martedì 16 ottobre 2018

Scusa Stefano Cucchi - Alessandro Ghebreigziabiher




Scusa, Stefano.
Scusaci.
Scusa me, sicché la cosa che più mi riguardava da vicino – ovvero che frequentasti le comunità del CEIS quando ancora ci lavoravo – l’ho scoperta solo dopo la tua morte.
Scusa altresì il sottoscritto, e ogni abitante di questo frammentato paese, se non abbiamo ancora compreso che ciò che della tua vita riguardava noi tutti era tutto.
Tutto quel che osserviamo, di vite come la tua, ma dimentichiamo con estrema facilità, e quel che non vediamo perché scegliamo di guardare il lato gradevole del monitor.
Scusa, davvero, per coloro che ancora non ti hanno domandato scusa.
E scusa anche per quelli che insistono a usare la droga come il peccato che spesso assolve tutti, perfino i veri colpevoli.
Per questa ragione, tu e tutti gli altri, anime fraintese, scusateci, per aver scambiato la vostra fragilità per una maledetta siringa o un pugno di polvere miracolosa.
Al punto che gli incurabili dipendenti dalla roba proibita sono coloro che la vendono, ne parlano, ci guadagnano, ma giammai la usano, approfittandosi dell’ingenuità delle vittime sulla via.
Scusa, Stefano, se in molti hanno avuto bisogno di vedere un film, per riflettere sulla tua storia.
Scusa, allora, per la verità che molti di noi non dicono.
Che tutto quel che abbiamo letto sui giornali, visto sulle prove inconfutabili delle tue carni impunemente deturpate, e vergognosamente infamate dai governanti che nel tempo si sono succeduti, lo sapevamo già.
Scusaci, Stefano, perché sei nato in una nazione che nega l’evidenza fino alla morte, e per alcuni – come nel tuo caso – anche anni dopo.
Scusa, perché malgrado quel che ti è accaduto, osservando la classe politica attuale ho la netta impressione che succederà ancora ad altri.
Scusaci, poiché ho paura che stia avvenendo proprio ora, dove intervenire richiede una coscienza civile e una semplice empatia umana che ancora non abbiamo.
Scusaci con tua sorella e la tua famiglia intera, non per il silenzio di oggi, ma per l’indifferenza e addirittura l’ostilità di ieri.
Scusa per i tuoi fratelli di sorte grama martirizzati sotto un velo di amara ingiustizia ancora più spesso.
Scusa perché le parole, ora, servono a poco.
Persino quando chiedono scusa.
Scusaci, Stefano, semmai un giorno riusciremo a mettere le basi per una società di una civiltà sufficiente acciocché la tua vicenda risulti inammissibile.
Perché in quel caso ci renderemo conto che non ci sarebbe voluto molto a salvare la tua vita e quella di altri, troppi, come te.
Scusa, perciò, per ogni istante della tua discesa verso la fine in cui qualcuno avrebbe potuto afferrare la tua mano e riportarti in superficie.
Scusa per la violenza legalizzata, Stefano, scusa per tutti coloro che ancora oggi, in questo preciso istante, lavorano incessantemente a ogni livello, con gesti e parole, leggi e proclami per tenere vivo il fuoco dell’odio tra di noi.
Scusa per il futuro che non hai avuto.
Scusa se in tanti non hanno ancora compreso che quando è lo Stato a uccidere vuol dire che siamo tutti colpevoli, che non è solo compito dei familiari o degli amici della vittima, rimediare, dare un senso all’inaccettabile lutto e impiegare ogni sforzo affinché il crimine sociale non si ripeta.
Potrei e potremmo andare avanti a scusarci con te finché avremo respiro e forse dovremmo farlo.
Anche questo vuol dire ricordare.
Perché la conservazione e la difesa della memoria deve cominciare con i fatti dei quali più ci vergogniamo.
Quindi, caro Stefano.
Da oggi in poi.
Ricominceremo da qui.
Scusa.


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