venerdì 19 ottobre 2018

Me & Mr Jones - Giovanni Gusai





Con il suo superpotere, mister Jones può viaggiare nello spazio e nel tempo, e stare contemporaneamente in un posto e in un altro nel mondo. C’è solo un limite a questa fantasmagorica capacità: mister Jones può essere solo in luoghi in cui è già stato. È come se avesse quindi un archivio mentale, dal quale attinge nuove destinazioni ogni tanto, talvolta quando meno se lo aspetta, e raggiungesse posti vivi nei suoi ricordi. Ora che scrivo, per esempio, sta passeggiando in Avenida de la Constituciòn a Siviglia, accanto alla maestosa cattedrale che ospita il mausoleo di Cristoforo Colombo. Più precisamente si sta dirigendo verso un parco sconfinato, dentro il quale è stato allestito per qualche giorno un mercato in stile medievale. Quando arriverà ci saranno i falconieri e vedrà una bella varietà di rapaci, tutti ammaestrati e solenni sui loro trespoli.
Ecco, mister Jones ha questo superpotere. Mister Jones è un topo di campagna. Piccolo, innocuo, con una paura folle dei gatti del suo vicinato. Ha imparato la tecnica dell’ubiquità – così la chiama – per istinto. La sua velocità, dovuta a un corpo minuscolo e scattante, sarebbe comunque insufficiente per evitare gli agguati dei felini. Ce n’è uno che teme più di altri, Napoleone. Ha vibrisse fittissime e un musone schiacciato, zampe tozze e coda vaporosa. È color miele, dicono gli umani, ma mister Jones dice tigrato: rende meglio l’idea. Dunque la strategia è bighellonare per i prati, alla ricerca di semi o frutti; tendere le orecchie in attesa di un qualche attacco improvviso; frugare con circospezione; al momento in cui Napoleone o un suo simile si decidono a balzargli addosso, zac: scomparire. Il corpo di mister Jones, a quel punto, non è più né in campagna né da nessun’altra parte. Scompare, letteralmente. La sua coscienza si sdoppia e lui è un po’ da una parte e un po’ dall’altra del mondo. Adesso, mi accorgo affacciandomi alla finestra, è a Parigi. Ha lasciato il micione bianco che abita qui in zona basito: zampetta furiosamente sul terreno nel punto in cui un istante fa mister Jones andava a caccia di cibo.
Ma lui è a Parigi, non gli importa più dei gatti. Sta in uno studiolo che ha pagato carissimo, a pochi passi da una fermata della Metro rosa, ha dimenticato il nome ma sa benissimo come arrivare ai vagoni. Lì attorno ci sono anche due supermercati, uno con cibo italiano in cui è possibile fare la spremuta di arance fresche, un’edicola, un’adorabile pasticceria ai tavolini della quale uno studente ripassa anatomia da un tablet. Pioviggina spesso, non è come a Siviglia. Lì non piove mai. Non nei suoi ritorni e nelle sue fughe. Parigi sotto la pioggia può essere una faccenda scomoda, il brutto tempo rischia di compromettere l’esperienza estetica di una città maestosamente perfetta. Mister Jones lì ha visto i migliori musei. Ogni tanto ci torna, spesso senza volerlo. Si ricorda all’improvviso di un quadro, ed è già davanti alla tela, con la folla e tutto. Come la prima volta in cui ha osservato l’opera. Ecco, il gatto bianco è andato via. Mister Jones può ricominciare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
Lo vedo. Dove passa, i fili d’erba imperlati di pioggia dondolano. Dev’essere una gran fatica, vagare fra la realtà e il ricordo, fuggire in continuazione dal mondo e cercare ristoro nel ricordo. Per un topino di campagna, poi. Ora qua ora là, ora qua ora là. Scappa, sparisci, ricorda, torna, mangia, ricomincia, attenzione, sparisci, scappa, torna, ricorda, attenzione. Sfiancante. E con il rischio di trasformarsi in gesti incontrollabili. Qualche giorno, temo, mister Jones rimarrà impigliato nel meccanismo, invischiato nelle pieghe umide del tempo e dello spazio. Salterà senza che ce ne sia bisogno, o morirà con la schiena spezzata dentro le fauci di Napoleone, però magari con l’anima a Budapest o a Danzica o a Lisbona o dove mille volte si è nascosto per scampare alla sua vita da topo.
E, a questa fatica, si aggiunge la necessità di doversi impegnare a cercare sempre nuove tappe da raggiungere per davvero, per la prima volta. Nuovi mondi da aggiungere all’archivio. Poniamo che qualcosa si incrini e la macchina non funzioni più. Che il suo istinto non abbia più voglia di tornare a Siviglia. Proverà a sparire, penserà forte a Avenida de la Constituciòn, però niente, nel profondo dello spirito non avrà voglia di andarci. E bam: Napoleone gli sarà addosso e lo squarterà. Le cose brutte della vita fanno così, aspettano che sia stanco e ti finiscono. Ora è quasi sera. Mi chiedo: quanti ricordi mister Jones avrà a disposizione per rifugiarsi in caso di pericolo? Lo osservo. Sta per infilarsi in quella boccuccia sudicia un chicco d’uva marcito. Ed eccolo sparire. Sotto i miei occhi. Questa è una di quelle volte in cui lui non controlla il superpotere, si distrae e smette di fare quello che aveva in mente di fare. Va da qualche parte, si dimentica della vita vera. Con questo buio, al suo ritorno quell’acino sarà introvabile. E lui intanto me lo immagino, nostalgico e affamato, vagare per le vie larghe e rumorose di Soho e Carnaby Street. Londra era stata bellissima. C’era il sole anche lì, come in Andalusia. È sempre bello tornarci. Un bel freddo, l’ideale per camminare. E parchi infiniti in cui mister Jones ha temuto realmente di perdersi o di essere attaccato dai cigni, dalle cornacchie, dai corvi e da ogni altro genere di bestialità che popola il cielo di Hyde Park e dei Kensington Gardens.
Intanto si è fatta notte. Mi viene da chiedermi come siano i sogni di mister Jones. Di cosa si riempiono, gli occhi di chi trascorre le giornate a fantasticare, quando vanno a dormire? Ci sono delle persone, le conosco bene, che vivono come questo topolino. La vita li sorprende e mette loro davanti responsabilità, dubbi o sfide. Quelli restano lì, mettono in attesa il dubbio e se ne vanno da un’altra parte – se un posto in cui andare ce l’hanno. Sembra strano da dirsi, ma quando tornano da questa parte il dubbio o la sfida sembrano più gestibili, meno onerosi. Non so se siano peggiori di chi è capace di affrontare a sangue freddo ogni fauce famelica che il mondo progetta e distribuisce. Chissà cosa sognano, gli uni e gli altri.
Io so di tutte le volte in cui vorrei poter volare via. Poi tornare e trovare tutto più semplice. Conviverei senza paura con il rischio di partire all’improvviso e contro il mio volere. Ogni tanto mancare, distrarmi. Gli umani direbbero “stare sovrappensiero”. Sovrappensiero è un bel posto da visitare. C’è sempre il sole, non ci sono gatti arrabbiati.

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