La mattina
del 13 agosto, di buon’ora, i colleghi di una radio che volevano capire i
pericoli che si correvano in Vicino Oriente mi hanno chiesto in diretta di
analizzare il balletto di parole che si svolge sul palcoscenico del teatro
tragicamente più attivo, direi più vivace, del mondo di oggi.
Attacco
iraniano o non attacco, Libano o non Libano?
Guerra o non
guerra, attacco o non attacco, subito, entro 24 ore o dopo, limitato o esteso:
tutte possibilità, nessuna certezza. Le carte in tavola cambiano in
continuazione e sono parte del grande gioco che, purtroppo, coinvolge in
negativo giornalisti e media di mezzo mondo. Mai come nei tragici dieci mesi da
quando i militanti palestinesi di Hamas hanno sferrato l’attacco feroce alle
comunità israeliane lungo la frontiera con Gaza, il mondo dell’informazione è
stato costretto a raccontare e analizzare senza vedere.
Analizzare senza
vedere
I più
anziani di noi, forse, sono capaci di offrire spiegazioni e giudizi basati
sulla storia degli ultimi settanta anni. Qualcuno si addentra nelle vicende del
secolo precedente: quello del marxismo, del colonialismo, del sionismo per
cercare di capire e giudicare gli eventi di oggi. I fatti o gli annunci spesso
contradittori che piovono in tempo reale nelle redazioni sono spesso sound-bit
difficili da analizzare; dichiarazioni lanciate per confondere le idee non
tanto ai media quando ai consumatori dell’informazione.
Terre
palestinesi vietate
Il governo
israeliano non consente ai giornalisti occidentali di entrare nella striscia di
Gaza e limita il loro lavoro in Cisgiordania dove, coloni ebraici e militari
devastano giorno dopo giorno il territorio palestinese occupato, uccidono e
feriscono ‘terroristi’, lavorano per realizzare il sogno di eliminare ogni
possibilità di veder nascere accanto a Israele uno stato palestinese
indipendente.
Guerra a colpi di parole
Ma torniamo
alla guerra di parole, allo scontro che vede tristemente impegnato il mondo
dell’informazione costretto a partecipare al grande gioco delle incertezze.
Alla vigilia di Ferragosto sul quotidiano Haaretz un commento: “A poco a poco,
nell’undicesimo mese di guerra, stiamo normalizzando tutto: la morte di
prigionieri, il continuo bombardamento nelle comunità settentrionali, gli
sfollati senza fine degli israeliani lungo i confini di Gaza e del Libano, la
condanna internazionale e il crescente costo per l’economia”.
Dire
qualcosa, mai dire tutto
Il
giornalista israeliano che scrive condanna Netanyahu e la sua politica ma evita
-come la maggioranza dei giornalisti israeliani- di parlare degli oltre
quarantamila morti palestinesi, evita di raccontare i bombardamenti che hanno
praticamente distrutto il sessanta per cento delle strutture -case, uffici,
ospedali- nella Striscia.
L’immemore
presidente Herzog
Nelle stesse
ore, il presidente di Israele lancia un messaggio: “Mentre Israele e i nostri
servizi di sicurezza rimangono in massima allerta, voglio esprimere il mio
apprezzamento e ringraziamento ai nostri alleati che sono uniti con noi di
fronte alle minacce piene di odio del regime iraniano e dei suoi delegati
terroristici”. Sono anni che Teheran e Tel Aviv sono ai ferri corti, ma il
presidente Herzog evita accuratamente di ricordare che sono stati i servizi
segreti israeliani a uccidere il leader di Hamas mentre era in visita nella
capitale iraniana, ospite di riguardo di quel paese. Un affronto, non certo un
gesto di distensione, in un momento in cui una guerra devastante per tutti
rischia di scoppiare.
Netanyahu
tra potere e galera
Sono un paio
d’anni, almeno, che una parte di Israele vuole eliminare Netanyahu dalla scena
governativa e politica. È accusato di corruzione e di altri reati che sono
sufficienti, se condannato, a mandarlo in galera: molti israeliani sostengono
che la guerra di Gaza va avanti solo, o soprattutto, perché il premier vuole
impedire alle autorità giudiziarie di portare avanti i suoi processi. È
possibile, forse probabile, ma la grande stampa occidentale si mette troppo
spesso a disposizione del complesso ma ormai palese gioco delle parti.
‘A qualsiasi
costo’. Pagato da chi?
A Netanyahu
e a una parte dei suoi avversari politici non dispiacerebbe trascinare gli
Stati Uniti in una guerra contro l’Iran anche se significherebbe, sicuramente,
un conflitto allargato a buona parte del Medio Oriente, bombe e missili di
Hezbollah sul cuore di Israele e la probabile distruzione del Libano come
stato.
Troppo
spesso la stampa, non solo italiana, si lascia trascinare nel gioco e invece di
tentare di capire e spiegare si limita a pubblicare un elenco cronologico delle
notizie e lascia ai consumatori dei media lo sforzo di tentare di comprendere.
Posso solo immaginare quando al balletto di oggi si aggiungerà quello,
sofisticato e confuso, dell’AI.
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