lunedì 15 agosto 2022

Nessuna amnistia per l’Ucraina

 



immagini, video, appelli, articoli di Carlos Latuff, Amnesty International, Laura Ru, Adriano Madaro, Comitato NoMuos-NoSigonella, Simon Jenkins, Antonio Mazzeo, Roberto Paura, Stefano Orsi, Nicola Rangeloni, Marco Bordoni, Fulvio Scaglione, Francesco Sylos Labini, Caitlin Johnstone, Massimo A. Alberizzi, Raniero La Valle, Annibale Scarpante, Pepe Escobar, Alfonso Navarra e Antonia Sani, Albert Camus, 

 

SE PUTIN CI GUARDA NEGLI OCCHI – Marco Bordoni


 …come convincere gli Ucraini delle zone occupate a farsi Russi. E qui la risposta può essere identificata in un programma più semplice a dirsi che a farsi: invertire il processo di “nazionalizzazione” portato avanti, prima timidamente, poi a marce forzate, dai Governi dell’Ucraina indipendente. La pratica di “acculturazione forzata, imposta da una società dominante a una più debole, la quale in tal modo vede rapidamente crollare i valori sociali e morali tipici della propria cultura e perde, alla fine, la propria identità e unità” ha un nome in antropologia: etnocidio. Ed è precisamente quello che abbiamo visto succedere in Ucraina negli ultimi anni. Putin ha torto (e, da giurista, non può non esserne consapevole) quando accusa gli Ucraini di genocidio  ma parlare, per il periodo 2014 – 2022 di tentativo di etnocidio dei Russi di Ucraina (e di bombardamenti terroristici a Donetsk) non è fuori luogo.

I valori di riferimento di chi si sentiva russo sono stati banditi da  ogni aspetto della vita pubblica (toponomastica, memorialistica, festività etc…) nell’istruzione e nel discorso pubblico: le espressioni culturali e politiche represse con efficienza, talvolta con brutalità. Menzione particolare, per la profondità dei sentimenti scossi, la creazione in vitro, da parte di Poroshenko, della chiesa “autocefala” nazionale, con tanto di “santa coercizione” per condurre all’ovile nuovo di zecca le pecorelle smarrite. Le comunità russofone sono state sottoposte ad uno shock culturale con appelli a (frase idiomatica) “uccidere il russo in loro” e politiche tese a “formattarle” per installarvi coordinate identitarie, politiche, etiche ed estetiche diverse. A chi non concordava una sola possibile alternativa: “valigia, stazione, Russia” (altra espressione idiomatica). Ora, nei territori occupati, la musica si inverte: i simboli non solo dei battaglioni “punitivi” ma anche della stessa statualità ucraina sono platealmente rimossi, sostituiti da statue di Lenin, bandiere “della vittoria” e russe, araldica dei tempi dello zar. Non c’è nemmeno bisogno di invitare i dissidenti ad andarsene, “valigia, stazione, Kiev”: ci hanno già pensato, a far terra bruciata, le bombe e la paura, ben fondata, per i patrioti ucraini, dell’arrivo dei Russi. Restano nelle retrovie unità di sabotatori, che creano alle truppe di Mosca non pochi problemi.

In un ambiente di frontiera permeabile come quello del Sud-Est ucraino, in cui l’humus cultural-identitario è neutro e fertile, in cui il senso di appartenenza nazionale è un costrutto recente, che interseca le linee di separazione sociali, linguistiche e religiose, e in cui solo una parte minoritaria della popolazione ha una identità ben polarizzata mentre la maggioranza “si adatta” per tirare a campare, facendo buon viso a cattivo gioco, il condizionamento ha funzionato tanto bene che alla fine i Russi (intesi come Stato) si sono sentiti costretti ad una scelta estrema: o perdere per sempre territori che considerano, a torto o a ragione, un loro retaggio ancestrale, o riprenderne il controllo con la violenza per (tentare di) invertire il processo. E pazienza se, nel tentativo, il pomo della discordia dovesse restare schiacciato.

