L’attuale capo di stato ha decretato il 26 luglio come nuova festa nazionale del Niger. Ciò per sottolineare la cesura tra un prima e un dopo l’ultimo colpo di stato militare che ha spodestato il presidente Mohammed Bazoum, a tutt’oggi detenuto nel palazzo presidenziale.
La festività, artisticamente orientate al
ricupero delle culture tradizionali, durerà sino alla celebrazione della festa
nazionale, il prossimo 3 agosto. Dal 1975 c’è l’usanza, per l’occasione,
di piantare un albero come simbolo e contributo a
rallentare l’avanzata del deserto. Si celebra, in qualche modo, l’Indipendenza
dall’indipendenza per una nuova dipendenza, quella della ‘sovranità nazionale’.
Il Paese è infatti indipendente dal giogo coloniale francese dal 1960, l’anno
delle indipendenze per 14 Paesi dell’Africa subsahariana francese. Si
aggiunsero il Congo Belga, la Somalia italiana e la Nigeria britannica.
L’Etiopia, la Liberia e la Guinea avevano già gustato il frutto, dolce e amaro,
della sovranità.
I militari che hanno preso il potere negli
stati che hanno scelto di formare ‘l’Alleanza del Sahel’, il Mali, il Burkina
Faso e il Niger, hanno affermato di aver risposto alle aspirazioni dei rispettivi popoli, stanchi
dell’insicurezza, la miseria e la pessima conduzione politica. La modalità
scelta dagli autoproclamati capi di stato e secondo il contesto dei Paesi
citati è quella di unire i popoli attorno al valore della ‘sovranità nazionale’,
come collante e nuova religione del momento. Non è dunque casuale che, in
questo spazio saheliano, si punti al ricupero di un passato mitizzato, per così dire ‘imperiale’, per rifondare la
sovranità. È questa la ‘porta’ che vuole chiudere con 60 anni di ‘democrazia
occidentale’ non adatta ai popoli del Sahel e aprire
al passato delle tradizioni in grado di rifondare una ‘democrazia africana del
Sahel’.
Non appare dunque casuale se questo
progetto di ricostruzione politica vuole realizzarsi: la creazione e il
mantenimento ‘aggiornato’ di un nemico. Siano i gruppi armati terroristi, il
neocolonialismo, l’imperialismo, l’insieme degli stati dell’Africa occidentale
che hanno applicato le sanzioni dopo il colpo di stato, le basi militari
straniere sul posto e, in genere, quanti non sono d’accordo con questo progetto
di ingegneria politica. Il nemico è insostituibile e
varierà nel tempo, nello spazio e a seconda delle necessità del momento. I
militari hanno giustificato la presa di potere adducendo come motivi principali
la lotta all’insicurezza, la situzione economica e la pessima e corrotta
gestione del potere politico. La ‘Salvaguardia della Patria’, missione che il
Consiglio Nazionale dei militari si è data, si è gradualmente tradotta
nella riappropriazione dell’identità profonda dei popoli
del Sahel. Il rischio di assumere, tradurre (o tradire) le attese dei popoli è
sempre molto alto quando ci arroga il diritto di rappresentarlo o manipolarlo.
Una porta che si chiude e che si apre al passato per illuminare il presente
come una sfida.
Esso è costituito, come sempre,
dall’ostinatezza della realtà, puntuale e inesorabile nella sua perentorietà.
Dal momento del colpo di stato alla data, le persone uccise (militari e
civili) si contano a centinaia. Si prende atto che in alcune
zone delle ‘Tre Frontiere’ (Mali, Burkina, Niger) lo stato è inesistente e la
legge è dettata piuttosto da gruppi armati che
manipolano la religione per fini di potere. Il numero di profughi e sfollati
non è affatto diminuito. Migliaia di contadini non potranno lavorare la terra e
questo aumenterà il numero delle persone in vulnerabiltà alimentare o in carestia, che già si contano a milioni. Le condizioni
di vita dei cittadini del Paese si sono ulteriormente deteriorate. Per le famiglie
assicurare il cibo, la salute, l’educazione e gli affitti rappresenta una scommessa alla sopravvivenza. Trovare un lavoro
decente è come osare intraprendere il percorso di un combattente. La
criminalità spicciola e quella più organizzata fanno ormai parte del quotidiano
della città.
Di tutto ciò, nella settimana festiva,
probabilmente si dirà poco o nulla. Le danze
tradizionali e gli slogan passeranno in fretta. Diceva il saggio, a ragione,
che l’albero (della sovranità) si riconosce dai suoi frutti.
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