martedì 14 novembre 2023

Palestina: il ritorno di Erode

 


articoli, video, cortometraggi e disegni di Elena Basile, Farah Nabulsi, Alain Alain, Suzanne Baaklini, Alessandro Orsini, Pepe Escobar, Andrea Crisanti, Vittorio Agnoletto, Latuff, Luigi Ippolito, Francesca Albanese, Grazia Parolari, Diego Siragusa, Franco Fracassi, Matteo Saudino, Neve Gordon, Antonio Cipriani, Dominique de Villepin, Davide Malacaria, Eliana Riva, Noy Katsman, Enrico Euli, Ugo Giannangeli, Pubble, Manlio Dinucci, Massimo Mazzucco, Pino Cabras, Calp, Giacomo Gabellini, Francesco Sylos Labini, Nora Alsharif, Carlo Tombola, Marwan Bishara, Eliana Riva, Daniele Luttazzi, Davide Rossi, Stefano Orsi, Chris Hedges, Aldo Milani


 

 

“Siamo a pochi minuti dalla morte”.

Il direttore dell’ospedale di Al-Shifa dice che il complesso medico è “completamente tagliato fuori, qualsiasi persona in movimento presa di mira” dalle forze israeliane.

Il vice ministro della Salute di Gaza, dott. Youssef Abu Alreesh, è attualmente all’interno dell’ospedale al-Shifa:

– Questo è il momento in cui abbiamo avvertito il mondo intero. Tutti i generatori sono spenti, tutte le fonti di energia sono fuori.

– Abbiamo 39 neonati nelle incubatrici, quei bambini stanno combattendo contro la morte.

– Nessuno è in grado di muoversi intorno al complesso, i cecchini sono di stanza dappertutto oltre ai droni che prendono di mira e uccidono qualsiasi persona in movimento.

– Pochi minuti fa uno del team degli ingegneri è stato colpito da un cecchino, è stato colpito al collo ed è rimasto paralizzato e ora sta per morire.

– Parte dell’ospedale è stata bombardata e parte dell’edificio ha preso fuoco, temiamo che inghiottirà l’intero complesso.

– Alcune famiglie hanno cercato di andarsene, ma sono state prese di mira; ora sono morte fuori dall’ospedale. Non possiamo arrivare a loro.

– Siamo totalmente bloccati, siamo tagliati fuori dal mondo esterno, e soprattutto, siamo lasciati senza alcuna risorsa medica. Non possiamo nemmeno seppellire i morti.

– Un feroce colpo di arma da fuoco è caduto nelle vicinanze dell’ospedale, l’unità di terapia intensiva ha ricevuto un proiettile di mortaio pochi minuti fa.

– Il sangue è ovunque, sul pavimento, non possiamo nemmeno pulirlo.

– In passato, la macchina assassina israeliana ha ucciso, e questo è stato trasmesso sugli schermi televisivi. Ora stanno perpetrando la stessa uccisione, ma nessuno sta ascoltando, nessuno sta guardando, il mondo intero è in attesa.

– Stiamo parlando con tutto ciò che resta della mia batteria del telefono, dopo di che, staremo in silenzio.

da qui

 

 

 


Lettera ai bambini di Gaza – Chris Hedges

Caro bambino. È mezzanotte passata. Sto volando a centinaia di chilometri all’ora nell’oscurità, migliaia di metri sopra l’Oceano Atlantico. Mi sto recando in Egitto. Andrò al confine di Gaza a Rafah. Vengo per te.

Non sei mai stato su un aereo. Non hai mai lasciato Gaza. Conosci solo le strade e i vicoli densamente affollati. Le baracche di cemento. Conosci solo le barriere di sicurezza e le recinzioni sorvegliate dai soldati che circondano Gaza. Gli aerei, per te, sono terrificanti. Aerei da caccia. Elicotteri d’attacco. Droni. Volano sopra di te. Lanciano missili e bombe. Esplosioni assordanti. La terra trema. Gli edifici crollano. La morte. Le urla. Da sotto le macerie arrivano soffuse le richieste di aiuto. Non si ferma. Notte e giorno. Intrappolato sotto le macerie di cemento frantumato. I tuoi compagni di gioco. I tuoi compagni di scuola. I tuoi vicini. Spariti in pochi secondi. Vedi i volti pallidi e i corpi inanimati quando vengono estratti. Sono un giornalista. È il mio lavoro vederlo. Tu sei un bambino. Non dovresti vederlo mai.

