Non è più il caso – se mai lo è stato – di
disegnare scenari. Quello che è già avvenuto sotto i nostri occhi spiega bene
cosa avverrà nei prossimi mesi e anni. Se eliminiamo i rumori di fondo, vediamo
con chiarezza la rivincita globale dei fabbricanti di armi, che per molti e
lunghi decenni hanno pagato con la marginalità il disastroso primo Novecento,
quello della doppia guerra mondiale.
L’escalation guerresca in corso serve a
soddisfare le ambizioni di un complesso militare-industriale in sofferenza,
quello Usa, la cui forza politica è ben maggiore di quella
economica. È abbastanza impressionante considerare come le principali aziende
militari erano uscite dal biennio Covid. Tutti i colossi Usa registravano
fatturati in diminuzione nel 2022 rispetto all’anno precedente: -8,9% Lockheed
Martin, -12% Raytheon, -19% Boeing (un
crollo di mercato dovuto soprattutto ai disastri causati dal 737 Max), -5,6% General
Dynamics, -13% L3Harris, Northrop Grumman a crescita zero.
Anche le più “americane” delle aziende europee faticavano, -7% Leonardo,
BAE Systems in crescita a zero. Da un anno all’altro, ai sei
supergiganti della difesa sono mancati 22-23 miliardi di dollari di fatturato
militare. Alla Borsa di New York, l’azienda
leader Lockheed Martin, che nel marzo 2020 aveva registrato la
quotazione minima degli ultimi cinque anni, alla fine del 2021 aveva recuperato
solo il 17%, ma un anno dopo, alla fine del 2022, incamerava un +70%, oggi
(luglio 2024) stabilizzato intorno al +60%.
Notiamo tra parentesi che invece le cose
non erano andate male per i grandi gruppi cinesi (Norinco +4,4%, AVIC +4,7%, CASC +4,5%, CETC +2,2%),
in generale ancora centrati sulle produzioni civili, così come per le
europee Airbus (+17%) e Thales (+2.5%).[1]
Come accade per ogni spedizione
militare, con la guerra in Ucraina l’industria logistica si è mobilitata
immediatamente, si è messo in moto il meccanismo dei contratti charter gestiti
dall’US Military Sealift Command, le prelazioni di navi
portacontainer, petroliere, ro-ro. Dopo il 7 ottobre 2023, i noli marittimi non
hanno reagito subito, si sono infiammati dal gennaio 2024 come conseguenza di
una catena di avvenimenti: gli houthi attaccano le “navi sioniste” in transito
al largo dello Yemen in solidarietà con Gaza;
Washington risponde lanciando l’operazione “Prosperity
Guardian” (dicembre 2023); le assicurazioni marittime applicano
il war risk surcharge al transito tra il Golfo di
Aden e lo stretto di Bab el-Madeb; sulla rotta Far
East-Europa le maggiori compagnie (Maersk e MSC in
testa) decidono di evitare il passaggio da Suez, preferendo circumnavigare
l’Africa (gennaio 2024).
Il costo di un container da quaranta piedi
spedito da Shangai a Genova balza dai 1.300
dollari di fine ottobre 2023 ai 6.400 di tre mesi dopo, e mentre
scriviamo sta superando i 7.500.
Anche dalla prospettiva logistica, come da
quella dei fabbricanti di armi, la guerra moltiplica i guadagni. Il blocco
di Aden si è tramutato in un insperato vantaggio persino nel
caso di ZIM, la compagnia marittima di bandiera di Israele, obiettivo
dichiarato delle minacce yemenite, arrestando la disastrosa discesa del titolo
quotato a New York, sprofondato nei venti mesi
precedenti al 7 ottobre da 84 a 6,9 dollari, ma salito all’inizio di gennaio
2024 a 12,6 per superare i 22 a inizio luglio.
Com’è ovvio, i sovra-costi marittimi si
stanno scaricando sui consumatori finali, in primo luogo quelli dei paesi
maggiori importatori dalla Cina. Così il cerchio si chiude, la
barriera protezionistica contro le merci cinesi si alza sempre più e si crea il
presupposto di un brutale blocco commerciale anti-cinese.
Dal punto di osservazione di Weapon
Watch, gli ultimi mesi hanno portato due importanti novità.
Innanzi tutto si è fatto più visibile –
perché più intenso – il movimento di armi e munizioni che partono dalla
“piattaforma Italia”, la attraversano o la lambiscono. In
generale, lo sdegno per ciò che accade a Gaza ha mobilitato le
proteste e con esse le giustificazioni governative. Così, per fare un esempio,
è il caso di tre navi – Borkum, Vertom Odette e Marianne
Danica – dirette a Cartagena (Spagna), le prime due
provenienti da Chennai (India) e dirette a Capodistria
(Slovenia) e indicate dalle Ong come cariche di
munizioni per Israele. La Borkum trasportava
trentadue container di munizioni della classe 1.1, ha rinunciato
alla tappa di Cartagena, quindi ha raggiunto Capodistria e
poi Venezia, porti entrambi utili sia per raggiungere via
terra la Repubblica Ceca – forte esportatore verso Israele –
che per il reimbarco delle munizioni su una nave di ZIM o
sulla Marianne Danica con destinazione Haifa o Ashdod.
È un punto acquisito dalle analisi dei
traffici: l’asse portante della logistica militare al servizio sia di Israele che
di Arabia Saudita ed Emirati, in partenza dai
porti Usa della Costa orientale, passa molto
di frequente dalla Spagna e dall’Italia. Lo sappiamo bene, anche perché
è la stessa supply chain delle navi della compagnia Bahri, che
da anni tocca stabilmente Genova e saltuariamente un porto
spagnolo.
Questa maggiore visibilità della logistica per la difesa è stata intercettata – rimanendo in area italiana – da un nuovo tipo di ricerca auto-commissionata, portata avanti da gruppi che sentono l’urgenza di agire prima che le guerre scoppino, e soprattutto prima che scoppi la der des ders nucleare. Gruppi di giovani, senza riferimenti precisi con l’università, curiosi dei metodi e orientati al social activism hanno cominciato a guardare alla propria realtà locale, e almeno a cercare di rispondere alla prima ovvia domanda: si fabbricano armi qui, dalle nostre parti? Così si sono mossi i primi passi di una ricerca che dovrà rispondere anche a una seconda domanda: dove vanno a finire le armi che si producono qui? Su questa strada abbiamo in questi mesi incontrato i compagni di Lecco, dell’Alto Vicentino, di Padova e Marghera, di Imola e del Ravennate, di Torino, di Rovereto. E piccole aggregazioni sono in gestazione tra i “ferrovieri contro la guerra”, nel collettivo dei portuali livornesi… Speriamo che non si disperda almeno l’urgenza di queste esperienze.
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