lunedì 10 febbraio 2020

Quindici anni di Giorno del Ricordo: veleni e antidoti (scrivono Wu Ming e Nicoletta Bourbaki)

Quindici anni di Giorno del Ricordo: veleni e antidoti – Wu Ming

Il Giorno del Ricordo, che si celebra dal 2005, è una ricorrenza ideata e imposta dalla destra «post»-fascista in risposta alla Giornata della Memoria.
Lo scopo dei camerati era contrapporre alla Shoah una propria narrazione vittimistica. Una narrazione nella quale il collaborazionismo coi nazisti diventasse «eroismo» e «martirio» – con tanto di medaglie a veri e propri criminali di guerra – e scomparissero i crimini di guerra italiani nei Balcani.
La strategia consisteva nel trasbordare nel mainstream e – forti dello «sdoganamento» politico del vecchio MSI – nell’ufficialità istituzionale un insieme di narrazioni squinternate e odiose, ricostruzioni storiche infondate e vere e proprie leggende metropolitane che fino a quel momento erano rimaste confinate nelle cerchie di estrema destra. Una sorta di sottogenere letterario, la «foibologia», di cui su Giap abbiamo ricostruito le origini.
La sedicente «sinistra» – che nel frattempo aveva sposato la «modernità» neoliberista e un orizzonte degli eventi nel quale non aveva alcun posto legittimo il conflitto – ha lasciato che ciò accadesse, anzi, ha agevolato il processo in molti modi. Perché?
Per un misto di abissale ignoranza del suo personale politico, perdita di memoria storica, subalternità culturale alla destra, disponibilità a ogni sorta di «inciucio» e – last but not least – ignobili tatticismi: «Facciamo vedere che siamo equanimi, che siamo avanti, commemorando anche le vittime fasciste.»
Sul fatto che ciò implicasse attribuire agli antifascisti il ruolo di carnefici si è bellamente sorvolato, come si è sorvolato sull’inanità del ricordare con la lacrimuccia la Shoah il 27 gennaio se poi, di fatto, si celebra il collaborazionismo due settimane dopo.
Per la nuova ricorrenza si è scelta la data del 10 febbraio, e pochi si sono chiesti come mai.
Quel giorno, nel 1947, fu firmato il Trattato di Pace, che (ben comprensibilmente) dettò dure condizioni alle ex-potenze dell’Asse, Italia compresa.
A essere contestato, dunque, è nientemeno che l’esito della seconda guerra mondiale. Questo però viene sottaciuto, lasciato implicito, così la maggior parte delle persone non se ne rende conto. Mica si può dire tout court: «Il Giorno del Ricordo è la festa voluta dagli eredi politici di chi stava con Hitler»…
Solo che stanno esagerando.
Si pensi al terzetto che sarà oggi alla «foiba» di Basovizza: Salvini, Meloni, Gasparri.
I fascisti avevano introdotto il Giorno del Ricordo per far entrare «foibe» ed «esodo» nel racconto mainstream nazionale, quello condiviso da tutti o quasi, quello da discorso del Presidente della Repubblica. [Infatti, gli inquilini del Quirinale hanno enormi responsabilità nell’inclusione del canone neofascista dentro la cultura ufficiale.]
Da un po’ di tempo, però, i camerati hanno rinunciato al mimetismo. Le sparano sempre più grosse e fanno di tutto per ricreare l’associazione immediata tra quelle vicende e la loro parte politica. Ciò rende quell’immaginario respingente per chi non sta con loro – ergo, plausibilmente, oltre metà del paese – e soprattutto per chi non ne può più di vederli ovunque.
Abbiamo già visto che quando Salvini & Co., eccessivamente sicuri di sé, tirano troppo la corda, poi suscitano reazioni che non controllano, danneggiando il loro stesso schieramento.
Ma non c’è solo questo: segnali di insofferenza nei confronti della «foibologia» si vedono un po’ ovunque. Forse, dopo quindici anni in cui abbiamo portato avanti in pochissimi un lavoro di resistenza culturale e smontaggio delle narrazioni tossiche, andiamo assistendo all’inizio di un contraccolpo. Che non è ancora un contrattacco, ma è qualcosa.
Non è troppo tardi, anche se, in quindici anni, il Giorno del Ricordo ha sversato nell’ambiente ogni sorta di veleni.
A questo proposito, il punto della situazione lo fa il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki nel post intitolato I veleni del Giorno del Ricordo (nei media e nella scuola).