Il fetore della morte. Cadaveri in decomposizione sotto le macerie. Trattieni il respiro. Ti copri la bocca con un panno. Cammini veloce. Il tuo quartiere è diventato un cimitero. Tutto ciò che era familiare è scomparso. Fissi con stupore. Ti chiedi dove sei.

Hai paura. Esplosione dopo esplosione. Piangi. Ti aggrappi a tua madre o a tuo padre. Ti copri le orecchie. Vedi la luce bianca del missile e aspetti l’esplosione. Perché uccidono i bambini? Che cosa hai fatto? Perché nessuno può proteggerti? Sarai ferito? Perderai una gamba o un braccio? Diventerai cieco o finirai su una sedia a rotelle? Perché sei nato? È stato per qualcosa di buono? O è stato per questo? Crescerai? Sarai felice? Come sarà senza i tuoi amici? Chi sarà il prossimo a morire? Tua madre? Tuo padre? I tuoi fratelli e sorelle? Presto qualcuno che conosci rimarrà ferito. Qualcuno che conosci morirà. È questione di attimi.

Di notte ti stendi al buio sul freddo pavimento di cemento. I telefoni non funzionano. Internet è spento. Non sai cosa sta succedendo. Ci sono lampi di luce. Ci sono continue deflagrazioni. Ci sono urla. Non si ferma.

Quando tuo padre o tua madre vanno alla ricerca di cibo o acqua, tu aspetti. Quella terribile sensazione allo stomaco. Torneranno? Li rivedrai? La tua piccola casa sarà la prossima? Le bombe ti troveranno? Sono questi i tuoi ultimi momenti sulla terra?

Bevi acqua salata e sporca. Ti fa stare molto male. Ti fa male lo stomaco. Hai fame. I panifici sono stati distrutti. Non c’è pane. Mangi un pasto al giorno. Pasta. Un cetriolo. Presto sembrerà una festa.

Non giochi con il tuo pallone da calcio fatto di stracci. Non fai volare il tuo aquilone fatto con vecchi giornali.

Hai visto giornalisti stranieri. Indossiamo giubbotti antiproiettile con la scritta PRESS . Abbiamo gli elmetti. Abbiamo telecamere. Guidiamo fuoristrada. Appariamo dopo un bombardamento o una sparatoria. Restiamo seduti a lungo davanti a un caffè e parliamo con gli adulti. Poi scompariamo. Di solito non intervistiamo i bambini. Ma ho fatto interviste quando gruppi di voi si affollavano intorno a noi. Ridendo. Indicandoci. Chiedendoci di farvi una foto.

Sono stato sotto i bombardamenti aerei a Gaza. Lo sono stato in altre guerre, guerre accadute prima che tu nascessi. Anch’io avevo molta, molta paura. Ho ancora gli incubi. Quando vedo le immagini di Gaza, queste guerre mi ritornano alla mente con la potenza di un tuono e di un fulmine. Penso a te.

Tutti noi che siamo stati in guerra odiamo la guerra soprattutto per gli effetti che ha sui bambini.

Ho provato a raccontare la tua storia. Ho provato a dire al mondo che quando si è crudeli con le persone, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, decennio dopo decennio, quando si nega alle persone la libertà e la dignità, quando le si umilia e intrappola in una prigione a cielo aperto, quando le si uccidono come se fossero bestie, reagiscono. Fanno agli altri ciò che è stato fatto a loro. L’ho detto più e più volte. L’ho detto per sette anni. Pochi hanno ascoltato. E ora questo è il risultato.

Ci sono giornalisti palestinesi molto coraggiosi. Trentanove di loro sono stati uccisi dall’inizio dei bombardamenti. Sono eroi. Lo stesso vale per i medici e gli infermieri negli ospedali. Lo stesso vale per il personale delle Nazioni Unite. Di questi, ottantanove sono morti. Lo stesso è per gli autisti delle ambulanze e i medici. Così come anche i soccorritori che sollevano con le mani le lastre di cemento. Così sono le madri e i padri che vi proteggono dalle bombe.

Ma non siamo lì. Non questa volta. Non possiamo entrare. Siamo chiusi fuori.

