Nel teatro
della politica non vi sono ‘governi del cambiamento’ che tengano. Si sono da
tempo avviate le manovre di posizionamento elettorale per fissare una volta per
tutte le alleanze che determineranno lo scenario politico per i prossimi
vent’anni almeno.
Il M5S, a
dispetto di quanto affermato dall'inizio del suo percorso (“né di sinistra né
di destra”), sta scoprendo poco a poco la convenienza di disporsi apertamente
secondo gli schemi tradizionali. Nel passaggio da forza anti-sistema a
compagine di governo ci si è forse resi conto che, per rimanere saldamente al
potere senza arretrare a più scomode posizioni di irrilevanza politica, si può
pur cedere di volta in volta pezzi di storia movimentista senza che (quasi)
nessuno se ne accorga dalla base.
In una simile
metamorfosi antropologica non sarebbe difficile per Di Maio & co. far digerire
la perpetuazione dei mandati elettivi (attualmente ancora fermi a due), così
abbandonando uno dei capisaldi dei Vaffa-day delle origini.
Dicevo del
nuovo posizionamento politico a fini elettorali. Già, perché si è visto che
competere con Salvini sul terreno della forza, dei muscoli, della ‘schiena
dritta’, non paga per chi ha una più recente tradizione di orientamento del
consenso. D’altra parte si può fare del populismo anche stando dall’altra
parte, come ha saputo dimostrare bene quel renzismo dell’ultima ora durante il
suo sciagurato triennio di potere fine a se stesso. Così anche nel M5S
verosimilmente ci si è resi conto che, non potendo contendere lo scettro dei
‘cattivi’ al leader della Lega – circondato da un entourage certamente più
omogeneo e con un background da sempre radicato nella destra più inferocita –
una ‘transumanza’ politica risulterebbe più vantaggiosa.
D’altro canto è
pur vero che l’aver da sempre professato l'assenza ideologica del proprio stare
in politica (né carne né pesce), l’aver accettato sin dalla prima ora qualunque
sentire politico al proprio interno (l'ecumenismo di Grillo delle
origini), ha avuto un prezzo, prima o poi occorreva fare i conti con
l’ineluttabilità di una identità particolare, con il mettersi allo
specchio riconoscendosi come soggetti autonomi prima ancora che come massa
informe. A un certo punto occorre prendere posizioni chiare, piuttosto che
rimanere nel limbo della indefinitezza a fini elettorali, soprattutto quando ci
si trova a dover fare delle scelte per una comunità nazionale allargata.
Così appare
verosimile che gli strateghi del grillismo abbiano compreso alcune elementari
dinamiche di sopravvivenza nell’arena parlamentare. Anzitutto la strategia
dell'altro 'forno', tesa a considerare seriamente una futura (o imminente, chi
lo può ancora dire?) alleanza elettorale o un nuovo assetto di governo, questa
volta spostati a sinistra. La frangia attualmente minoritaria nel M5S - quella
dell’ala Fico per intenderci - potrebbe prendere il sopravvento nel partito in
caso di ‘naufragio’ anticipato della nave 'Conte'. Dichiarazioni sempre più
frequenti, ma anche provvedimenti dell’ultima fase (il voto contro Orban al
Parlamento Europeo ad esempio) in aperto contrasto con la Lega sono il chiaro
segnale di un possibile capovolgimento di fronte, come a preparare il
terreno a un eventuale rovesciamento del tavolo.
Se Salvini
continuerà ad aumentare i propri consensi i 'guru' della comunicazione
pentastellata potrebbero avere già pronto l’alibi per passare al di là del
ponte: l'impossibilità di continuare a seguire l'alleato nella battaglia contro
lo straniero che arriva dal mare. E lo farebbero - come in parte è già avvenuto
- assorbendo l’elettorato del PD (ormai terrorizzato dalla prospettiva di un
trentennio salviniano), considerata la lenta ‘liquefazione’ di quest’ultimo. In
breve tempo non si porrebbe nemmeno più la questione dell'alleanza a sinistra,
perché in quel contesto le varie e insignificanti sigle dell'attuale diaspora
scomparirebbero dall'anagrafe politica e la storia ci consegnerebbe la
metamorfosi di un M5S che aspira a incarnare i valori della nuova sinistra nei
prossimi trent’anni. E' quella la voragine, lo spazio politico-elettorale che
si è aperto dalle rovine della pochezza degli attuali dirigenti della sinistra,
una disfatta che assumerebbe ben presto i caratteri di un’annessione politica
(un 'anschluss' per dirla in termini storico-politici), le cui
manovre sono già in atto. Il vero problema, il dramma di tutto questo? E' che
nessuno, all'interno della galassia di centrosinistra, pare essersene accorto.
sono sempre stati populisti e di destra, come gruppo
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