All’ attuazione pratica di questa seconda guerra di conquista, diretta ai cuori e alle menti, deve pensare Sergey Kirienko, il manipolatore, che sta portando nella Novorussia l’approccio tecnocratico con il quale si è guadagnato la fiducia di Putin: uomini nuovi, specialisti, insegnanti russi, portati nelle terre controllate da Mosca dalle più remote regioni, assieme ad adeguati investimenti, in un clima di mobilitazione nazionale, per gestire la ricostruzione materiale ma soprattutto identitaria dei nuovi territori.  E l’odio della guerra? Le guerre si dimenticano, pensano (e dicono) i Russi. Si pensi ai Ceceni: venti anni fa nemici irriducibili, oggi in prima linea a fianco a noi. Si pensi a Giapponesi, Tedeschi, Italiani: a suo tempo bombardati dagli Americani, oggi vassalli fedeli. È un approccio brutale, che ricorda i tempi dell’assolutismo: “Gli uomini non meritano la verità”, scriveva Federico il Grande a Voltaire, proseguendo: “Sono un branco di cervi nel parco di un grande nobile, che non servono ad altro che a riprodursi, per popolare il parco”. Ma se vogliamo essere onesti fino in fondo dobbiamo ammettere che è la medesima logica messa in atto dai governi maidanisti e dai loro sponsor occidentali.

Identificate in questo modo, con pochi margini di errore, le caratteristiche e le modalità del programma russo, ci sarebbe da definire e calibrare le nostre possibili risposte. Nostre, dei Governi cosiddetti “occidentali”, fronte eterogeneo che comprende, ovviamente, chi i conti non sa o ha rinunciato a farli e altri che, invece, li sanno fare da tempo, e molto bene. Comunque è chiaro che alle iniziative russe ci opporremo. John Kirby lo ha già detto: le annessioni non rimarranno impunite. Benissimo. Del resto, in tutta questa faccenda, quando mai, da parte occidentale, si è vista un’ apertura?

Il 21 febbraio 2014 abbiamo rifiutato di ripristinare il quadro delle istituzioni democratiche ucraine, costringendo gli insorti a rispettare l’accordo con Yanukovich. L’inchiostro dell’accordo era ancora fresco, le firme dei garanti (Polonia, Francia, Germania), pure. Sarebbe stato un piccolo sacrificio, visto che l’ opposizione avrebbe comunque, di lì a poco, vinto le elezioni in un quadro legale, come era successo nel 2004. Poi abbiamo rifiutato di riconoscere i diritti all’autodeterminazione della comunità russa della Crimea e i diritti della Russia sulla penisola (che pure erano giuridicamente ben più fondati di quelli, da barzelletta, che Putin accampa per i nuovi territori occupati oggi). Sempre nella primavera del 2014 Mosca iniziò a soffiare sul fuoco della guerra civile in Donbass e chiese che venisse consentito il decentramento dell’Ucraina, una versione molto più blanda e incruenta di quello a cui aspira oggi. Richiesta respinta, non si sa bene perché.

Poi abbiamo rifiutato (“fermamente” come si dice in questi casi) di costringere Kiev ad applicare gli Accordi di Minsk, fingendo che fossero solo i Russi a violarli. La prima cosa da fare, trattato alla mano, dopo il cessate il fuoco, erano negoziati diretti fra Governo e separatisti. Kiev ha detto quasi subito che non ci pensava nemmeno. Eppure per anni i nostri politici hanno continuato a invitare Putin ad applicare gli accordi.

Ci avviciniamo ai giorni nostri. Poco prima dell’ inizio delle operazioni militari russe, quando già la diplomazia pattinava su un ghiaccio assai sottile, abbiamo respinto le richieste di Putin di accantonare la politica delle “porte aperte” per la NATO e di “finlandizzare” l’Ucraina (anzi, poco dopo l’inizio della guerra, praticamente senza alcun dibattito, abbiamo “ucrainizzato” la Finlandia). E oggi stiamo, nei fatti, assecondando le ardite speranze di Zelensky di vincere la guerra con Mosca, respingendo come folle questa soluzione “Coreana” che la Russia sembra preparare in punta di baionetta. Comprensibile, per carità: quello che stanno facendo i Russi non è uno spettacolo per stomaci delicati. Ma si noti: a ogni salto dell’escalation il prezzo (politico, economico e morale) del compromesso è sempre più alto. L’interlocutore sempre più ostile. Non ci piaceva parlare con la Russia del 2014, ancor meno ci piace farlo con quella di oggi. Ma non siamo a una festa, in cui si può parlare solo con quelli che ci stanno simpatici. Il tema è: non parliamo oggi perché pensiamo che la Russia di domani sarà più amichevole? Su quali basi? Oppure pensiamo si possa continuare a tirare dritto ignorando le loro richieste?

