lunedì 29 ottobre 2018

I Palestinesi meritano la stessa dignità riconosciuta ai figli dei sopravvissuti all’Olocausto - Shahd Abusalama



Mentre scrivo, ricordo le molte volte in cui ho dovuto sedermi in una stanza in cui gli Europei discutevano della loro profonda colpa per le atrocità commesse contro le loro comunità ebraiche. Ricordo altresì i molti momenti estremamente dolorosi  in cui mi sono sentita completamente invisibile durante le discussioni sul razzismo, sul colonialismo, sulla giustizia sociale e sui diritti dei rifugiati e dei migranti. Il battito accelerato del mio cuore che mi sopraffaceva insieme agli innumerevoli ricordi di terrore e di dolore, un grido trattenuto che desiderava disperatamente una risposta: perché non c’è alcun sentimento di colpa nei nostri confronti dato che i Paesi europei alimentano e permettono il terrorismo israeliano contro i Palestinesi? O noi non contiamo come persone? Che ne è della questione dei rifugiati Palestinesi, il problema di più lunga data nella nostra storia moderna?
Vorrei poter scuotere la coscienza delle persone e affrontarle ponendo loro davanti un secolo di complicità che, se avessero riconosciuto, avrebbe loro causato una durissima sensazione di colpevolezza nei confronti dei Palestinesi. La situazione era, è e continuerà ad essere cupa fino a quando non verranno intraprese azioni concrete per fermare (non per  alleviare) le gravi ingiustizie che per tutti i 70 anni di occupazione coloniale israeliana e di apartheid  sono avvenute e avvengono alla luce del giorno e davanti agli occhi di tutto il mondo.
Fino ad allora, i desideri irrealizzati dei nostri nonni che sono morti mentre si aggrappavano fino all’ultimo respiro al loro diritto al ritorno, vi perseguiteranno. Le vite dei molti pazienti che sono morti per malattie minori dovute alla chiusura dei valichi e ai posti di blocco, vi perseguiteranno. I sogni dei nostri bambini. Le grida delle madri palestinesi. Gli anni rubati ai nostri prigionieri politici. Le foto di tutte le nostre vittime, giovani e vecchie. Le gocce di sangue che scorrono da ogni persona ferita. Gli arti amputati. Gli ulivi sradicati. Le case demolite. I ricordi custoditi in ciascuno dei loro angoli. Le terre deserte. Gli occhi insonni che aspettavano da tempo l’alba della libertà. I corpi uccisi che sono rimasti sanguinanti fino a quando non sono stati prosciugati del loro sangue. Il corpo senza vita di Malak Rabah Abu Jazar, una ragazza palestinese di Gaza che le onde del mare hanno spinto verso le coste turche dopo una fallita fuga dalla prigione a cielo aperto di Gaza verso una vita più sicura. Tutto ciò vi perseguiterà, e ignorarlo è a nostro pericolo.
Lungo la recinzione che separa Gaza, una folle enorme si confronta ancora con i cecchini israeliani che si nascondono dietro i cumuli di sabbia e nelle loro jeep militari, andando avanti e indietro a seconda del livello di forza letale che Israele stabilisce si debba utilizzare contro di loro. La Grande Marcia del  Ritorno di marzo è arrivata al suo settimo mese, con il campo più volte trasformato in una drammatica scena di spargimenti di sangue e di repressione, il tutto documentato dalla stampa  locale e dalle persone sul campo, che vogliono ricordare al mondo le orribili ingiustizie subite dai  Palestinesi e spingere a favore di azioni che potrebbero porvi fine.
Mentre queste atrocità continuano impunemente, il discorso dominante dei media occidentali sta trasformando questi eventi orribili in uno spettacolo che distoglie l’attenzione dall’ingiustizia che i Palestinesi vivono sotto Israele e dalle loro legittime rivendicazioni, e comunque ogni notizia viene  sempre preceduta da una dichiarazione dell’esercito israeliano atta a giustificare i suoi crimini . Se i media sono riusciti a desensibilizzarvi, ricordatevi  che se si accumulassero tutte  le lacrime di tutte le famiglie che hanno avuto almeno un membro ucciso, mutilato, annegato o imprigionato, quel fiume di  lacrime sommergerebbe la terra.
Nonostante questo lungo processo di disumanizzazione, demonizzazione e pacificazione, e la conseguente repressione israeliana, i manifestanti non si scoraggiano e continuano a manifestare  lungo la barriera. Per loro, la scelta rimane tra un inferno vivente o una morte dignitosa.  Vogliono disperatamente che il mondo metta a nudo  i crimini di Israele. Esprimono l’urgenza di una soluzione politica che non si limiti ai confini di Gaza e alla fine dell’assedio, ma che comprenda la richiesta del Diritto al Ritorno.
I Palestinesi chiedono anche una competente leadership che sappia investire in questa resistenza popolare e nei suoi sacrifici. Le chiedono di correggere il percorso che gli accordi di pace di Oslo del1993 hanno contrassegnato con divisioni interne e marginalizzazione delle questioni fondamentali della lotta anticoloniale, a favore di una delirante autonomia su territori strutturati da bantustan (dove i Palestinesi sono  a tutti gli effetti funzionari dell’occupazione israeliana).
I Palestinesi si stanno sacrificando per ricordare agli attori interni ed esterni che la nostra lotta anti-colonialista riguarda la liberazione, non l’indipendenza. Questo era, è e continuerà ad essere la natura della nostra lotta, nonostante quelle mani maledette che tentano di ridefinirla e di distorcerla.

Shahd Abusalama è una studentessa della Sheffield Hallam University con dottorato di ricerca sul cinema palestinese, nata e cresciuta nel campo profughi di Jabalia, nella parte nord di Gaza, in Palestina. È artista, attivista, autrice del blog My Eyes e co-fondatrice della Hawiyya Dance Company con sede a Londra. Seguila su Twitter all’indirizzo @ShahdAbusalama.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org
Fonte: https://mondoweiss.net/2018/10/palestinians-holocaust-survivors/?fbclid=IwAR03q5TxicbInjN7RQDmNs0oQ9LCB82RCCuxvkdIgKHxTltj8xlC49gDpws


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