Giornalisti provenienti da tutto il mondo si recheranno al valico di frontiera di Rafah. Vi andiamo perché non possiamo assistere a questo massacro e non fare nulla. Andiamo perché ogni giorno muoiono centinaia di persone, tra cui 160 bambini. Andiamo perché questo Genocidio deve finire. Andiamo perché abbiamo figli. Come te. Prezioso. Innocente. Amato. Andremo perché vogliamo che tu viva.

Spero che un giorno ci incontreremo. Tu sarai un adulto. Io sarò un vecchio, anche se per te sono già molto vecchio. Nel mio sogno per te ti troverò libero, sicuro e felice. Nessuno tenterà di ucciderti. Volerai su aerei pieni di persone, non di bombe. Non rimarrai intrappolato in un campo di concentramento. Vedrai il mondo. Crescerai e avrai dei figli. Diventerai vecchio. Ricorderai questa sofferenza, ma saprai che significa che devi aiutare gli altri che soffrono. Questa è la mia speranza. La mia supplica.

Ti abbiamo deluso. Questo è il terribile senso di colpa che portiamo. Abbiamo provato. Ma non ci siamo impegnati abbastanza. Andremo a Rafah. Molti di noi. Giornalisti. Resteremo fuori dal confine con Gaza per protestare. Scriveremo e filmeremo. Questo è ciò che facciamo. Non è molto. Ma è qualcosa. Continueremo a raccontare la tua storia.

Forse basterà per guadagnarci il diritto di chiedere il tuo perdono.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

da qui

 

 

La passività e ipocrisia dell’Occidente – Elena Basile

Il 2 novembre le immagini della carneficina a Gaza scompaiono dalla maggioranza dei giornali occidentali. Si piangono i morti, non quelli palestinesi. Il Paese “Indispensabile” che “tiene il mondo insieme” (come afferma il Presidente Biden, il politico che dovrebbe incarnare rispetto al suo avversario nelle elezioni del 2024, la parte più progressista degli Stati Uniti) si oppone a un cessate il fuoco e trascina con sé le democrazie occidentali, il bel giardino di Borrell. E’ incredibile! Le autocrazie come la Russia e la Cina parlano un linguaggio di pace. Certo lo faranno per assecondare i loro interessi geo-strategici. Pronunciano tuttavia parole di saggezza politica intesa a fermare l’escalation in Medio Oriente, il massacro di innocenti a Gaza, i crimini di guerra in corso. L’Occidente invece nella sua passività e ipocrisia, rimane complice di una strage che alcuni analisti giuridici non esitano a denominare genocidio. Non sono un’esperta giuridica. Mi fido delle analisi di alcuni giuristi che si riferiscono alla convenzione per la prevenzione e la repressione del reato di genocidio del 1948. Sono stabiliti all’articolo 2 i parametri in grado di individuare casi di genocidio. Almeno tre dei 5 parametri in esso delineati sono soddisfatti a Gaza.

Una professoressa di filosofia che avevo imparato a stimare per alcuni suoi ragionamenti relativi alle cause storiche del conflitto in Ucraina afferma che Israele non è una potenza occupante, e che le folle di gente ordinaria che hanno riempito le piazze sotto la forte emozione dovuta agli eventi di Gaza sarebbero antisemite.

Vorrei ricordare che l’antisemitismo ha colpito la comunità ebraica che professava in Europa la sua religione: essa era straordinariamente attiva e coesa, aveva un meritato potere economico e rappresentava una meravigliosa intellighentia. L’antisemitismo era indirizzato agli ebrei in quanto comunità religiosa e etnica. L’antisionismo, di cui sono stati interpreti tanti ebrei, si oppone invece alla concezione in base alla quale, anche con atti terroristici contro i britannici e contro gli arabi, soprattutto nella modulazione di destra del sionismo, gli ebrei hanno il diritto a occupare con la forza la terra dei palestinesi e cacciarli dalle loro case. Dopo il 1967 in una parte dell’establishment israeliano era popolare uno slogan: prendere quanta più terra possibile e non darla indietro. Ricorderei alla nostra filosofa che le manifestazioni per il cessate il fuoco e la protezione dei civili, se chiamano Israele potenza occupante, lo fanno in linea con le Risoluzioni ONU mai applicate, e la denuncia di apartheid in Cisgiordania elaborata dall’ONU e da altre organizzazioni umanitarie. Considerare antisemitismo la critica al genocidio in corso attuato da un personaggio controverso quale Netanyau è vergognoso. Considerare antisemitismo il contrasto a strategie israeliane che dalla fine del processo di Oslo in poi, con la moltiplicazione degli insediamenti, hanno opposto l’illegalità e la violenza di Stato alla politica e alla diplomazia è una atroce mistificazione. Queste posizioni non sono solo immorali, sono controproducenti. La giustificazione della violenza e dell’impunità di Israele alla lunga genera mostri.