Gli Americani pensano di riuscire a controllare il processo, e pensano che fino a che non si va troppo in là, la cosa può anche fargli gioco. E va bene. Ma noi? Diseducati alla politica estera, avendo vissuto tutte le nostre vite sotto tutela, in un mondo in cui nessuna potenza ha mai avuto la forza di presentare all’alleanza occidentale il conto della sua intransigenza  e dei suoi errori, siamo diseducati all’ascolto e al compromesso. Ci facciamo spingere per inerzia verso il momento terribile in cui potremmo trovarci davanti alla prospettiva di un coinvolgimento diretto o a quella di una resa disonorevole in una guerra in cui abbiamo investito troppo, e perso moltissimo, senza nemmeno aver discusso se valesse la pena combatterla, e senza prendervi parte.

Eppure le dinamiche dei rapporti di potenza ci suggeriscono che almeno su questo punto Putin potrebbe aver ragione: la supremazia del “miliardo d’ oro” è agli sgoccioli. L’epoca delle scelte senza conseguenze, dell’intransigenza gratis come posa, dell’obbedienza docile e irriflessiva all’alleato, nella cieca fiducia del suo ombrello protettivo, sta per finire per sempre.

da qui


 

Russia-Ucraina: “La condotta di guerra delle forze ucraine ha messo in pericolo la popolazione civile”


Nel tentativo di respingere l’invasione russa iniziata a febbraio, le forze ucraine hanno messo in pericolo la popolazione civile collocando basi e usando armamenti all’interno di centri abitati, anche in scuole e ospedali. Queste tattiche violano il diritto internazionale umanitario perché trasformano obiettivi civili in obiettivi militari. Gli attacchi russi che sono seguiti hanno ucciso civili e distrutto infrastrutture civili.

“Abbiamo documentato un modello in cui le forze ucraine mettono a rischio i civili e violano le leggi di guerra quando operano in aree popolate”, ha affermato Agnès Callamard, Segretario generale di Amnesty International.

“Essere in una posizione difensiva non esenta l’esercito ucraino dal rispetto del diritto umanitario internazionale”.

In altre località in cui Amnesty International ha concluso che la Russia ha commesso crimini di guerra, incluse aree della città di Kharkiv, l’organizzazione non ha trovato prove di forze ucraine dislocate nelle aree civili prese di mira illegalmente dall’esercito russo.

Tra aprile e luglio, i ricercatori di Amnesty International hanno trascorso diverse settimane a indagare sugli attacchi russi nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv. L’organizzazione ha visitato luoghi colpiti dagli attacchi, ha intervistato sopravvissuti, testimoni e familiari di vittime, ha analizzato le armi usate e ha svolto ulteriori ricerche da remoto.

Durante queste ricerche, i ricercatori di Amnesty International hanno riscontrato prove che le forze ucraine hanno lanciato attacchi da centri abitati, a volte dall’interno di edifici civili, in 19 città e villaggi. Per convalidare ulteriormente queste prove, il Crisis Evidence Lab dell’organizzazione per i diritti umani si è servito di immagini satellitari.

La maggior parte dei centri abitati dove si trovavano i soldati ucraini era a chilometri di distanza dalle linee del fronte e, dunque, ci sarebbero state alternative che avrebbero potuto evitare di mettere in pericolo la popolazione civile. Amnesty International non è a conoscenza di casi in cui l’esercito ucraino che si era installato in edifici civili all’interno dei centri abitati abbia chiesto ai residenti di evacuare i palazzi circostanti o abbia fornito assistenza nel farlo. In questo modo, è venuto meno al dovere di prendere tutte le possibili precauzioni per proteggere le popolazioni civili.

ATTACCHI LANCIATI DAI CENTRI ABITATI

Sopravvissuti e testimoni degli attacchi russi nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv hanno riferito ai ricercatori di Amnesty International che l’esercito ucraino era operativo nei pressi delle loro abitazioni e che in questo modo ha esposto la popolazione civile alle rappresaglie delle forze russe.

