro sconosciuti. Ogni sera. Per più di un anno. E quando una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci. Fino all’aborto e oltre. Fino a quando il feto non veniva fuori dal corpo della donna”.
Questa è una delle terribili testimonianze raccolte dagli operatori di Mediterranean Hope, programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che vivono a Lampedusa e mantengono attivo un Osservatorio che svolge un lavoro di primissima accoglienza e mediazione con i migranti.
Frammenti di vita e di orrore riportati da Nev-notizie evangeliche. La testimonianza di Nour è stata raccolta nei giorni scorsi; la ragazza è arrivata a Lampedusa con lo sbarco del 13 ottobre. Sull’isola i migranti continuano ad arrivare in piccoli gruppi e con barchette di legno, per lo più tunisini. Mentre il viaggio dalla Libia sembra aver preso nuove modalità, con molti trasbordi tra barche piccole e più grandi fino all’arrivo in acque internazionali, come racconta Imad, anche lui arrivato il 13 ottobre: “2700 dollari per il viaggio dall’Egitto a Lampedusa, comprensivo di viaggi in camion e in barca. La detenzione prima in una casa e poi in una sorta di campo profughi”.
Le violenze e la fame
E poi il viaggio, affrontato con altre 33 persone, provenienti da Libano, Egitto, Somalia, Eritrea, su una barca piccola che li ha caricati su una nave e scaricati a 5 ore dalle coste di Lampedusa per permettergli di raggiungere autonomamente la costa. Le persone più scure venivano fatte stare nella stiva mentre egiziani e libici potevano restare sul ponte. I migranti nell’hotspot dell’isola spesso riescono ad arrivare in paese e Mediterranean Hope mette a loro disposizione un Internet point per contattare i familiari e rassicurarli comunicando il proprio arrivo.
Abdi, invece, è partito dall’Eritrea, ha attraversato l’Etiopia e poi passando dal Sud Sudan è arrivato in Libia dove ha passato un anno e sette mesi in un luogo chiuso e angusto, venendo picchiato tutti i giorni dai ‘Gangsterman’, fino a quando gli hanno fatto chiamare la madre, in Eritrea, chiedendole 11 mila dollari per il riscatto. Solo dopo aver pagato è stato imbarcato ed è arrivato a Lampedusa. Zakaria viene da Asmara ed è arrivato in Libia attraverso il Sudan. Lì è rimasto per due anni in prigione, venendo spostato di città in città, fino all’imbarco, al viaggio e allo sbarco a Lampedusa. Marta Bernardini, che coordina il programma MH sull’isola afferma che “queste storie, piene di brutalità e violazioni dei diritti degli esseri umani dimostrano una volta di più che si deve lavorare per creare dei passaggi sicuri per chi fugge da guerre e povertà, che i corridoi umanitari sono una soluzione possibile per contrastare il cinismo dei trafficanti, della politica che ha chiuso ogni via legale di accesso in Italia e in Europa, e l’egoismo di chi invoca frontiere chiuse e blocchi navali”.

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