domenica 21 ottobre 2018

THIS TRAIN IS BOUND FOR GLORY (in treno senza biglietto) - Gian Luigi Deiana




la presenza sui treni di passeggeri senza biglietto non è più riducibile a singole situazioni, riguardanti furbetti, negri e perdigiorno; che un caso particolare conquisti gli onori della cronaca, di un comunicato ufficiale delle ferrovie e dell’elogio di un ministro per la fermezza rabbiosa di una agente del controllo e la soddisfazione narcisistica di uno che cattura col cellulare questa miserevole vittoria della legge è solo un puntino nel girovagare quotidiano di migliaia di persone tarpate
nel loro nudo rapporto con lo spazio, con le distanze e con i moti necessari alla socialità; centinaia ogni giorno in sardegna, migliaia in italia, decine di migliaia in europa, ogni giorno su tutti i treni a tutte le ore; non è una sommatoria di infrazioni individuali, è invece un fenomeno sociale, rispetto al quale si è tanto più ciechi quanto più esso è enorme;
per ricondurre ad un minimo di capacità visiva questa cecità dovremmo cominciare da questa constatazione: ogni sistema sociale infastidito, insicuro e infelice è portato a circoscrivere le presenze aliene: individuarle per espellerle, e se l’espulsione non è possibile, recintarle, coprirle di denigrazione (“denigrazione”!) e interdire ad esse la pura e semplice socialità: quindi renderle immobili, schiacciarle nella loro individualità denudata, ostaggio di un foglio di permesso, se possibile anche solo per il respiro;
questo processo, sia sul piano psichico che sul piano sociale, si autoalimenta per l’automatismo della separazione tra “noi” (che paghiamo il biglietto) e “loro” (che viaggiano ‘gratis’): la perpetuazione dello stato alieno riproduce il fastidio, e il fastidio riproduce la segregazione; questo automatismo può essere trattato solo in due modi: o viene totalizzato, o viene spezzato;
la cronaca di questi giorni ci offre due esempi simmetrici ed esattamente opposti di perpetuazione o di frantumazione dell’automatismo segregativo: il sindaco di una grande città, cagliari, decide di silenziare gli spazi pubblici wi-fi per tarpare l’unico mezzo di comunicazione personale disponibile per un migrante lontano da casa, il telefono cellulare; il sindaco di un piccolo paese, riace, finisce ai domiciliari per la sua ostinazione a riplasmare l’intera sua comunità in funzione della libera espansione della socialità;
è qui il punto: non si tratta di un piatto di minestra, di una branda in un centro di identificazione o di trentotto euro al giorno, si tratta del diritto alla libera agibilità dello spazio sociale: le strade, le onde radio, i satelliti in cielo, i paesaggi, le piazze ed i treni; tutti sanno che favorire questo diritto, con tutte le regole che si vuole, conviene alla società tutta: poiché si favorisce con questo sia il benessere personale che lo spirito pubblico, e soprattutto si rende possibile a ciascuno l’individuazione di strade per il proprio destino;
ma la domanda sociale generale, e l’ostinazione cinica di chi la governa (non diversamente da come si governerebbe un pollaio) consiste esattamente nel contrario: tarpare le ali, “tarpare le ali”; e rendere visibile ” a noi” fino alla fine della sopportazione l’ingombro dei pesi morti; e infine “trasferire”, “isolare” e “rimpatriare”, o almeno poterlo invocare da luogo a luogo come un peana della preistoria;
ma ci vuole così tanto a inventare permessi chilometrici ad hoc, che consentano di poter incontrare un connazionale, un compagno di libia, o il proprio marito, o un figlio? no, non ci vuole niente, eccetto un minimo di cervello e di capacità di immedesimazione nel destino dell’altro, che per definizione non è riducibile alla quotidianità di chi è tenuto a pagare il biglietto;
scrivo queste righe pensando a quanta immagine di noi stessi viene dalla letteratura ispirata dal treno e dai suoi innumerevoli personaggi senza biglietto, hobos, venditori di caffè, disoccupati su carri merci; il cinema del neoralismo, il blues, e la parte più importante della letteratura americana; così da quello sferragliare rubo i testi di due canzoni, che illuminano come innumerevoli altre i punti cardinali del bene e del male che viaggiano ogni giorno nei vagoni del mondo:
…………
“c’è un treno di ferro in marcia da anni,
con un focolaio di odio e una fornace di paure;
se ne avete mai sentito il fischio
o avete visto la sua sagoma tagliente e rosso sangue
allora avete sentito la mia voce cantare e sapete il mio nome;
vi siete mai fatti un’idea dell’odio che ha dentro?
li avete mai visti i passeggeri, quelle anime di folli malnati?
non avete mai pensato che quel treno va fermato?
non vi siete mai stancati di quei suoni predicanti la paura,
che martellano la testa e trapassano le orecchie?
volevate una risposta e vi hanno solo frastornato?
mi chiedo se i leaders delle nazioni capiscono qualcosa
del mondo ossessionato dal delitto che mi mettono in mano;
vi siete mai svegliati a notte fonda per chiedervelo anche voi?
l’avete mai avuto sulla punta della lingua o anche solo pensato
che chi vi sta vicino si è lasciato completamente ingannare?
i deliri dei fanatici non vi hanno sconvolto anche le viscere?
davanti agli assassini e a chi professa l’odio
non sapete più cosa dire? non vi fa girare la testa
tutto questo predicare roteato senza tregua in politica?
gli autobus che bruciano vi stringono il cuore?
allora mi avete sentito cantare e sapete chi sono
((bob dylan, train a-travelling, 1962))
………
Questo treno è diretto verso la gloria, questo treno
Questo treno è diretto verso la gloria,
Su di esso non viaggia nessuno se non i santi
Questo treno non porta giocatori d’azzardo, questo treno
Niente gamblers, puttane o vagabondi di mezzanotte
Questo treno è diretto verso la gloria
Questo treno non trascina burloni, questo treno
Non porta mentitori, ipocriti o gente che vola in alto
Questo treno è diretto verso la gloria
Su questo treno non si paga biglietto
Niente razzismo e niente discriminazione
Questo treno è diretto verso la gloria
Questo treno non porta ladri di bestiame
Pedoni da bordo strada o gente sbiellata
Questo treno è diretto verso la gloria
((big bill bronzy, bound for glory, 1922))
poi woody guthrie, e poi altri, bluesmen e poeti


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