“I soldati stavano in una casa accanto alla nostra e mio figlio andava spesso da loro a portare del cibo. L’ho supplicato diverse volte di stare lontano, avevo paura per lui. Il pomeriggio dell’attacco io ero in casa e lui in cortile. È morto subito, il suo corpo è stato fatto a pezzi. Il nostro appartamento è stato parzialmente distrutto”ha dichiarato la madre di un uomo di 50 anni ucciso da un attacco russo il 10 giugno in un villaggio a sud di Mykolaiv. Nell’appartamento dove, secondo la donna, avevano stazionato i soldati ucraini Amnesty International ha rinvenuto equipaggiamento e divise militari.

Questa è la testimonianza di Mykola, che vive in un palazzo di Lysychansk, nel Donbass, più volte centrato dagli attacchi russi:

“Io non capisco il motivo per cui i nostri soldati sparano dalle città e non dai campi”.

E questa è quella di un uomo residente nella stessa zona:

C’è attività militare qui nel quartiere. Quando c’è fuoco in uscita, subito dopo c’è fuoco in entrata”.

A Lysychansk i ricercatori di Amnesty International hanno visto soldati in un palazzo a 20 metri di distanza dall’entrata di un rifugio sotterraneo usato dagli abitanti e dove un anziano è stato ucciso.

In una città del Donbass, il 6 maggio, le forze russe hanno colpito con le bombe a grappolo (vietate dal diritto internazionale e inerentemente indiscriminate) un quartiere di case per lo più a un piano o a due piani dove era in funzione l’artiglieria ucraina. I frammenti delle bombe a grappolo hanno danneggiato l’abitazione dove Anna, 70 anni, vive con la madre novantacinquenne.

“Le schegge sono passate attraverso la porta. Io ero dentro casa. L’artiglieria ucraina si trovava nei pressi del mio giardino. I soldati erano dietro al giardino e dietro la casa. Da quando la guerra è iniziata li ho visti andare e tornare. Mia madre è paralizzata, per noi è impossibile fuggire”.

All’inizio di luglio, nella regione di Mykolaiv, un contadino è rimasto ferito nell’attacco delle forze russe contro un deposito di grano. Ore dopo l’attacco, i ricercatori di Amnesty International hanno notato la presenza di soldati ucraini e di veicoli militari nella zona del deposito. Testimoni oculari hanno confermato che quella struttura, situata lungo la strada che porta a una fattoria dove persone vivono e lavorano, era stata usata dalle forze ucraine.

Mentre i ricercatori di Amnesty International stavano esaminando i danni arrecati a palazzi e ad altre strutture civili nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv, hanno udito spari provenienti dalle postazioni ucraine situate nelle vicinanze.

A Bakhmut, molte testimonianze hanno parlato di un edificio usato dai soldati ucraini e situato a neanche 20 metri di distanza da un palazzo a più piani. Il 18 maggio un missile russo ha colpito il palazzo distruggendo parzialmente cinque appartamenti e danneggiando edifici vicini.

Tre abitanti hanno riferito che prima dell’attacco delle forze russe, quelle ucraine avevano utilizzato un edificio dall’altra parte della strada e che due camion dell’esercito ucraino erano parcheggiati di fronte a un’abitazione rimasta danneggiata dal missile.

I ricercatori di Amnesty International hanno rinvenuto tracce, all’interno e all’esterno dell’edificio, della presenza dei soldati ucraini, tra cui sacchi di sabbia, pezzi di plastica nera per coprire le finestre e nuovi kit di pronto soccorso di manifattura statunitense.

“Non ci è permesso dire nulla su cosa fa l’esercito, ma siamo noi a pagare le conseguenze”ha detto ad Amnesty International un sopravvissuto all’attacco.

BASI MILITARI ALL’INTERNO DEGLI OSPEDALI

In cinque diverse località, i ricercatori di Amnesty International hanno visto le forze ucraine usare gli ospedali come basi militari. In due città decine di soldati stavano riposando, passeggiando o mangiando all’interno di strutture ospedaliere. In un’altra città i soldati stavano sparando nei pressi di un ospedale.

Il 28 aprile un attacco aereo russo ha ucciso due impiegati di un laboratorio medico alla periferia di Kharkiv dopo che le forze ucraine avevano installato una base nelle immediate adiacenze.

Usare gli ospedali a scopi militari è un’evidente violazione del diritto internazionale umanitario.

BASI MILITARI ALL’INTERNO DELLE SCUOLE

L’esercito ucraino colloca abitualmente le sue basi all’interno delle scuole dei villaggi e delle città del Donbass e della regione di Mykolaiv. Le scuole sono temporaneamente chiuse ma molte sono situate vicino a insediamenti urbani.