I veleni del Giorno del Ricordo (nei media e nella scuola) - Nicoletta Bourbaki

Come ogni anno, ci ritroviamo in piena ubriacatura da Giorno del Ricordo.
Mandrie di bufale pascolano nei media, ruminano e — soprattutto — depositano escrementi, tanto voluminosi che si rischia non tanto di calpestarli quanto di affondarci dentro. Anche quest’anno, per dire, fotografie di crimini fascisti nei Balcani vengono spacciate per immagini di infoibamenti “titini” e ormai, dopo tutti questi anni, è chiaro che si mente sapendo di mentire: la scusa della fretta nel pescare da Google Immagini non regge più.
Oggi alla foiba di Basovizza — che non è una foiba, ma un pozzo minerario più volte esplorato senza che si sia trovata traccia delle «migliaia di vittime» (sic!) di cui parlano i neofascisti — sono attesi Salvini, Meloni e Gasparri, che certamente parleranno tra bandiere repubblichine e labari della X Mas, simboli immancabili in quel luogo ogni 10 febbraio (e di fronte ai quali anche amministratori e dirigenti del “centrosinistra” hanno trascorso intere cerimonie senza aver nulla da ridire).
Questo mentre intimidazioni squadristiche e censure colpiscono storiciintellettuali ed esponenti dell’ANPI che osino parlare delle vicende del “confine orientale” in un modo che non piace ai revanscisti.
Luca Casarotti, membro del nostro gruppo di lavoro e coordinatore del Legal Team della Wu Ming Foundation, è esplicitamente citato in un articolo a firma di Gian Micalessin pubblicato giovedì scorso sulla versione online de «Il Giornale».
L’articolo accusa di negazionismo l’ANPI tutta, Luca in quanto presidente della sezione pavese… e il PD locale. L’attacco è una risposta al comunicato con cui l’ANPI cittadina criticava giustamente il comune di Pavia, che in occasione del Giorno del Ricordo ha organizzato una presentazione del fumetto Foiba rossa nella sala consiliare, con tanto di saluti del sindaco leghista Fabrizio Fracassi. A presentare il libro, lo stesso Micalessin, che però nel suo articolo non fa alcun accenno al proprio essere parte in causa.
Nel comunicato l’ANPI citava stralci della nostra recensione al fumetto e spiegava che si tratta di un prodotto del milieu neofascista, essendo pubblicato dall’editore Ferrogallico (vicino sia a Forza nuova sia a Casapound).
Non avendo trovato la pistola fumante, cioè la prova del negazionismo o riduzionismo di Luca e dell’ANPI, Micalessin si lancia in un’acrobazia: la critica al Comune per lo spazio che verrà concesso ai neofascisti, scrive l’ex militante missino, è un appunto solo di facciata: «sotto sotto» (l’espressione è nell’articolo), Casarotti e l’ANPI volevano minimizzare la vicenda di Norma Cossetto. Anzi, volevano negare tout court le foibe. Insomma, non avendo pezze d’appoggio per giustificare il suo attacco e il suo pregiudizio, Micalessin s’inventa un processo alle intenzioni.
Il giornalista triestino riserva il suo massimo sdegno al PD di Pavia, reo di seguire la campagna negazionista di Casarotti e di aver consigliato letture alternative a quella di Foiba rossa. Micalessin però non dice quali sono i titoli suggeriti dal PD. Bene, completiamo l’informazione: in un proprio comunicato, il PD cita come titolo degno di fede sulla vicenda di Norma Cossetto Foibe rosse di Frediano Sessi. Ma Foibe rosse, che è in larga parte un diario finzionale (cioè scritto dallo stesso Sessi) di Norma Cossetto, è proprio il libro a cui si ispira, fin dal titolo, il fumetto! Invece d’indignarsi, Micalessin avrebbe quindi dovuto gioire del fatto che il PD abbia consigliato il diretto antecedente del fumetto che ha tanto a cuore.
Tenete a mente Sessi e il “diario”: ne parleremo più avanti.
[Nel suo articolo, Micalessin, che ne approfitta per attaccare anche Claudia Cernigoi definendola «sedicente storica», ripropone anche vecchie argomentazioni incentrate sulla laurea honoris causa a Norma Cossetto e il presunto rapporto di quest’ultima con il latinista Concetto Marchesi, storie ogni volta riproposte e “abbellite” da dettagli, senza mai citare fonti documentali. Su questi risvolti della vicenda Cossetto stiamo conducendo ricerche da qualche tempo: ne esporremo i risultati a tempo debito.]
