Una profilazione psicologica di massa degli alunni, a partire dalle
scuole elementari, gestita in modo del tutto opaco da INVALSI.
Raccogliere dichiarazioni sull’autostima, la fiducia, o le aspettative future
di circa 2 milioni di studenti e considerarli possibili predittori di
comportamenti sociali o educativi da adulti, significa confezionare un enorme
database di ipotetici profili di cittadini, lavoratori, studenti universitari.
Chi sarà il proprietario dei dati psicologici raccolti dall’INVALSI? Quale uso
potrebbero farne eventuali soggetti terzi che ne entrassero in possesso? Questo
è quanto emerge dalla nostra analisi sulle socio-emotional skills che si
conclude con questo terzo post. Proviamo a riprendere le fila:
1) l’Istituto di Valutazione italiano ha stabilito in maniera unilaterale che alcune nostre scuole aderiranno agli studi OCSE sulla misura delle soft skills (“domini Big Five”) di studenti dai 10 anni in avanti (I parte del post).
2) Gli studi che riguardano le soft skills si basano sulla somministrazione di questionari che associano le dichiarazioni dei bambini/adolescenti intervistati ad una certa probabilità di incidenza di comportamenti/manifestazioni socialmente desiderabili o di particolari rischi/disturbi nella vita adulta (II parte del post)
3) Gli studi che riguardano le soft skills sono generalmente su base campionaria e si svolgono dopo opportuna informazione e raccolta di consenso al trattamento dei dati personali dei partecipanti.
3) I quesiti sull’autoefficacia, autostima, motivazione e aspettative future del Questionario 2018 sembrano appartenere all’ area scientifica della psicologia dell’età evolutiva. Non ci risulta, inoltre, alcun precedente scientifico, nazionale o internazionale, di rilevazioni di massa di tipo psicometrico-motivazionale.
4) La somministrazione censuaria (a tutti gli studenti italiani) dei nuovi items contenuti nei questionari può, con ampio margine di ragionevolezza, configurarsi come una profilazione di minori (=raccolta automatizzata di dati per valutazione di aspetti personali) avvenuta in assenza di adeguata e preventiva informazione e con commistione di finalità, per le quali sarebbe stato necessario raccogliere consensi specifici e trasparenti. Proprio il modello delle Big Five (lo stesso dell’OCSE-INVALSI) è stato al centro del recente scandalo dell’azienda di consulenza Cambridge Analytica, la società entrata in possesso dei profili psicologici di circa 50 milioni di utenti Facebook, utilizzati senza autorizzazione.
1) l’Istituto di Valutazione italiano ha stabilito in maniera unilaterale che alcune nostre scuole aderiranno agli studi OCSE sulla misura delle soft skills (“domini Big Five”) di studenti dai 10 anni in avanti (I parte del post).
2) Gli studi che riguardano le soft skills si basano sulla somministrazione di questionari che associano le dichiarazioni dei bambini/adolescenti intervistati ad una certa probabilità di incidenza di comportamenti/manifestazioni socialmente desiderabili o di particolari rischi/disturbi nella vita adulta (II parte del post)
3) Gli studi che riguardano le soft skills sono generalmente su base campionaria e si svolgono dopo opportuna informazione e raccolta di consenso al trattamento dei dati personali dei partecipanti.
3) I quesiti sull’autoefficacia, autostima, motivazione e aspettative future del Questionario 2018 sembrano appartenere all’ area scientifica della psicologia dell’età evolutiva. Non ci risulta, inoltre, alcun precedente scientifico, nazionale o internazionale, di rilevazioni di massa di tipo psicometrico-motivazionale.
4) La somministrazione censuaria (a tutti gli studenti italiani) dei nuovi items contenuti nei questionari può, con ampio margine di ragionevolezza, configurarsi come una profilazione di minori (=raccolta automatizzata di dati per valutazione di aspetti personali) avvenuta in assenza di adeguata e preventiva informazione e con commistione di finalità, per le quali sarebbe stato necessario raccogliere consensi specifici e trasparenti. Proprio il modello delle Big Five (lo stesso dell’OCSE-INVALSI) è stato al centro del recente scandalo dell’azienda di consulenza Cambridge Analytica, la società entrata in possesso dei profili psicologici di circa 50 milioni di utenti Facebook, utilizzati senza autorizzazione.
Questa è il
terzo e conclusivo post sulle socio-emotional skills.
Nella prima abbiamo visto che l’INVALSI ha
aderito – o così sembrerebbe – ai recenti progetti OCSE di misura del “character”
(prof. J. Heckam). Nella seconda, abbiamo mostrato come un preciso
filone di letteratura scientifica (psicologico-economico-educativa) affermi di
poter prevedere e correlare, con una certa probabilità, vari risultati della
vita adulta alle diverse “sfumature” del carattere di bambini e adolescenti.
In
quest’ultima parte proveremo a capire cosa bolle in pentola nel Laboratorio INVALSI in tema
di soft skills.
Alcuni fatti recenti
In un’intervista[1]di
qualche tempo fa, la Presidente dell’INVALSI Ajello, alla domanda su quale
fosse il futuro dei test nella nuova fase politica del paese, ha risposto che
non si prevede alcun “depotenziamento” delle attività dell’Istituto. Anzi, ha
sottolineato, sono previste misure di nuove competenze: geografia e soft
skills. In effetti, il Ministro Bussetti, tra le tante dichiarazioni
rilasciate ad inizio anno scolastico, ha affermato che “bisogna pensare ad
altre forme di valutazione non solo degli apprendimenti, ma delle soft skills,
come fanno molti paesi dell’OCSE”. Molti paesi tra cui proprio l’Italia, a
quanto pare.
La stessa
dichiarazione è riportata anche dal Sussidiario, il quotidiano in
rete della Fondazione per la sussidiarietà di Giorgio Vittadini, un nome ben noto a chi
segue le vicende della politica italiana scolastica, “consulente permanente” di vari
ministri e dirigenti INVALSI. Proprio il professor Vittadini negli ultimi tempi
pare si stia dedicando, tra le altre cose, allo studio delle socio-emotional
skills. Non solo è direttore scientifico del progetto triennale appena
partito dal titolo “Lo sviluppo delle competenze non cognitive negli
studenti Trentini”, ma ha anche curato una recente raccolta di saggi dal
titolo “Far crescere la persona. La scuola di fronte al mondo che cambia” [2].
Nel libro prende forma una nuova
concezione di Capitale Umano, sulla scia anche dei recenti studi dell’OCSE,
che pone la scuola di fronte all’ultima sfida: occuparsi non solo della
formazione culturale e cognitiva degli studenti, ma anche di quegli “aspetti
del carattere e dimensioni socio-emozionali recentemente classificate secondo
[la tassonomia] delle “cinque grandi dimensioni” [3]:
le Big Five, appunto. Ma, attenzione:
quando Vittadini afferma che “è necessario superare il funzionalismo della
scuola attuale”[4] non
intende, come si potrebbe pensare a una prima lettura, sollecitare
decisori politici o insegnanti a risvegliare una formazione culturale
attenta alla pienezza della persona umana, in una fase storica in cui la scuola
sembra schiacciata dalla tecnicizzazione e standardizzazione. Al contrario: siccome “il
character è educabile”[5] e
– come OCSE insegna – “misurabile”, bisogna entrare in un nuovo ordine di
idee. Di certo non smettere di utilizzare i test standardizzati per le
cosiddette hard skills (competenze cognitive), ma valutare e
monitorare con opportuni strumenti statistici anche le soft
skills…
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