Netanyahu con la carneficina di civili e i bombardamenti indiscriminati anche sui campi profughi si propone come salvatore della sicurezza di Israele sperando di restare in piedi come Premier. Non mi meraviglierei se nonostante l’opposizione che esiste nella dinamica società civile di Tel Aviv, le vittorie militari enfatizzate dalla propaganda nostrana come sconfitta del terrorismo non regalino al Primo Ministro israeliano ossigeno politico. La continuità in nome deIla ritrovata sicurezza sarà forse scelta dalla società israeliana che si è spostata sempre più a destra ed è ricattata dalle forze religiose e oscurantiste. I politici statunitensi hanno nel loro dna l’impossibilità di prendere le distanze da Israele. Si inimicherebbero i donatori ebrei e cristiani, i gruppi di interesse, condannerebbero automaticamente la loro carriera politica. Democratici e repubblicani senza differenze incisive assicurano l’impunità di Israele da decenni. Obama si opponeva alla politica degli insediamenti illegali ma non ha saputo opporre alcuna sanzione quando Netanyahu ha snobbato le sue esortazioni. I falchi dell’amministrazione odierna mostrano al mondo una finta cautela. Si pronunciano a favore delle “pause umanitarie” (le vittime vanno curate e nutrite, poi i bombardamenti possono riprendere) e fingono di subire le decisioni di Tel Aviv. Come accaduto con l’Ucraina, il gioco delle parti è stucchevole. Zelensky impersonava il falco rispetto a Biden divenuto colomba. Allo stesso modo si fa credere che Israele possa come l’Ucraina avere una politica estera indipendente da quella degli USA, il loro maggiore sponsor. Se Washington volesse veramente mirare a una de-escalation, non invierebbe le porta aerei nel Mediterraneo. I burattini europei sanno che se si distanziano dalle posizioni statunitensi mettono a repentaglio la loro esistenza politica. Lo spirito gregario e conformista trionfa. L’assenza di diplomazia è spiegata. A causa delle guerre in corso e in virtù di una narrativa che predica lo scontro di civiltà e inventa minacce contro la democrazia, le classi dirigenti europee hanno costruito l’alibi, di fronte all’opinione pubblica, per ricompattarsi intorno all’alleato egemone.

Non ci sono esitazioni neanche di fronte al pericolo di una “major war”. Il rischio in Europa Orientale è stato affrontato a cuor leggero. Il Direttore dello IAI, Istituto di ricerca i cui studi portano miracolosamente alle stesse soluzioni individuate dai neoconservatori statunitensi, nei suoi ripetuti interventi ripete assiomi mai dimostrati. La difesa della democrazia europea passa per la difesa dell’Ucraina libera. Come si permette la Presidente Meloni di ripetere in una telefonata truffa a due comici russi (la tragedia diviene farsa) che c’è stanchezza verso la guerra in Ucraina? I vari Tocci, Parsi, Panebianco, Molinari non sono stanchi. Una generazione di diciottenni ucraini sacrificata, un Paese distrutto li vede ancora arzilli e pronti a celebrare una narrativa senza fondamento. Descrivono in modo surrealistico l’accerchiamento da parte delle autocrazie dell’Occidente libero al fine di far continuare il massacro in Ucraina e in Medio Oriente. La Russia non vuole arrivare a Kiev e non ha nessun sogno imperialista in Europa. Una studiosa non può non saperlo. Farebbe bene altrimenti a tornare sui banchi di scuola. Mosca non ha la potenza economica e militare per opporsi alla NATO. Kiev, Mosca e l’Europa hanno un identico interesse. L’Ucraina neutrale e ricostruita. La  pacificazione della regione orientale dell’Europa.