L’accusa, per chi resta fedele al metodo storiografico, alla contestualizzazione degli eventi e all’analisi dell’imperialismo italiano nei Balcani, è sempre quella di «negazionismo». Ciò avviene mentre istituzioni locali e a volte dirigenti scolastici affidano orazioni pubbliche e conferenze su «foibe» ed «esodo istriano» a negazionisti della Shoah, apologeti del nazifascismo, giustificatori di stragi hitleriane come Montesole o le Fosse Ardeatine. Succede da anni, in tutta Italia. Solo oggi — meglio tardi che mai — qualcuno comincia a rendersene conto e protesta.
I danni che la vulgata da Giorno del Ricordo sta arrecando alla memoria pubblica e alla cultura italiana nel suo complesso sono enormi, incalcolabili. Anche perché le incursioni più gravi avvengono nella scuola: a ragazze e ragazzi vengono distribuiti materiali intrisi di veleno nazionalista, razzismo antislavo e riabilitazione del nazifascismo.
Nei giorni scorsi, agli studenti di tutte le scuole venete, su iniziativa dell’assessora regionale alla cultura Elena Donazzan (esponente di estrema destra, protagonista di diversi exploit tra i quali il tentativo di “purgare” le biblioteche pubbliche del Veneto dai libri di autori sgraditi e in passato non aveva perso occasione di attaccare anche Nicoletta Bourbaki), è stato distribuito un «kit» per il Giorno del Ricordo che contiene:
1) una copia in dvd di Red Land, film ideato e prodotto in un certo sottobosco sovranista veneto del quale la stessa Donazzan è diretta espressione, film dozzinale, pessimamente diretto e recitato, nel quale l’uccisione della giovane fascista Norma Cossetto è ricostruita su basi di pura fiction, il razzismo antislavo si taglia con la roncola e, soprattutto, i nazisti sono i buoni, rappresentati come Liberatori dell’Istria e dispensatori di giustizia.
2) una copia del già citato fumetto Foiba Rossa, che oltre a essere una produzione neofascista è pessimamente disegnato e pieno di sfondoni storici impressionanti;
3) un opuscolo dello “storico” Guido Rumici… Virgolette d’obbligo, perché non è uno storico.
Ebbene, noi ci siamo occupati di tutti e tre gli elementi del kit, in un’inchiesta in tre puntate uscita su Giap l’anno scorso. Inchiesta che nelle ultime settimane è tornata ad avere migliaia di visite, e che è importante risegnalare:
– nella prima puntata si prende in esame il film (e c’è voluto dello stomaco) e, seguendo un link, si può leggere un excursus su Rumici, che del film è stato «consulente storico»;
– nella seconda puntata si ricostruisce la vicenda di Norma Cossetto sulla base dei documenti esistenti e dei pochissimi dati certi, mostrando come la narrazione della sua morte, a ogni giro, si arricchisca di dettagli sempre più macabri, dei quali però non esiste il minimo riscontro;
– nella terza si prende in esame anche il fumetto Foiba rossa, ma solo dopo avere sviscerato Foibe rosse, quel “diario” di Norma Cossetto, basato in gran parte su dicerie circolanti in ambienti neofascisti, ma scritto da un “insospettabile” come Frediano Sessi, cui abbiamo accennato prima.
Scegliendo di colmare con robuste dosi di cattiva fiction la penuria di fonti sul caso Cossetto, con Foibe rosse Sessi ha compiuto un’operazione foriera di pessimi sviluppi. Poiché l’autore è un ricercatore che ha raggiunto risultati importanti nello studio della diaristica e un comunicatore storico specializzato nella Shoah, nonché il curatore dell’edizione italiana del diario di Anna Frank, con quest’operazione si è fatto garante implicito di un parallelismo indebito e inaccettabile, che ha favorito l’«olocaustizzazione» della morte di Norma Cossetto e della vicenda delle foibe.

Nessun commento:

Posta un commento