È
riapparso, a cura dell’editore Zambon, un libro di Felicia Langer, “Con i miei
occhi”, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1976.
Felicia
arriva in Israele nel 1950, dalla Polonia, studia giurisprudenza fra il 1959 e
il 1965, anno della laurea e inizia ed esercitare la professione l’anno
successivo, avvocato, donna e comunista.
Il
libro è praticamente un diario della sua attività di avvocato dei prigionieri
palestinesi. Non è fuori luogo l’aggettivo kafkiano per i processi di Felicia,
quando va bene, nella lettura della sentenza da parte di un giudice, militare,
naturalmente, appare una riga finale in cui si dice che comunque il prigioniero
non verrà scarcerato, anzi altri anni di galera verranno attribuiti, così come
viene.
I
prigionieri palestinesi hanno già una condanna in partenza, è che sono
palestinesi e sono ancora vivi, e cattivi, gli unici palestinesi buoni sono
quelli morti.
Non
si contano i casi di trattamenti come quello applicato a Stefano Cucchi, le torture
erano continue, Felicia ne cita molti casi.
Nel
libro Felicia appunta le storie terribili con le quali si trova a combattere
tutti i giorni, i bambini, le donne e gli uomini in balia di un sistema
giudiziario fascista, come sostenevano i terroristi ebrei a proposito delle
norme giuridiche britanniche, parte integrante del sistema giudiziario
israeliano, al di fuori delle regole dei paesi civili.
Il
caso della detenzione amministrativa è il motore di quel sistema giudiziario,
arresti senza motivo, senza prove, senza data di un processo, come nel
Sudafrica dell’apartheid, o in tutte le dittature militari e fasciste.
Quando,
comunque vada, come Sisifo, Felicia vede tutti i suoi assistiti, dopo la fatica
per riuscire a sostenere le loro ragioni, comunque condannati, ad anni di
galera, alla distruzione delle case di chiunque venga in contatto con qualche
prigioniero palestinese, alla violazione di tutte le convenzioni
internazionali.
Anche
adesso, come ai tempi di Felicia, Israele ha un obiettivo, diminuire il numero
dei palestinesi, farli vivere nel terrore, rubargli le terre e le case e
l’acqua, nei territori occupati e non solo.
Esattamente
come con gli indiani degli Stati Uniti, e gli indios del Centro e Sudamerica,
come con gli aborigeni australiani l’obiettivo è eliminarli, non come negli
ultimi secoli, ma con la detenzione amministrativa, le torture, la demolizione
delle case, la distruzione dei villaggi palestinesi per costruire colonie
israeliane si raggiungono gli stessi obiettivi dei genocidi.
Nel
libro quella strategia è chiara, tutto è lecito per le costruzione delle
colonie. Per qualsiasi paese del mondo quei comportamenti non verrebbero
ammessi, ma si sa, agli israeliani sionisti, amici dei potenti del mondo, tutto
è concesso.
Addirittura
Felicia si trova a difendere dei ragazzi che hanno distribuito dei volantini, o
leggono giornali tollerati a Gerusalemme, ma fuorilegge nei Territori Occupati..
Felicia
è eroica, per la tenacia e la pazienza con le quali cerca di salvare i suoi
assistiti, davanti si trova dei giudici che regalano anni di galera e di
torture come fossero noccioline.
Difficile
che oggi sia meglio, rispetto agli anni della Langer; quello che si merita,
tutta questa gentaglia razzista, violenta, senza regole civili è solo un
tribunale all’Aja o a Norimberga, a scelta.
Dopo
aver letto il libro si capirà che quelli che chiamano quell’esercito un
esercito morale sono solo complici di un sistema di apartheid, e di tortura.
Sarebbe interessante che lo leggessero i nostri giovani avvocati, per avere un
esempio di tenacia, nonostante il sistema giudiziario favorevole solo a
militari e torturatori.
Nel
1990 Felicia abbandonò Israele; disse in un’intervista: Ho
lasciato Israele perché non potevo più aiutare le vittime palestinesi con il
sistema legale esistente e il disprezzo per il diritto internazionale. Non
potevo agire. Stavo affrontando una situazione senza speranza. Non potevo più
essere una foglia di fico per questo sistema (da
qui).
È morta il 21 giugno del 2018, il libro servirà a non dimenticarla.
Il dovere e l'onore di una memoria imperitura, a questa donna grandissima. Grazie a te, Slec, per l'impegno civile del tuo blog.
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