In Medio Oriente si profila un allargamento del conflitto con conseguenze spaventose. L’Occidente, respingendo il cessate il fuoco, fomenta il rischio. I cani da guardia cercano di convincerci che non esiste alternativa diplomatica. Iran, Hezbollah, Paesi arabi hanno reazioni fino ad ora simboliche. Razzi che non fanno danni, dichiarazioni bellicose, abbaiano. Le portaerei americane sono un dato senza precedenti. I rapporti di forza sono a favore di Tel Aviv e Washington. L’Occidente è il soggetto che deve fermare l’escalation. Il leader degli Hezbollah Nashrallah, nel suo atteso discorso, non ha dato soddisfazione alla stampa occidentale che da giorni prepara l’opinione pubblica ai nuovi orrori descrivendo l’Iran e gli Hezbollah pronti a trascinate Tel Aviv e Washington nel conflitto. Il leader libanese pur scatenando la sua retorica contro Israele ha messo in chiaro che il massacro del 7 ottobre è stata opera esclusiva di Hamas e che tra Iran, Hezbollah e Hamas non vi sono legami automatici. I paesi arabi e la Turchia si limitano  a condannare l’azione barbara di Israele a Gaza. La Turchia osa chiamare Israele criminale di guerra al fine di tener buone le opinioni pubbliche. Al momento non sembra vogliano entrare in un conflitto per il popolo palestinese, per i derelitti della terra.

Nessun politico del centro-sinistra e del centro-destra, in sintesi le classi dirigenti che governano l’Europa, prende nettamente posizione contro il massacro. I difensori dei diritti umani mostrano il loro vero volto.

Ho rivolto sui social un appello al Presidente Mattarella. Possibile che alla sua veneranda età, dopo avere avuto tutto dalla carriera politica e essere appartenuto, a prescindere dal sottogoverno e sottobosco democristiano, a una tradizione importante cattolica e sociale, che ha espresso statisti come Aldo Moro, possibile che il nostro Presidente della Repubblica, garante dei valori costituzionali, fino all’ultimo giorno opterà per la convenienza politica senza in alcun modo abbracciare l’etica della convinzione?

Un cattolico dovrebbe avere empatia per la sofferenza umana. I bambini tremanti e mutilati che arrivano in ospedali senza medicine e antidolorifici, senza acqua, elettricità, meritano compassione e difesa.

Il Presidente Mattarella potrebbe essere una voce morale, chiedere il cessate il fuoco, opporsi alla barbarie.

Leggo invece esterrefatta le sue dichiarazioni sulla democrazia di cui sarebbero strumenti la NATO e l’Europa, gli appelli a inviare nuove armi all’Ucraina, una strabiliante frase in cui menziona i crimini di Hamas ma non quelli israeliani.

Presidente, i bambini la guardano, le vittime la guardano, la Storia potrebbe non perdonarla.

da qui

 

 

Noy Katsman : Mio fratello è stato massacrato il 7 ottobre. So che avrebbe chiesto il cessate il fuoco.

Ho tradotto questo articolo da The Nation Magazine e vi invito a leggerlo:Maurizio Acerbo

Se l’unica giustificazione per la guerra di Israele contro Gaza fosse quella di vendicare morti come la sua, per lui sarebbe impossibile digerire la macchia morale.

Mio fratello, Hayim Katsman, è stato uno dei 31 massacrati americani in Israele il 7 ottobre. Avendo la doppia cittadinanza, Hayim si è trasferito a Holit dopo aver conseguito il dottorato a Seattle, continuando la sua ricerca sul sionismo religioso mentre serviva il kibbutz in difficoltà che amava. Il giorno degli attacchi, mio fratello ha usato il suo corpo per proteggere il suo vicino, Avital, dai proiettili in arrivo. Le ha salvato la vita.

Si potrebbe dire che Hayim è morto nello stesso modo in cui ha vissuto: sacrificando se stesso per proteggere gli altri. Insegnante, sostenitore e amico fidato delle comunità agricole palestinesi delle colline a sud di Hebron, mio ​​fratello spesso interveniva per disinnescare le tensioni con i coloni ebrei prima che degenerassero in violenza. Hayim ha prestato servizio volontario nei giardini di Rahat, una città beduina, e presso l’Academia for Equality, un’organizzazione che sostiene gli accademici palestinesi in Israele. Era anche un DJ di musica araba, sempre alla ricerca di connessioni interculturali. Mio fratello ha trascorso i suoi 32 anni radicato nella convinzione che tutta la vita – israeliana e palestinese, araba ed ebraica – è ugualmente preziosa. E non ha mai rinunciato alla speranza che un futuro più luminoso e pacifico fosse possibile per tutti.

