domenica 24 novembre 2019

La strage degli studenti e le vere ragioni della protesta in Iran. Le domande che ci dobbiamo fare - Alberto Negri



Se in Italia aumentasse, senza troppe giustificazioni, il prezzo della benzina del 50% cosa accadrebbe? Una rivolta di piazza. Ed è questo che è avvenuto in Iran, dove per altro il Paese cammina su enormi riserve di petrolio e di gas ma, strangolato dalle sanzioni americane e dall’embargo, in un anno ha dovuto più che dimezzare le esportazioni di oro nero e quindi le sue entrate.
Qualunque regime, dovendo prendere una decisione di questo genere, si sarebbe attrezzato: era evidente che un’impennata di questo tipo del carburante, tagliando i sussidi statali, avrebbe generato proteste che poi sono state affrontate dalla forze di sicurezza con dozzine di morti.

La domanda
Questa è la vera domanda che ci dobbiamo fare. Perché un regime di solito molto accorto come quelli iraniano, che tiene strettamente sotto controllo la popolazione, non ci ha pensato?
E’ ovvio che ci ha pensato. Allora bisogna chiedersi quali sono i veri motivi che lo hanno indotto a prendere una misura così impopolare.

Prima ipotesi
Una prima ipotesi è che la Guida Suprema Alì Khamenei non avesse altra scelta di fronte alle difficoltà finanziarie del Paese. Le sanzioni americane stanno di fatto soffocando l’economia iraniana, il cui Pil è in discesa quest’anno di oltre il 9 per cento. L’export è crollato dell’80% e il rial, la moneta locale, è in caduta libera. A questo vanno aggiunti un’inflazione galoppante (+35%) e un tasso di disoccupazione che, tra i giovani, supera il 30%. Questo basta a spiegare perché tra le persone arrestate, la stragrande maggioranza abbia meno di 25 anni.
Mai, neppure durante la guerra con l’Iraq di Saddam Hussein negli anni ‘80 la Repubblica Islamica si era trovata ad affrontare una congiuntura economica così difficile, denuncia il Fondo monetario internazionale. In realtà durante la guerra la situazione era ancora più dura ma veniva giustificata dalla difesa del Paese. Allora vedevo nei negozi di Teheran gli scaffali vuoti ma la gente sopportava perché il conflitto era tra arabi e persiani e oltre che sull’Islam il regime di Khomeini faceva leva sulla mobilitazione nazionalistica.

Seconda ipotesi
Una seconda ipotesi, quella forse più probabile, è che i vertici sapessero perfettamente che il governo del presidente Hassan Rohani, un conservatore moderato, sarebbe stato messo spalle al muro dalle manifestazioni di piazza. E’ quindi possibile che la Guida Suprema Ali Khamenei abbia voluto mettere in difficoltà un esecutivo che da tempo appare nel mirino di quelli che hanno veramente il potere, cioè i Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, i militari.
L’ipotesi è che siamo di fronte non solo a proteste popolari assolutamente comprensibili ma anche a un lotta di potere sotterranea i cui contorni non sono ancora chiari.

Il resto
Poi naturalmente c’è tutto il resto: la decisione di Trump di stracciare l’accordo del 2015 sul nucleare ha strangolato economicamente una potenza regionale già impegnata da affrontare la guerra in Siria, le rivolte in Iraq e la crisi degli Hezbollah in Libano. L’Iran è un Paese sovra-esposto e tutti questi impegni militari e politici hanno drenato enormi risorse.
Per la prima volta Teheran è sotto attacco in due paesi in cui l’influenza iraniana è pervasiva, in particolare l’Iraq dove il regime iraniano sciita è nel mirino delle proteste popolari.
Questi sono i veri argomenti in gioco. Al fondo della questione c’è il dibattito sulla possibilità o meno di riformare un sistema che a 40 anni della rivoluzione contro lo Shah mostra la corda.

La propaganda di Usa e Israele
Poi c’è il versante della propaganda che viene sfruttato da Stati Uniti e Israele. “Gli Usa _ ha dichiarato il segretario di Stato Pompeo rivolgendosi ai manifestanti iraniani _ vi ascoltano, vi sostengono, sono con voi”. Di fatto Washington importa solo la destabilizzazione dell’Iran: con le sanzioni gli americani intendono soffiare sul fuoco e mettere Teheran al tappeto. Gli appelli americani possono avere qualche effetto ma non più di tanto: chi si fida più degli Usa di Trump dopo quanto accaduto ai curdi siriani e prima ancora durante le primavere arabe? Se è vero che l’Iran è difficoltà, in Medio Oriente nessuno sano di mente potrebbe fidarsi degli americani.

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