In 22 delle 29 scuole visitate, i ricercatori di Amnesty International hanno trovato soldati o rinvenuto prove delle loro attività, in corso al momento della visita o precedenti: tenute da combattimento, contenitori di munizioni, razioni di cibo e veicoli militari.

Le forze russe hanno colpito molte delle scuole usate dall’esercito ucraino. In almeno tre città, dopo i bombardamenti russi, i soldati ucraini si sono trasferiti in altre scuole, mettendo ulteriormente in pericolo i civili.

In una città a est di Odessa, Amnesty International ha notato in molte occasioni i soldati ucraini usare aree civili per alloggiare e fare addestramento, tra cui due scuole situate in zone densamente popolate. Tra aprile e giugno gli attacchi russi contro le scuole della zona hanno causato diversi morti e feriti. Il 28 giugno un bambino e un’anziana sono stati uccisi nella loro abitazione, colpita da un razzo.

A Bakhmut, il 21 maggio, un attacco delle forze russe ha colpito un edificio universitario usato come base militare dalle forze ucraine uccidendo sette soldati. L’università è adiacente a un palazzo a più piani, danneggiato nell’attacco insieme ad altre abitazioni civili a non più di 50 metri di distanza. I ricercatori di Amnesty International hanno visto la carcassa di un veicolo militare nel cortile dell’università bombardata.

Il diritto internazionale umanitario non vieta espressamente alle parti in conflitto di installarsi in scuole dove non sono in corso lezioni. Tuttavia, le forze armate devono evitare di usare scuole situate nei pressi di insediamenti civili, salvo quando non vi sia un’urgente necessità di tipo militare. Anche in questo caso, devono avvisare i civili e se necessario assisterli nell’evacuazione, cosa che nei casi esaminati da Amnesty International non pare si sia verificata.

I conflitti armati pregiudicano gravemente il diritto all’istruzione. Inoltre, l’uso a scopo militare delle scuole può dar luogo a distruzioni che, a guerra finita, possono continuare a negare quel diritto. L’Ucraina è uno dei 114 stati che hanno sottoscritto la Dichiarazione sulle scuole sicure, un accordo che intende proteggere l’istruzione durante i conflitti armati e che prevede l’utilizzo di scuole abbandonate o evacuate solo quando non vi siano alternative praticabili.

ATTACCHI INDISCRIMINATI DELLE FORZE RUSSE

Molti degli attacchi delle forze russe documentati da Amnesty International nei mesi scorsi sono stati portati a termine mediante l’uso di armi inerentemente indiscriminate, come le bombe a grappolo che sono messe al bando a livello internazionale, o di armi esplosive che producono effetti su larga scala. Altri attacchi sono stati condotti con armi guidate con vari livelli di precisione che, in alcuni casi, hanno effettivamente colpito il bersaglio designato.

La tattica delle forze ucraine di collocare obiettivi militari all’interno dei centri abitati non giustifica in alcun modo attacchi indiscriminati da parte russa. Tutte le parti in conflitto devono sempre distinguere tra obiettivi militari e obiettivi civili e prendere tutte le precauzioni possibili, anche nella scelta delle armi da usare, per ridurre al minimo i danni ai civili. Gli attacchi indiscriminati che uccidono o feriscono civili o danneggiano obiettivi civili sono crimini di guerra.

“Chiediamo al governo ucraino di assicurare immediatamente l’allontanamento delle sue forze dai centri abitati o di evacuare le popolazioni civili dalle zone in cui le sue forze armate stanno operando. Gli eserciti non devono mai usare gli ospedali per attività belliche e dovrebbero usare le scuole o le abitazioni dei civili solo come ultima risorsa, quando nessun’altra alternativa sia percorribile”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

ULTERIORI INFORMAZIONI

Il diritto internazionale umanitario chiede a tutte le parti in conflitto di fare il massimo possibile per non collocare obiettivi militari all’interno o nei pressi di centri abitati. Altri obblighi circa la protezione delle popolazioni civili prevedono la loro evacuazione da luoghi prossimi a obiettivi militari e un preavviso efficace su ogni attacco che possa avere conseguenze per le popolazioni civili.

Il 29 luglio Amnesty International ha trasmesso al ministero della Difesa di Kiev le conclusioni delle sue ricerche. Al momento, non è ancora pervenuta una risposta.

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