Ho pensato molto a cosa direbbe Hayim in questo momento. Con il bilancio delle vittime a Gaza che ora supera le 10.000, so cosa si chiederebbe: tutte queste vite preziose perdute, a quale scopo? Perché se l’unica giustificazione fosse quella di vendicare morti come la sua, la macchia morale sarebbe impossibile da sopportare per mio fratello. Vorrebbe che i suoi due governi, Stati Uniti e Israele, negoziassero e attuassero un cessate il fuoco umanitario immediato – e perseguissero un percorso verso la libertà e la sicurezza per tutti – prima che sia troppo tardi.

Si suppone che il governo israeliano abbia a cuore la restituzione dei nostri circa 240 ostaggi, cosa che solo un cessate il fuoco renderebbe possibile. Ma ha smesso di ascoltare le famiglie delle vittime, come la mia. Il 28 ottobre, le famiglie dei rapiti hanno chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di mediare uno scambio totale dei palestinesi incarcerati in Israele con i loro cari: “Tutti per tutti”, hanno implorato . Ma a quanto pare, il gabinetto di Netanyahu considera gli ostaggi poco più che un danno collaterale, pezzi degli scacchi nei “ giochi psicologici ” di Hamas, come ha detto il ministro della Difesa Yoav Gallant. Negoziare oltre la barriera Gaza-Israele semplicemente non è la loro priorità, anche se sono in gioco vite israeliane innocenti.

Per quanto riguarda le vite innocenti dei palestinesi, il disprezzo è ancora più sfacciato. Tra i decessi registrati finora, oltre 4.000 sono bambini di Gaza, un numero di vittime infantile in quattro settimane superiore a quello registrato in tutte le zone di conflitto del mondo in qualsiasi degli ultimi quattro anni. Gallant ha definito senza mezzi termini i suoi obiettivi militari a Gaza: “Stiamo combattendo gli animali umani… Elimineremo tutto”. A giudicare dagli sviluppi sul campo da allora – dai ripetuti attacchi aerei sui rifugiati nel campo di Jabalia a Gaza, all’uso indiscriminato e illegale del fosforo bianco nelle città densamente popolate di Gaza – la comunità internazionale deve prenderlo in parola.

L’obiettivo ufficiale di tutto ciò è distruggere Hamas con ogni mezzo necessario, per rendere Israele di nuovo sicuro. Ma questo ci rende davvero più sicuri? Per i milioni di palestinesi, circa 240 ostaggi israeliani e innumerevoli altri americani e cittadini stranieri ancora intrappolati da qualche parte tra i valichi di Erez e Rafah – circondati su tutti i lati da fuoco, macerie e cadaveri insanguinati – l’incubo è continuo ed inimmaginabile. Con ogni nuovo giorno di guerra, migliaia di vite di soldati israeliani – e, sempre più, la sicurezza dell’intera regione – sono in pericolo. Eppure, il governo israeliano deve ancora darci un’idea chiara di quale obiettivo politico spera di raggiungere.

Per la morte di Hayim e quella di altre 1.400 persone, ha detto il presidente israeliano Isaac Herzog , non è solo Hamas ma “un’intera nazione là fuori ad essere responsabile”. Mio fratello troverebbe spregevole questa logica morale. Hayim non vorrebbe mai che i palestinesi di Gaza pagassero con la propria vita per la sua vita. Sarebbe nauseato al pensiero che gli ostaggi israeliani subissero la stessa sorte che è toccata a lui. La cosa più urgente è che mio fratello avrebbe il cuore spezzato nel sapere che la sua morte ha ispirato la stessa violenza vendicativa a cui si è opposto per tutta la vita.

Hayim chiederebbe il cessate il fuoco, per riportare indietro gli ostaggi, per salvare quante più vite possibili e per avviare un nuovo processo diplomatico, con una nuova leadership da entrambe le parti, in modo che tutti, palestinesi e israeliani, possano godere di pace, sicurezza e libertà.

Che la sua memoria sia una benedizione e uno standard morale per noi da vivere e seguire.

da qui





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